Gioco

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<Ma quante sono?>

<Secondo te mi metto a contarle?> Gli rispose Francesco, dopo essergli giunto di nuovo vicino. Axel sorrise al cielo e lui seguì il suo sguardo dove gli occhi erano solo pallini in mezzo ad ali di rondine.

Aveva il respiro pesante, ed era piuttosto sicuro che non fosse perché aveva corso tornando dall'altro. Aveva il respiro pesante perché era semplicemente tornato dall'altro. Guardava le rondini e finiva per osservare Axel, come se avesse deciso improvvisamente di bruciare gli occhi sfiorandoli col sole. Gli facevano male, li avrebbe strappati, uno per volta.

Per quanto fosse sicuro di averlo guardato abbastanza nelle ultime settimane, gli parve di scorgere particolari superflui sul suo volto, particolari ai quali non aveva mai fatto caso e che, in quel momento, coprivano ombre immense.

C'era la curva del collo, morbida e spigolosa dove affluiva sulle spalle. Sentì le dita tremare al pensiero di vederla così vicina da poterla sfiorare. Se solo avesse voluto, avrebbe potuto poggiare l'indice in quella minuscola cavità nata da una sporgenza della clavicola. C'era una piccolissima bruciatura solare sul suo zigomo destro, quello rivolto verso di lui. La pelle era di un colore più roseo, come se si fosse sgualcita. Francesco si chiese se l'avesse mai baciata senza accorgersene, una di quelle volte in cui aveva poggiato le labbra sul suo volto.

C'erano le estremità degli occhi, dove le ciglia si scontravano e sembravano più scure. Da lì le iridi apparivano quasi normali, come se non fossero state capaci di perforare il cielo. C'era la linea della mandibola, appena accennata come ogni singolo spigolo del suo volto. Era tagliente, eppure sapeva di nuvole. C'era la pelle morbida che la congiungeva al collo, tesa per lo slancio che le consentiva di rivolgersi alle rondini. Era bella, più chiara del resto del corpo, una nuvola all'alba.

Chissà se gli piacerebbe se io lo baciassi lì.

Francesco distolse improvvisamente lo sguardo dal profilo dell'altro, il cuore che gli batteva un po' più forte nel petto.

Basta. Intimò a se stesso, ingoiando respiri sottili come se fossero pronti ad esplodere.

Non riusciva più a tenere qualcosa sotto controllo, era fuori dalla sua stessa portata e tremava al solo pensiero di lasciarsi andare.

Cosa sarebbe successo?

Cosa sarebbe successo se lui avesse smesso di offuscare quei pensieri luminosi come piccole stelle cadute su un sentiero? Più sperava che non succedesse, più li enfatizzava, era un enorme paradosso dal quale non riusciva a fuggire in alcun modo. Era un bel casino, ed era un casino anche il fatto che non avesse altro su cui concentrarsi. Fosse stato inverno, avrebbe potuto studiare, si sarebbe potuto infilare nei libri per dimenticare tutto il resto. Invece no, era estate, era caldo, e il suo corpo non avrebbe retto un giorno ancora in casa.

Era estate e le estati non gli erano mai sembrate così belle.

Chissà se si ecciterebbe se io lo baciassi lì.

Francesco sentì le guance accaldarsi e piantò lo sguardo sul suolo. Un brivido timido lo percorse interamente e lui lo soppresse al pari di un desiderio malato.

Malato.

Un morbo, un'erba da estirpare, un albero ardente in un bosco secolare.

Malato.

Squilibrato, scomposto, sbagliato. Un gioco durato troppo a lungo che adesso lo stava squarciando. Un enorme errore, un malinteso desiderato fino alla fine. Un fallo, un vortice che gli tagliava via la ragione. Avrebbe voluto dover studiare per un compito di fisica. Sarebbe stato più semplice e più piacevole. Ma sapeva perfettamente che Axel non fosse peggio di un compito di fisica. Si stava prendendo in giro da solo.

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