Protagonista

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<Ciao.>

La prima cosa che Francesco pensò fu che non era un colore reale. Non poteva essere reale. Era qualche mutazione genetica, per forza. Altrimenti non si spiegava. Era il celeste della notte, e la notte non era celeste, quindi c'era qualcosa che non tornava. Non era un celeste che poteva essere messo su degli occhi. Era un celeste che poteva esistere solo nei sogni, non nella realtà. Nella realtà la notte era buia, e le stelle si vedevano appena.

E Francesco ci provò, ci provò con tutto se stesso, ma non riuscì a riconoscere neanche lontanamente colui che gli stava davanti. Eppure gli sorrideva. Aveva sempre ritenuto strane le persone che sorridevano agli sconosciuti. Pure, soprattutto, se avevano degli occhi terrificanti.

<Ciao.>

E fu un istante, perché il ragazzo terrificante brillò e si spense subito, come se avesse trovato il modo di lucidare le stelle.

Rimasero in silenzio così a lungo che Francesco si trovò a valutare la possibilità di camminare via, prima piano, poi sempre più veloce. Gli sudavano le mani.

<Mi fai fare una telefonata? Una sola. Perché ho lasciato il telefono a casa e mia madre è veramente un sacco apprensiva e avrà paura che io sia tipo morto in un fosso e->

E Francesco non lo fece finire, sia perché gli interessava poco della madre di uno sconosciuto, sia perché lo sconosciuto in questione gli faceva abbastanza paura.

La mano del ragazzo corse nella tasca, la esplorò freneticamente, tanto che gli sembrò di non conoscerla, come fosse estraneo ai suoi stessi indumenti. Appena le sue mani toccarono il metallo freddo sgusciarono via dal tessuto, quasi volessero liberarsi da una morsa stretta, avevano voglia di uscire.

<Grazie, sul serio, grazie mille, io->

<Di niente.>

L'espressione sul volto dell'altro si spense ancora, all'improvviso. Come se lo sorprendesse il fatto che Francesco non avesse voglia di sentire la storia della sua vita riassunta in cinque minuti. Il ragazzo gli sorrise lo stesso, testardo, e Francesco abbassò lo sguardo verso il selciato, portandosi una mano al volto e finendo per osservare anche i minimi particolari del terreno. Vi era un sasso rosso, quasi fiammante, tanto acceso che si chiese se qualcuno lo avesse colorato. Una margherita, ormai sfiorita, giaceva alla sinistra del sassolino. Voleva sollevarla, voleva farle capire che non era morta, per lui sarebbe stata sempre bellissima.

Non voleva essere scortese. Anzi, non lo era mai stato in diciassette anni di vita. Finiva per odiarsi tutte le volte che metteva se stesso prima degli altri. E sapeva perfettamente che, anche quella volta, si sarebbe odiato fino allo sfinimento.

<Scusa, potresti fare tu il numero?>

Francesco sollevò la testa verso gli occhi del ragazzo.

<Intendi il numero di telefono?>

<Sì.>

Il giovane gli porse il cellulare e arrossì, come se stesse mostrando una sua debolezza. Un ciuffo ribelle e biondo si posò sul naso dritto, lui lo scansò subito, meccanicamente.

Francesco lo osservò, mentre svolgeva quell'azione, e gli apparse fragile, sottile, appena reale, emanava la stessa luce che gli sembrava provenire da Eva. Erano quelle creature contraddittorie, fragili e in grado di soffiare sul mondo e buttarlo giù, in un attimo, come cartapesta. Erano quelle creature dal fascino terrificante, e Francesco non voleva fare altro che tirarsi fuori dalla situazione il prima possibile.

Inclinò la testa e prese il telefono in mano: <Vai.>

I numeri si susseguirono, Francesco scriveva e lo sconosciuto dettava, con una voce ferma e, al contempo, mossa da una vergogna innaturale. Creatura contraddittoria.

<Grazie.>

<Di niente.>

Durante la telefonata, Francesco attese, non ascoltò nulla e si allontanò di qualche passo. Certo, non fu difficile capire che il ragazzo non avesse parlato in italiano. Ma, che non fosse di lì, l'aveva già capito dall'accento. Francese, forse. Si sforzò di non pensare a niente, si accorse di non esserci riuscito e riprese il cellulare il prima possibile.

<Grazie ancora.>

<Di niente.>

Fece per voltarsi quando sentì una mano toccargli il braccio teso, si girò di scatto e vide il ragazzo accogliere nelle sue mani la coccinella che, poco prima, lui aveva tenuto sulla mano. Doveva essere volata via, per poi arrivare sul suo bicipite destro. I nervi si tesero, non sapeva cosa dire, né cosa fare. Lo sconosciuto sorrise, rilassò i muscoli del volto e Francesco lo invidiò, come poteva essere a suo agio?

Creatura contraddittoria.

Il ragazzo guardò la coccinella, sorrise, per poi alzare gli occhi verso di lui.

<Sai che le loro larve si mangiano tra loro?>

E fu un'affermazione talmente inaspettata, detta in un momento di tensione così alta che a Francesco venne da ridere. Era terribilmente difficile capire gli altri esseri umani. Infinitamente complicato, troppo per le capacità di un ragazzino incerto e confuso. Ogni tanto, gli esseri umani erano così astratti da sembrare bellissimi.

<Mi hai illuminato.>

Risero entrambi.

<Mi immagino.>

<Scriverò una tesi di laurea sulle larve delle coccinelle.>

A quel punto, il ragazzo biondo si portò una mano alla bocca e provò a nascondere una risata che coinvolse tutti i muscoli del suo volto. A Francesco sembrò un bambino, incapace di reagire al mondo tanto quanto lui. Gli fece tenerezza. Si chiese se stesse cercando un amico, poi si maledisse per non avergli nemmeno permesso di presentarsi.

Ma Francesco era piccolo, spaventato, e la contraddittorietà era quanto di più terrorizzante esistesse al mondo. E stava fermo, mentre il resto dell'universo andava avanti, ed ebbe la sensazione che il ragazzo stesse aspettando qualcosa, una sua parola, una reazione. Un gesto flebile, appena accennato. E non glielo concesse.

L'indomani avrebbe accompagnato Eva, lei avrebbe conosciuto nuova gente e poi, semmai, anche Francesco avrebbe avuto qualche nuovo amico. Non era lui a dover iniziare, lui poteva solo stare a guardare. Non aveva nulla che gli altri avrebbero potuto cercare in un amico.

Il ragazzo biondo attese ancora un po', ostinandosi a non spegnere quella sorta di fiammella che lo teneva acceso.

Aspettò altri due secondi, poi altri tre, poi sorrise appena e sentì un unico, minuscolo, singhiozzo fermarsi alla bocca dello stomaco. Agitò la mano, mormorò uno ciao appena accennato e non si voltò, nemmeno quando sentì Francesco salutarlo a sua volta.

Portò via con sé quella consapevole spensieratezza che Francesco non aveva.

Avevano fallito entrambi.

E Francesco aveva l'abitudine di farsi domande a cui non riusciva a dare un senso. Sorrise pensando che, nella sua vita,  c'erano ben poche cose che avessero un senso. Tutto era ammucchiato senza un criterio, cose belle, cose brutte, ogni particolare era mischiato in un caos colossale di cui non trovava la fine. Gli sembrava che ci fosse un muro a separarlo dalla realtà, quella realtà strana che non riusciva a toccare neanche con il pensiero, neanche con l'immaginazione.

Prese il telefono e salvò il numero che il ragazzo gli aveva chiesto di digitare. Non si sa mai pensò, riponendo il cellulare in tasca. Si avviò verso casa, ondeggiante, quasi esausto. Pensò pure di andare al campo da calcio, perché qualcuno sarebbe stato di sicuro disposto a giocare un po', ma rinunciò all'idea quasi subito. Si ricordò delle parole di Eva, di come lui stesse sprecando l'estate dietro a pensieri poco lucidi.

La chiamò d'istinto, senza nemmeno rendersene conto.

<Che fai?>

<Schifo, prossima domanda?>

<Dai, seriamente.>

La sentì sorridere.

<Sono a casa con Lara, se ti va passa.>

<E che state facendo?>

Eva rise ancora.

<Ma che vuoi che si faccia... Niente. Io te l'ho detto, se vuoi venire, vieni.>

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