Le dita di Francesco si sarebbero congelate da un momento all'altro.
E il fatto che ci fossero trenta gradi all'ombra di sicuro non lo aiutava.
Ogni singolo centimetro del suo corpo era in fibrillazione, nell'attesa della concretezza del terrore. Si sentiva circondato da uno strato surreale fatto di rigoli di gioia che ai suoi occhi erano così sottili da respingere lo sguardo, mentre il respiro era divenuto un supplemento saltuario alla sua condizione disillusa e splendida allo stesso tempo. Tipo le recite di Natale alle elementari.
Quando il maggiore problema di quella classe era recitare bene le tre battute in croce che erano state a loro assegnate. A lui, in particolare, toccavano le più semplici, quelle che nessuno voleva ripetere. Aveva un tono di voce troppo basso, che scompariva persino sotto ai sospiri del più piccolo gatto senza nome. Era minuscolo, con l'abitudine di chinare la testa e fissare il terreno, guardava il tramonto solo nel riflesso delle pozzanghere. E si accontentava.
Le recite lo terrorizzavano.
Ancora di più lo atterriva l'espressione della madre, sorridente in seconda fila, perennemente seduta al fianco dei genitori di Eva. Aveva sempre fatto fatica a leggere le emozioni nei suoi occhi, ma, in quelle occasioni, trapelavano dal suo volto flebili aspettative e fiduciose certezze.
Lui stringeva i pugni e le unghie gli affondavano nei palmi. Qualche bambina, dietro di lui, si lamentava del vestito troppo lungo, qualche maestra percorreva a grandi passi l'aula, alla ricerca di inverosimili oggetti di scena. Avrebbe mentito, dicendo che partecipava alle recite solo perché il giorno seguente si sarebbe svegliato sapendo di essere in vacanza. Lo faceva perché c'era Eva. Perché era costantemente alla ricerca di qualche motivo per apparirle un po' meno trasparente di quanto appariva agli altri.
Magari, se si fosse dimostrato un bambino bravo, lei gli sarebbe stata sempre accanto.
Eva era perfetta, aveva già quei boccoli morbidi e scuri che le scivolavano giù dalle spalle, aveva già delle piccole lentiggini su un volto ancora più piccolo. Gli ricordava l'illustrazione di Biancaneve che decorava il libro grazie al quale aveva imparato a leggere. Biancaneve gli aveva permesso di fare dei suoi occhi delle macchine magiche per tradurre lettere, Eva gli aveva insegnato a vedere qualcosa di bello, con i suoi occhi.
Gli anni passavano e non sapeva cosa ci trovasse, in lui.
Un sacco di bambini provavano ogni giorno ad avvicinarsi a lei, ricevendo solo qualche parola pronunciata con tutta la grazia che aveva in corpo a sette anni. Ed Eva, a sette anni, di grazia in corpo ne aveva relativamente poca.
Si sedeva a gambe incrociate davanti a lui, sfoderando il suo panino al prosciutto che divorava voracemente. Che ne sai? Magari tutte le fette si uniscono, tornano a vivere e scappano. È meglio mangiarlo tutto e subito gli diceva, prima di mettersi a ridere per chissà quale motivo. Eva era così perfetta, e lui era così timido.
Il perché avesse scelto lui era un mistero.
Francesco non lo sapeva, e probabilmente neanche Eva.
Nessuno aveva idea del perché si volessero bene.
Alle recite, Eva aveva sempre una delle parti più corpose. Sorrideva davanti al pubblico e, in un attimo, tutte le attenzioni erano focalizzate su una bambina dal volto simile a quello di una di quelle bambole di terracotta. Dava l'impressione di poter fare ogni cosa, di creare fiori da quelle labbra sottili e fuse con la pelle candida. La parte della principessa bellissima chiusa nella torre altissima le calzava a pennello.
Pur di non restare chiusa in quella torre, io mi sarei buttata gli avrebbe detto qualche anno dopo. Saresti morta le avrebbe risposto lui. Meglio morta per davvero che per finta, e così sarebbe finita la conversazione.
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Lux
RomancePer amore la gente fa cose strane. C'è chi stermina eserciti, chi piange per giorni, chi attraversa nazioni intere desiderando un solo bacio, chi legge libri in codice braille in lingue che non conosce. Francesco faceva parte di tutti e quattro i gr...