Controvento

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Non disse nulla a Eva riguardo a Matteo. Non le accennò niente, nemmeno per sbaglio. Ed era strano non dirle qualsiasi cosa, come se ci fosse una falla in un sistema perfetto, ideale. Perché era stato un solo messaggio, due parole completamente sottovalutabili, e Francesco se lo ripeteva di continuo, senza fermarsi, come se non ne avesse potuto fare a meno. Erano due parole, eppure soffriva come se fossero state centinaia. Ed Eva non poteva saperlo. Eva odiava Matteo.

Così come lo odiava Lara, così come lo odiava Francesco.

Ma l'analisi di sé sarebbe stato qualcosa di immenso, impossibile da contrastare per una piccola anima, sola e confusa. Un'anima che non avrebbe voluto fare altro che gettarsi in preda a una tempesta.

Uscì di casa con una dolorosa sensazione che lo rendeva simile a un suino diretto al macello. Gli facevano male le gambe, aveva l'impressione di essere sul punto di cadere da un momento all'altro. Eppure, era così che tutto sarebbe dovuto andare.

Era la sua punizione, l'unica cosa che avrebbe potuto fare. Una medicina amara fino alla nausea, fino al bruciore, fino all'ustione. E, tutto quel dolore, gli sembrava felicità.

L'illusione di una salvezza che gli avrebbe strappato via le membra, e tutto ciò di malato che avevano. E sarebbe stato nuovo.

Raggiunse la piazza sentendosi chiuso in un cubo di vetro, il cuore sembrava volergli uscire dal petto e lui avrebbe fatto fatica a impedirglielo. Vide il ragazzo seduto sul muretto che circondava la fontana vuota, riconobbe i modi duri e i capelli cosparsi di talmente tanto gel da rendersi quasi ridicoli. Si ricordò di quanto fosse strano lui, con i ricci bruni fuori posto e la maglietta scolorita, talmente larga da sembrare sformata, così rimangiò i suoi pensieri nei confronti di Matteo. Cercò di mettere quanta più aria possibile nei polmoni, di soffocare, di urlare e di rimanere lì per sempre, prima del collasso, prima di qualsiasi soluzione.

E si sedette poco distante dal ragazzo, costrinse se stesso a somigliargli, per quanto gli risultasse difficile, per quanto sapesse che, se Eva fosse stata lì, avrebbe avuto paura per lui.

Per me.

E sentì gli occhi di Matteo addosso, li percepì tagliargli la pelle, graffiarlo fino a farlo sanguinare. E si disse che fosse giusto così.

<La risurrezione di Cristo.> Matteo sorrise e sollevò le mani verso il cielo. Francesco pensò che, se ci si fosse impegnato sul serio, sarebbe perfino riuscito a sopportarlo.

Tuttavia non seppe cosa dire, si limitò a tentare di ridere e quel gesto, per entrambi, divenne quasi surreale. Si diffuse un silenzio tenue, interrotto prima da un'automobile che percorreva la strada poco distante dalla piazza, poi dall'accendino di Matteo.

<Vuoi?>

Francesco scosse la testa, il ragazzo lo guardò e curvò verso l'alto un'estremità della bocca: <Non fumi?> Alluse alla sigaretta che teneva tra le labbra sottili e Francesco ebbe l'impressione che stesse giocando con lui, in un modo tutto suo. E gli avrebbe permesso di giocare fino alla fine, fino a diventare polvere sul selciato di una strada mai percorsa.

<No.> Bugia.

Matteo sorrise: <Un tiro non si rifiuta.> Poi si guardò attorno, come ad aspettarsi che, nel paese deserto, qualcuno lo potesse vedere. Francesco non rispose, rimase in silenzio e tentò di mantenersi impassibile, ma il suo sentirsi come un'onda contro gli scogli gli impediva di respirare, di percepire la testa come tale.

E Matteo continuò, sul suo volto comparve di nuovo quell'espressione che rendeva l'intero viso un ghigno. Era un modo affascinante di sorridere, non si poteva evitare di guardarlo, come se non facesse altro che pronunciare maledizioni d'amore una dopo l'altra.

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