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L'anno era il 1812 e a New Orleans si respirava un'aria umida e pesante. Verso il tramonto di quel diciotto agosto, ho emesso il mio primo pianto. Mia madre mi ha preso in braccio per la prima volta appoggiandomi al suo petto sudato che si alzava e abbassava freneticamente, così sono venuta al mondo.

La mia famiglia non era convenzionale¸ o meglio, non sarebbe convenzionale ora, ma all'epoca era più che normale. Non avevo un nome, avevo una madre che tossiva spesso e un fratello con la pelle di un colore diverso dal mio. Mio padre, Alfred Fletcher, era un aristocratico ed era il proprietario del campo in cui lavorava mia madre. Un giorno l'aveva trovata particolarmente bella e non si era fatto scappare l'opportunità, dopo tutto lei era di sua proprietà, lo eravamo tutti. Non mi aveva mai guardato negli occhi, per lui non ero nulla se non un paio di braccia che lavoravano per lui. Mia madre mi aveva partorito sull'erba secca, davanti alla casa in legno che divideva con le altre donne. Aveva lavorato fino all'ultimo, quando le si sono rotte le acque aveva ancora le mani nel sapone. Per fortuna tra le altre donne c'era qualcuna che aveva già partorito e mia madre riuscì a sopravvivere al parto, un lusso che non tutte avevano avuto. Mio fratello aveva un padre diverso dal mio, lavorava nel campo di grano e ci amava molto, ma un giorno non tornò più. Sentii mamma piangere e le sue compagne mormorare parole a me sconosciute: "pestato a sangue". Non chiesi mai a mia madre che cosa fosse capitato, avevo cinque anni ed ero troppo piccola per accorgermi di cose così grandi. Mio fratello soffrì molto per la perdita di suo padre, era il suo eroe e anche con me era sempre stato gentile ed affettuoso. Il capo faceva la conta dei bambini nel campo e calcolava quanto profitto potevano dargli, se li considerava inutili li vendeva. I suoi bastardi non venivano mai venduti per preservare la sua reputazione, avevo una decina di fratellastri. Non ci era permesso parlare molto fra noi, ma mia madre aveva avuto un figlio dal suo compagno sotto il consenso del capo e quindi mio fratello poteva vivere con noi. Lui non era come gli altri miei fratellastri, c'era qualcosa di più fra noi. Lui aveva tredici anni ed era obbligato a lavorare nei campi insieme agli altri uomini, mentre io potevo ancora essere una bambina che aspettava che la madre tornasse dalla lavanderia dove lavorava. Mi annoiavo molto in verità, non avevo nulla con cui giocare e sia mia madre che mio fratello mi lasciavano la mattina presto e ritornavano nel tardo pomeriggio. Nonostante fossero sempre stremati cercavano sempre di farmi divertire e più di una volta mi cedevano la loro razione di cibo. Questo perché se fossi riuscita a crescere bene avrei potuto essere scelta per lavorare in cucina o addirittura come dama di compagnia per i figli legittimi di mio padre. Quando ero piccola era il mio sogno, avrei dato fatto qualunque cosa per poter pettinare i capelli di Theodora Fletcher. Lei era una vera signorina, avevamo quasi la stessa età e sapevo tutto di lei. Ogni volta che potevo la osservavo giocare in giardino, chissà cosa avrebbe pensato sapendo che eravamo sorellastre.

Mia madre si chiamava Poline, era la donna più bella del mondo e morì nel 1819 di tubercolosi. Non potemmo neanche dirle addio, quando il padrone si accorse che era malata la mandò via dalle sue terre per impedire che contagiasse qualcun altro. Eravamo divisi in tre gruppi da dieci e ogni gruppo aveva una casa fatta di legno dove dormire, non avevamo il bagno e per lavarci usavamo dei bacili di acqua che ci venivano gentilmente concessi dal padrone una volta ogni due settimane. Non bastavano mai per tutti e quindi avevamo stabilito dei turni per riuscire a lavarci tutti almeno una volta al mese. Tra di noi c'era molta solidarietà e quando nostra madre morì tutti si assicurarono che stessimo bene e cercarono di consolarci come meglio potevano. Quando cresci senza padre non ne senti la mancanza, non puoi soffrire per quello che non hai mai avuto, ma quando perdi colei che ti ha dato la vita e un'altra storia. Amavo mia madre, era bellissima e forte. Amava la vita e nonostante la nostra non fosse perfetta, lei faceva di tutto per renderla tale. Mi insegnò a parlare, mi insegnò a cantare e a viaggiare con la mente, perché quando sei proprietà di qualcuno, la fantasia è la tua unica arma. Mi mancavano le sue carezze e il suo sorriso rassicurante e certe notti mi sentivo terribilmente sola, mio fratello sentendomi piangere mi raggiungeva e si coricava di fianco a me per abbracciarmi. Ci volevamo molto bene, nonostante non fossimo veramente fratelli, eravamo una famiglia e solo questo importava.

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