Copertina

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<Cazzo.>

L'acqua si disperse per il tavolino, abbandonando il bicchiere disteso sulla superficie legnosa.

Perché era già tutto un casino di suo, ma questo non bastava e dovevano essere un casino anche quei gesti normalissimi che doveva fare tutti i giorni.

Era confuso, e distratto. E la sua testa si spegneva di continuo, impedendogli di dormire, di esistere e di fare letteralmente qualsiasi cosa senza distruggere tutto. Era un bel casino. E lui aveva solo sete, e voleva solo bere, e tutta l'acqua si era riversata sulla versione sospesa a metà, sulla copertina del dizionario di latino, e su tutta la prima pagina corrispondente alla lettera P.

Il ragazzo scosse impercettibilmente la testa, cercando di allontanare quelle schegge di ghiaccio che lo facevano restare inerme.

Con un fazzoletto tamponò le pagine, prima chiedendosi come avesse fatto a permettere una cosa del genere, poi ricordandosi della sua naturale propensione per i casini. Doveva avere ereditato qualche gene da qualcuno, per forza.

Sollevò la copertina di cartone che avrebbe dovuto contenere il dizionario e rimase alcuni secondi a fissare l'alone bagnato, indeciso sul da farsi. Inevitabilmente si sarebbe piegata, ma non avrebbe potuto asciugarla con il phon, dal momento che non sapeva neanche dove fosse, visto che non lo usava da mesi.

Gettò uno sguardo verso la finestra, sotto cui si tendevano due fili spessi e bianchi, sui quali metteva ad asciugare i vestiti bagnati. Si diresse, poco convinto, verso di essa e cercò uno spazio libero tra gli abiti che aveva posizionato lì quella stessa mattina.

Pose un lembo della copertina fradicia tra il filo e una molletta gialla. Rimase qualche istante a guardare la sua opera penosa e sperò che nessuno passasse sotto casa sua, perché non sarebbe stato un bello spettacolo da vedere. No, decisamente.

Aveva tradotto solo due periodi e non era soddisfatto del lessico scelto: gli sembrava di star sminuendo lo spessore della battaglia, riducendola quasi a un capriccio tra bambini. Arricciò il naso, fissando il foglio praticamente bianco e cosparso di parole cancellate con scarabocchi. Non era una versione difficile, se fosse stato in forma l'avrebbe finita in una mezz'oretta scarsa.

Ma non era in forma. E si distraeva.

Cazzo.

Bastava un rumore minuscolo ad attirare la sua attenzione, e gli servivano decine di minuti per ritornare a studiare. Aveva provato a mettere della musica, ma si confondeva lo stesso e quindi l'aveva spenta.

Si portò le mani davanti agli occhi e sbuffò così forte che gli parve di potersi sgonfiare.

Era un po' perso, in realtà.

Sia nella versione che al di fuori.

Con la penna a sfera nera trasse un rigo sulla traduzione. Gli venne male anche il rigo, perché uscì tutto storto e per niente omogeneo.

Qualcuno bussò, con un ritmo squillante, alla porta d'ingresso, Francesco si diresse ad aprire e lasciò volentieri il quaderno sul tavolo, sperando che si smaterializzasse durante la sua assenza.

Spalancò la porta e Lara invase ogni singolo centimetro del suo campo visivo. La pelle abbronzata profumava di fresco, con una fragranza che indossava solamente nelle occasioni di media importanza, tra l'inutile e ciò di cui non si poteva fare a meno. Sulle spalle le ricadeva un abito bordeaux, cosparso di balze morbide dal bacino alle ginocchia. I capelli erano raccolti in una coda alta, il viso radiante aperto in un'espressione divertita.

<Dove devi andare?> Chiese Francesco, riferendosi all'outfit riservato alle feste e al suo emanare gioia da tutti i pori: <Sembri uscita da Grease.>

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