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La camera che era stata assegnata a Hope era molto accogliente. Spaziosa e con due grandi finestre, aveva le pareti decorate con una carta da parati sul verde scuro con dei fiori rosati che si arrampicavano sui muri. Era una camera doppia e i due letti erano posizionati uno sopra l'altro per salvare lo spazio. C'erano due scrivanie spaziose e altrettante librerie, quella destinata a Hope era ancora vuota, ma ero sicura che la avrebbe riempita presto. Era appassionata ad ogni tipo di romanzo ed era entusiasta di scoprire cose nuove. Una volta entrata in quella che sarebbe stata la sua nuova camera, gli occhi di Hope si illuminarono e un grande ed eccitato sorriso apparve sul suo volto. Era così bello vederla felice. Anche se non avevano passato molto tempo insieme, le mancava suo padre, ma credevamo che conoscere parsone della sua età che potessero capirla nella sua stranezza, le avrebbe fatto bene. Hayley aveva deciso di iscriverla sotto il nome di Hope Marshall, non voleva che la gente fosse prevenuta riconoscendo il cognome di suo padre e per questo decise di usare il suo. Non la biasimavo per quella scelta, il nome della nostra famiglia è famoso per incutere timore ed era giusto che Hope incominciasse sul pulito.
Dopo aver lasciato le valigie in stanza Hope mi trascinò a vedere le aule che Alaric le aveva mostrato e quando entrammo in quella di storia della magia il mio cuore sobbalzò, eravamo in camera di Stefan. Decisi di scacciare via quel pensiero concentrandomi sulla mano che stringevo nella mia. In quel momento ero lì per Hope, non dovevo farmi distrarre. Lei aveva passato già la notte nella sua nuova camera, mentre io ed Hayley eravamo state ospitate a casa di Elena e Damon. Dopo aver visto la mensa, Hope mi portò nella grande biblioteca dove incontrammo Caroline accompagnate da due bambine che le stavano il più possibile vicine.
«Sono contenta che tu sia qua» disse sorridendomi. «Loro sono Lizzie e Josie» spiegò indicandole.
Loro mi fecero un leggero sorriso che io ricambiai emozionata.
«Lei è mia sorella» disse loro Hope piena di orgoglio.
Quelle parole mi riempirono di gioia e mi piegai sulle ginocchia per vedere meglio le figlie di Caroline. Lizzie era bionda con gli occhi cerulei come sua madre, mentre Josie era castana ed aveva gli occhi scuri come suo padre. La prima si presentò subito in modo energico ed esuberante come avrebbe fatto Caroline, la seconda, invece, mi fece solo un timido cenno con il capo senza dire una parola più del dovuto. Dopo aver chiacchierato un po' le tre bimbe andarono a giocare insieme e io rimasi con Caroline.
Dopo che l'avevo lasciata sola nel suo ufficio correndo via, avevamo avuto modo di parlare di quanto accaduto dandoci supporto a vicenda.
«Quando avete intenzione di partire?» chiese dolcemente.
«Presto» risposi. «Torneremo a New Orleans e poi io partirò per raggiungere Kol ovunque sia andato. Non ha ancora deciso in che città vuole stabilirsi, ma a questo punto credo che lo scopriremo insieme» dissi allegra.
«Sono contenta che siate di nuovo insieme, vi meritate il meglio» disse Caroline con una vena malinconica.
«Puoi venirci a trovare quando vuoi» dissi sincera.
«Lo farò» ribatté lei sorridendo.
Ero riuscita a raccontarle quello che era successo alla mia famiglia da quando ero tornata in vita e lei aveva capito perfettamente la situazione concordando sul fatto che mandare Hope in quella scuola sarebbe stata la cosa migliore da fare. Rimanemmo a Mystic Falls ancora qualche giorno e poi decidemmo di partire. Per Hayley, come per ogni madre, fu dura lasciare Hope. Erano state solo loro due per tanto tempo e lei non sapeva come separarsene, era fiera di sua figlia ed era certa, come me, che si sarebbe ambientata subito. Aveva il coraggio di una Mikaelson, ma aveva preso la sensibilità di sua madre ed era sempre pronta ad aiutare gli altri.

Tornammo a casa dopo aver salutato tutti e Hayley non si vergognò a versare qualche lacrima durante il tragitto. L'estate a New Orleans comportava festival all'aria aperta e frotte di turisti che visitavano la città incuranti dell'umidità e delle zanzare. Rimasi a Palazzo pochi giorni, giusto per riorganizzarmi e non lasciare nulla in sospeso. Il Quartiere, nonostante il dolore causato dal Vuoto, aveva trovato il modo di rinascere. Vincent aveva preso in mano la comunità delle streghe rassicurandole e riuscendo a mettere pace tra loro e tra i vampiri grazie a Josh un giovane vampiro che per tutti quegli anni era stato il braccio destro di Marcel. Lui ormai era partito con Rebekah e la comunità aveva bisogno di una guida. Hayley si era già presa l'onere di guidare i licantropi rimasti, facendo rifiorire anche la loro comunità. Mentre preparavo le valigie mi resi conto che amavo New Orleans. Era il luogo in cui ero nata e cresciuta e sentivo che tra me e quelle vie trafficate c'era un legame indissolubile. Non sarebbe stato facile partire, soprattutto perché avrei lasciato Hayley e Freya da sole. Keelin sarebbe partita poco dopo di me per andare in Ghana dove avrebbe fatto volontariato per sei mesi. Lei era un'infermiera e aiutare gli altri era la sua vocazione. In questo mi ricordava Elena, ma a differenza sua Keelin era un fuoco che ardeva. Mi piaceva la sua compagnia e credevo che fosse la perfetta compagna per Freya. Tanto una era mansueta e riflessiva, tanto l'altra era energica e impulsiva. Erano una bella coppia ed ero felice di vederle così innamorate.

Entrai in aeroporto con la consapevolezza che da quel momento tutto sarebbe cambiato. Avevo fatto imbarcare la maggior parte dei grimori custoditi a Basin Street, ma la possibilità di trovare una soluzione per riunire la mia famiglia era sempre più remota. Si trattava di magia oscura e non avevo idea di quanto tempo avrei impiegato per venire a capo di quell'incantesimo. Il Vuoto era qualcosa di completamente sconosciuto e non avevo speranze di batterlo in breve tempo. Atterai a San Francisco dopo quattro ore e mezza di viaggio. Uscii dall'aeroporto e presi un taxi diretta al 1583 di Dolores Street in Bernal Heights, l'indirizzo che Kol mi aveva inviato per messaggio. Arrivai in un viale residenziale decorato con delle palme e delle aiuole ben curate. Trovai il numero civico giusto e vidi Kol appoggiato sullo stipite della porta di ingresso che mi sorrideva entusiasta.
«Che ne dici?» chiese dopo avermi salutata.
«Chi hai soggiogato per poter vivere qua?» ribattei sospettosa.
«Che tu voglia crederci o no, è tutto nella norma. Ho comparto una casa per noi» disse fiero di sé.
Io ero senza parole. Era una villetta su due piani con grandi finestre e le pareti esterne dipinte di un verde pastello elegante e pittoresco. La porta di ingresso era bordeaux e alcune piastrelle colorate decoravano lo stipite.
«Hai comprato questa casa?» chiesi stupita.
«Sì» confermò lui allegro. «So che è dura da accettare, ma l'attuale situazione potrebbe protendersi per molto tempo e pensavo ci meritassimo un posto tutto nostro lontano da New Orleans. Non ti piace?» chiese preoccupato.
«È stupenda» risposi sincera.
Un sorriso stupito apparve sul mio volto e mi avvicinai a Kol per abbracciarlo. Dopo quello che era successo a New Orleans avevamo deciso di convivere per darci forza a vicenda. Avevo anche pensato di rimanere in città per aiutare Hayley, ma ero stata separata da Kol per troppo tempo e non volevo più patire la distanza. Vedere quella casa, però, mi aveva emozionato più di quanto mi aspettassi. Era stato Kol a scegliere la città e io ero felice di sperimentare la vita in un luogo in cui non ero mai stata.
«Vieni, ti faccio vedere l'appartamento» disse Kol prendendomi per mano.
Appena varcata la soglia dovemmo salire una breve scala per arrivare al piano dell'appartamento. Salite le scale si trovava la prima camera da letto che era già perfettamente arredata come il resto della casa. Al centro spiccava il letto matrimoniale con di fronte una finestra che dava sulla villetta dei nostri vicini. Di fianco al letto c'era un piccolo armadio a muro e una scrivania di legno con una sedia di stoffa sistemata sotto. Tramite una porta intarsiata con delle parti di vetro così da far trasparire la luce, si arrivava in salotto dove tre grandi finestre, che davano sulla strada, illuminavano l'ambiente riflettendo sulle pareti bianche. Sotto la finestra di trovava un divanetto che sarebbe stato perfetto per le mie letture, invece, di fianco al divano più grande, si trovava lo stereo con alcuni dei vinili di Kol. Ritornando verso le scale si intravedeva una stanzetta che non era stata ancora arredata, ma che aveva una finestra che dava anch'essa sulla strada; sarebbe stata perfetta per farci uno studio o qualcosa del genere. Proseguendo per il corridoio si giungeva al bagno con tanto di doccia e vasca da bagno, e poi si arrivava nella saletta da pranzo che regalava la visuale sul cortile interno. Dalla sala da pranzo si arrivava alla cucina, luminosa e spaziosa che nascondeva il locale lavanderia. Da lì si accedeva alle scale di legno che portavano nel giardino interno ancora da arredare.
«Che te ne pare?» domandò Kol entusiasta.
«È perfetta» risposi sorridente.
«Possiamo iniziare da capo» disse lui abbracciandomi da dietro. «Qui possiamo essere chi vogliamo dimenticandoci il passato.»
«Non credo di voler dimenticare» dissi convinta. «Vi ho promesso che riuscirò a trovare una soluzione per riunire la famiglia e lo farò.»
«Su questo non ho dubbi» ribatté lui appoggiandosi alle mie spalle. «Ma non voglio vederti passare i prossimi anni a lavorare su un incantesimo. Dobbiamo costruire la nostra vita, lo meritiamo.»
«Affare fatto» dissi girandomi per stringergli la mano. «Quando vedrai il mio lavoro diventare ossessione, avrai il diritto di importi fermandomi.»
«Lo dici come se fosse una cosa possibile» osservò lui scherzando. «Direi che è un buon contratto» aggiunse stringendomi a sua volta la mano.


Ciao! Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e perdonatemi per eventuali errori. Seguite la pagina @sifane_by_maggie su Instagram per essere sempre aggiornati sulla storia e scoprire tante curiosità. 
Buona lettura!
Maggie.  

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