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All'improvviso tutto finì. In un attimo quello che avevo costruito svanì non lasciandomi niente.

Nell'estate del 1980 Klaus venne a trovarmi a New York, ero molto felice di vederlo, era passato parecchio tempo. Mi aspettavo che venisse anche Elijah o che Rebekah fosse stata liberata dal pugnale, ma Klaus non soddisfò le mie aspettative. Mi disse che aveva litigato con Elijah e che si erano divisi e che non aveva intenzione di risvegliare Rebekah. Mi stupii molto di questo, Klaus odiava stare solo e visto che suo fratello se n'era andato, avevo ingenuamente creduto che sentisse la mancanza della sorella, ma a quanto pareva non era così. Mi aveva chiamato lui, lui aveva deciso di venirmi a trovare ed io lo accolsi a braccia aperte, mi era mancato. Rimase con me per qualche tempo e fu bello, mi era mancato il suo sarcasmo e la sua incredibile astuzia. Non volle approfittare della mia ospitalità e invece di dormire a casa mia preferì andare in un hotel ad ostentare il suo denaro e a sentirsi superiore. Gli presentai Prudence, Cleo e contro ogni previsione gli piacquero e li prese in simpatia. Non ebbi occasione di presentargli gli altri perché Velma si era sposata, era andata a vivere in Ohio ed era al quinto mese di gravidanza, Francis era andato a vivere a Brooklyn con il suo fidanzato e anche Isaac era riuscito a trovare un lavoro stabile e si era trovato un appartamento per conto suo. Ci tenevamo in contatto spesso ed io ero felice che avessero trovato un posto nel mondo.
Ebbi anche il coraggio di presentargli Damon. Ingoiai la paura e per la prima volta gli presentai il mio fidanzato. In primo luogo, Klaus fu cortese e garbato, non lo mise in imbarazzo e si premurò perfino di chiacchierare con lui in maniera amichevole. Dopo quell'incontro che mi aveva fatto sudare come niente al mondo uscii a cena con lui sicura che avrebbe voluto fare dei commenti maligni su Damon.
«Forza dimmi quello che pensi» dissi interrompendo la quiete. «Il tuo silenzio mi sta uccidendo.»
«Non se ne parla» disse in un sussurro. «Anche se mi hai detto che è diverso da suo fratello, potrebbe comunque avere un'influenza negativa su di te. Sei appena uscita da un periodo difficile e ti ho mandata qui per impegnarti in qualcosa di concreto, non per innamorarti.»
Scoppiai a ridere.
«Stai scherzando vero?»
Lui era serissimo. Lo stava facendo ancora, mi stava trattando come Rebekah e non avevo intenzione di permetterglielo.
«Non ti sto chiedendo il permesso per uscire con Damon, volevo solo un tuo parere. Non hai il diritto di decidere chi posso frequentare.»
«Posso accettare che tu viva e frequenti con hippy che non fanno altro che fumare e ascoltare musica tutto il giorno, ma non permetterò che un ragazzo come Damon entri nella tua vita» sancì severo.
«Per tua informazione Prudence ha appena aperto una galleria d'arte, Isaac è stato preso dal New York Times per scrivere articoli di attualità e Cleo è al secondo anno alla Columbia e nel mentre lavora come cameriera, quindi non ti permettere di chiamarli scansafatiche. Sono persone che arrivano dal niente, come me, e adesso stanno arrivando in alto grazie solamente alle loro forze quindi si meritano tutto il tuo rispetto. Per di più Damon è una persona meravigliosa che tiene a me e che mi proteggerebbe da qualsiasi cosa, anche da te.»
Avevo parlato a ruota libera senza pensare alle parole che uscivano incontrollate dalla mia bocca.
«Io ti ho cresciuta, io ti ho istruita, io ti ho tolto dal niente in cui sei nata per cui sei una mia responsabilità...»
«Ma non una tua proprietà!» affermai digrignando i denti.
«Sei parte della famiglia e il mio compito è quello di proteggerti anche dalle cose che non vedi» disse con tono stranamente calmo.
Si stava trattenendo dall'esplodere e la vena che gli pulsava sulla fronte ne era la prova.
«Se sei dove sei ora non è merito delle tue lotte o del tuo coraggio» sibilò. «Il merito è tutto mio, dei miei soldi, del mio cognome, degli insegnamenti che ti ho dato.»
«Non osare» lo minacciai. «Ho lavorato duramente tutti questi anni per togliermi il senso di schiavitù con cui sono nata e ti sarò sempre riconoscente per averti tirata fuori da quel campo infernale, ma questo non ti dà il diritto di decidere della mia vita. Vuoi proteggermi? Allora fallo, ma senza allontanarmi dalle persone che amo.»
«Allora lo ami?» disse con un sorrisetto acido.
«Sì.»
«Allora hai passato più tempo con Rebekah di quanto pensassi» disse alzando gli occhi al cielo. «Se così ingenua che fai quasi ridere. Tu non lo ami, quello non è amore, è dipendenza. Sei ossessionata dall'aiutare le persone in difficoltà e Damon lo è, per cui adesso non puoi farne a meno.»
«Tu non sai niente. Sei sulla terra da molto tempo eppure sono poche le volte in cui ti sei innamorato, chissà mai perché» dissi tagliente.
«Stai giocando con il fuoco Judith» disse riprendendomi. «Sai che non ti conviene farmi arrabbiare.»
«È una minaccia? Perché sai che non conviene neanche a te farmi arrabbiare.»
«Touché» disse alzando le mani in aria. «Siamo pari, ma continuo a non approvare la vostra relazione.»
«Credevo che saresti stato felice per me» dissi all'improvviso triste. «Ma tu non puoi permettere che qualcuno sia felice senza di te. Per questo hai pugnalato Rebekah, perché non riuscivi a concepire che potesse farsi una vita senza di te. Hai talmente paura di rimanere da solo che tieni tutti al guinzaglio come dei cani sperando che in questo modo le persone si affezionino a te, ma lasciati dire una cosa: la verità è che tutti ti odiano.»
Scattai in piedi e uscii dal ristorante incamminando la via di casa.
Ad un certo punto mi fermai consapevole di aver innescato una bomba. Avevo taciuto per troppo tempo e le parole che avevo detto a qualche minuto prima mi giravano in testa da troppo tempo. Alcune non erano vere, era solo la paura di perdere Damon e la rabbia a parlare, ma altre lo erano, erano più che vere. Non aveva il diritto di trattarmi così, non ero una sua proprietà e non poteva permettersi di decidere per me. Ero grande abbastanza per prendere le mie decisioni e inoltre, amavo davvero Damon. Era entrato nella mia vita per caso ed ora ne era una parte fondamentale e non avevo nessuna intenzione di rinunciare a lui.
Tornai a casa ragionando su cosa fare, ma non raccontai niente a Damon. In qualche modo volevo proteggerlo da quel ginepraio e solo le sue mani calde che avvolgevano il mio corpo riuscirono a farmi dimenticare i miei pensieri concedendomi un sonno tranquillo.

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