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 Fu una cerimonia stupenda, piena di amore, risate e musica. La casa era decorata in modo sopraffino e tutti gli invitati erano a loro agio. Klaus aveva insistito affinché i due si sposassero in casa, ci sarebbe stata più protezione per Hope e lui avrebbe potuto mantenere il controllo della situazione come gli piaceva tanto fare. Nonostante avessimo ancora tante questioni irrisolte eravamo tutti uniti, pronti a festeggiare Hayley e Jackson nel loro giorno. Hayley dall'armadio di Rebekah aveva scelto un abito semplice, bianco, con lo scollo a barca e la gonna dritta, senza fronzoli, proprio come era lei. Le avevo acconciato i capelli in uno chignon morbido e i bambini che facevano parte del branco le avevano regalato dei fiori con cui avevamo fatto il bouquet. Era tutto perfetto. Hayley era agitata, ma convinta della sua scelta. A celebrare il rito sarebbe stata la nonna di Jackson che era una degli Anziani del branco e aveva l'autorità per farlo. Lo sposo era molto elegante, era strano vederlo senza la sua solita camicia di flanella, ma con la camicia bianca e la giacca faceva la sua bella figura. Nonna Marie e Jackson aspettavano la sposa sotto l'arco di fiori in fondo al salone e lei mi chiese di accompagnarla. Non potevo tirarmi indietro e fui felice di tenderle il mio braccio. Si appoggiò completamente a me e io fui pronta a sorreggerla. Indossavo un vestito blu notte che arrivava a terra e lasciava la schiena scoperta, avevo domato i miei ricci in una traccia che mi cadeva morbida sulla spalla. Insieme io ed Hayley eravamo stupende, ma lei era radiosa. Il sorriso che le era comparso sul volto era eterno e la felicità aleggiava intorno a lei. Quando arrivammo davanti allo sposo la lasciai andare e dopo averla baciata teneramente sulla guancia mi avviai verso il mio posto al fianco di Klaus. Mi commossi durante la cerimonia e quando i due sposi si baciarono riuscii ad avvertire la magia che quel gesto aveva scatenato. Il branco di lupi di Hayley era diventato un branco di ibridi e finalmente sarebbero riusciti a controllare la loro natura senza vincoli.

La festa si spostò in strada come da tradizione a New Orleans e tanti musicisti si unirono al corteo insieme a tanta gente. Ero felice, ma ero anche preoccupata perché sia Kol che Rebekah non si erano presentati al matrimonio. All'inizio mi ero arrabbiata perché credevo che il mio accompagnatore mi avesse dato buca, ma ero certa che Rebekah non si sarebbe mai persa un evento del genere. Marcel mi fece ballare per allontanare i brutti pensieri. Ero felice che fosse tornato a casa sano e salvo ed ero fiera di lui per aver resistito alle torture di Finn.
Mentre percorrevamo le strade principali esultando e battendo le mani intravidi finalmente Kol tra la folla e decisi di raggiungerlo. Era pallido e nere occhiaie gli incorniciavano gli occhi, tremava e non riusciva a stare in piedi senza appoggiarsi al lampione.
«Stai bene?» chiesi preoccupata.
«Sei bellissima» disse lui non rispondendo alla mia domanda.
Gli presi le mani tra le mie e un brivido mi percorse la schiena, erano gelate.
«Ascoltami» disse calmo sorvolando sulla mia preoccupazione. «Finn si è un po' arrabbiato quando abbiamo provato a salvare i vampiri di Marcel e...» le lacrime gli bagnarono le guance e la paura iniziò a divorarmi dall'interno. «Pensavo di stare un po' meglio di così e invece non ho più tempo» disse singhiozzando. «Finn mi ha condannato a morte, mi ha maledetto.»
Rimasi pietrificata e il mio cervello smise di funzionare. Iniziai ad ansimare e dovetti appoggiami anche io al lampione per non crollare. Cercai di calmarmi e il mio lato razionale prese il sopravvento cercando disperatamente una soluzione.
«Per questo Rebekah non è venuta al matrimonio, ti stava aiutando a liberarti dall'incantesimo di Finn. Ora che è una strega l'hai fatta entrare nella tua casa magica, vero?»
«Sì, ma...»
«Niente "ma"» lo interruppi. «Dobbiamo raggiungerla per farti guarire, possiamo farcela.»
Lo presi da sotto le spalle e lo sorressi fino a Basin Street dove si trovava la casa magica di Kol. Una volta entrati venimmo accolti da Rebekah che mi aiutò a farlo sedere su una delle poltrone dell'ingresso. Appellai la maggior parte dei grimori presenti nella biblioteca e cercai freneticamente l'incantesimo giusto.
«Dobbiamo cercare un incantesimo protettivo» pensai ad alta voce.
«L'incantesimo di Finn lo blocca e il corpo di Kol sta morendo» osservò Rebekah. «Dobbiamo farlo entrare in un alto.»
«Un corpo non si trova al mercato!» esclamai isterica. «Non sappiamo nemmeno la formula per farlo.»
«Beks» disse Kol chiamando la sorella. «Lasciami un momento solo con Judith.»
Lei uscì senza obbiettare e lui si alzò in piedi con estrema fatica prendendomi le mani. «Ti avevo detto che ti avrei fatto ballare al matrimonio, dovremmo accontentarci di ballare qui.»
Mi strinse tra le sue braccia e le nostre lacrime si mescolarono mentre i nostri corpi danzavano su una melodia immaginaria.
«Non è giusto» dissi tra i singhiozzi.
«Lo so» disse lui. «In questo momento nell'ingresso di una casa stregata c'è un ragazzo che sta ballando con la sua ragazza, è giovane e ha tutta la vita davanti e io lo odio.»
La tosse lo prese alla sprovvista facendolo tremare da testa a piedi.
«Credo di voler rimanere da solo adesso» disse amaro.
Non potevo sopportare di vederlo così, ma non potevo neanche oppormi alla sua scelta. Fece per andarsene, ma qualcuno bussò alla porta. Aprì il massiccio portone di legno e trovai tutti i Mikaelson riuniti pronti a l'ultimo saluto a Kol.
«Noi siamo la tua famiglia, sempre e per sempre. Non ti lasciamo da solo» disse Klaus abbracciandolo.
Queste parole avevano un significato speciale per noi: "Sempre e per sempre" era una promessa fatta dalla famiglia Mikaelson quando erano poco più che bambini. Ero un segno d'affetto e di appartenenza e valeva per me, per Marcel e per tutti i Mikaelson che volevano fare parte di quella famiglia.
Kol stava soffrendo, Finn aveva specificatamente inserito il dolore all'interno della maledizione, ma eravamo tutti attorno a lui per fargli forza e condividere una parte di quel dolore.
«Ascoltami» dissi a Kol prendendogli il viso tra le mani. «Non ti manca molto, stai per morire. Ma lo farai da sciamano, noi consacreremo il tuo corpo e tu raggiungerai gli Antenati che possono essere portati indietro.» Razionalizzare il momento era l'unica arma che avevo per non crollare.
«Ti prometto, fratello mio,» disse Rebekah prendendogli le mani. «Che non lascerò questo corpo finché non ti avrò riportato indietro.»
«Non fa niente» disse Kol tra i conati e gli spasmi. «Sono soddisfatto di questa seconda vita. Sono felice che siate al mio fianco adesso.»
Mi guardò negli occhi e io mi persi in quel mare verde scuso con la consapevolezza che non ne avrei mai più visto la luce.
«Ti amo Jud.»
I suoi occhi persero colore, il suo sorriso si spense e le mani lasciarono la presa tra quelle di Rebekah. Non c'era più. Era morto. Lo tenni tra le mie braccia ancora un po' e fu come se al mondo ci fossimo solo noi. Lo amavo anche io, eppure non ero riuscita a dirglielo. Non ero in grado di contenere quel dolore atroce e lo riversai in un urlo straziante che rimbombò per tutto l'atrio. Un'altra persona se n'era andata, un'altra persona mi aveva riempito il cuore per poi lasciarlo in frantumi dietro il suo cadavere. Ero sopraffatta dai pensieri e dalle emozioni e Klaus dovette chiamarmi diverse volte per svegliarmi dal limbo in cui ero caduta. Lo seppellimmo quella sera stessa; decidemmo di cremarlo e scegliemmo una tra le cripte più eleganti del cimitero Lafayette. Gli altri pian piano tornarono a casa, mentre Klaus rimase con me fino alla fine.
«Mi sono innamorata di tuo fratello» dissi in un filo di voce. «Non so come sia successo, ma mi ha travolta.»
«Credi davvero che io sia così cieco?» chiese Klaus cingendomi le spalle. «Lui era cotto di te già a Mystic Falls.»
«Ho provocato io Finn, è di nuovo colpa mia se Kol è morto, come fai a non odiarmi?» chiesi sommersa dalle lacrime.
«Non devi incolparti di niente» ribatté lui stringendomi ancora di più a sé. «Non ero in me quando eravamo a Mystic Falls e ho commesso gravi errori, quello che hai fatto è stata una reazione giustificata alle mie azioni. Solo ora riesco a vederlo e per questo ti chiedo scusa.»
«Perché credi che Finn abbia fatto una cosa del genere a suo fratello?» chiesi esasperata.
«Finn ha la mente avvelenata da secoli di invidia e dolore. Di questo sono io il colpevole, potevo lasciargli vivere una vita lontano da noi, ma non potevo sopportare che uno dei miei fratelli non mi amasse. Sono stato egoista e questo è il prezzo che ho da pagare. Tu non hai colpe, anzi sei quella che trova sempre una soluzione alle mie malefatte. Kol mi odiava per la segregazione che gli ho inferto, tu gli hai fatto cambiare idea. Tu cambi le persone Jud, è il tuo più grande dono. Non voglio mentiti, sarà doloroso, ma se c'è qualcuno capace di riportare in vita mio fratello quella sei tu.»
«Se avessi saputo che bastava farti diventare padre per ammettere le tua colpe, avrei fatto in modo che accadesse prima» affermai con l'unica briciola di ironia che mi rimaneva. «Sono fiera dei passi avanti che stai compiendo, Hope avrà un grand'uomo come padre.»
Rimanemmo abbracciati ancora per qualche minuto e poi mi lasciò da sola a compiere l'incantesimo per consacrare le ceneri di Kol. Non potevo credere di averlo perso così in fretta. Mi erano bastati solo due mesi per innamorarmi di lui e ora era come avere una voragine nel petto.

Non uscii dalla mia camera per diversi giorni, mi sentivo vuota e senza prospettive. Non sapevo neanche da cosa cominciare per riportarlo indietro e mi sembrava una cosa impossibile. Una sera, mentre stavo tentando senza successo di leggere un libro, Camille entrò in camera mia stringendo tra le mani una tazza di tè fumante.
«Hanno mandato il poliziotto buono» dissi con un filo di voce.
Quel suono aveva una tonalità strana alle mie orecchie, era tanto tempo che non parlavo con nessuno. Avevo rifiutato qualsiasi visita.
«Non hai un bell'aspetto. Credo che questa possa farti bene» disse Cami appoggiando la tazza sul tavolino vicino alla poltrona su cui ero seduta.
«Sinceramente» dissi prendendo la tazza calda tra le mie mani gelide. «In questo momento preferirei una sacca di sangue, è molto tempo che non mi nutro.»
«Vedo che non hai perso il tuo senso dell'umorismo» disse lei avvicinandosi.
«Non era una battuta» dissi piatta e asettica.
Lei si ritrasse, ma non se ne andò. Ammiravo il suo coraggio e la sua determinazione, aveva intenzione di aiutarmi e non gli importava che l'unica cosa su cui riuscivo a concentrarmi era la pulsazione della sua carotide.
«Non ti chiederò "come stai"» disse seria. «Voglio solo dirti che non penso che ti faccia bene stare qui chiusa senza vedere la luce del sole.»
La prima cosa che avevo fatto era stata chiudere le persiane per perdere il senso del tempo il più velocemente possibile, non volevo sentire niente, volevo solamente vivere un giorno eterno per non rendermi conto di quanto tempo stesse passando dall'attimo in cui avevo perso il mio amore.
«Ho intenzione di tornare a Mystic Falls» dissi seria.
Mi era appena venuto in mente in realtà, ma come aveva detto Camille, cambiare aria era la cosa migliore da fare.
«Tante persone hanno bisogno del tuo aiuto qui. Finn è a piede libero, Rebekah è in un corpo che non è il suo e c'è la possibilità che Dahlia sia ancora viva» disse Cami il più dolcemente possibile.
«Non ho intenzione di andarmene via per sempre» dissi ovvia. «Voglio solo rivedere il mio migliore amico.»
«Scappare dai tuoi problemi non ti aiuterà»
«Capisco che tu abbia un master in psicologia, ma questo non ti dà il diritto di decidere della mia vita. Ora se non ti dispiace sei pregata di uscire, devo farmi le valigie» dissi spalancando la porta con la magia. «Credevano che mandando te, la loro psicologa del cuore, sarei stata magicamente meglio?»
«Io capisco che tu stia male...»
«Io non sto male» dissi interrompendola iniziando a sentire le punte delle dita pizzicare dalla rabbia. «Sono disperata. Il mio ragazzo è morto per colpa di un suo familiare cha voleva solamente punirlo per averlo preso in giro!» sbraitai. «Ora esci da camera mia. Va ad aiutare qualcun altro.»
Lei usci senza replicare e quando ebbe chiuso la porta mi resi conto di quanto fossi stata scorretta e meschina. Feci la valigia senza pensarci troppo, non avevo idea di quanto starei stata via, volevo solamente andarmene.

Partii senza salutare nessuno, tranne Marcel che mi incrociò nel cortile. Non volle spiegazioni, mi abbracciò stretta e mi lasciò andare prima che potesse vedere le lacrime che mi sgorgavano dagli occhi. Era sempre stato così tra di noi. Non mi impediva di fare nulla, esprimeva solamente il suo sostegno o meno sapendo che la sua opinione è quella che conta di più per me. Eravamo quasi telepatici e il più delle volte bastava uno sguardo per capire che cosa passava nella mente dell'altro. Avrei voluto parlare di come mi sentivo con lui, sicuramente mi avrebbe capito, ma non ci riuscivo. La sola idea di parlare con qualcuno della morte di Kol mi devastava facendo ritornare quella sensazione di vuoto a petto, come se qualcuno mi avesse strappato il cuore.

Giugno 2012




Ciao cari lettori, spero che questo capitolo vi sia piaciuto e perdonatemi per eventuali errori.
Siete felici di un ritorno a Mystic Falls?

Seguite la pagina @sifane_by_maggie su Ig per curiosità e aggiornamenti sulla storia.
Buona lettura!

Maggie

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