Nel 1969 mi trasferii nella frenetica città di New York. Ero riuscita ad accaparrarmi un appartamento tra la settantunesima e la settantaduesima strada ed ero la persona più felice del mondo. Non era molto grande, ma si trovava all'ultimo piano ed aveva accesso ad un grande terrazzo su cui trascorrevo la maggior parte del tempo. La vista era mozzafiato, vedevo tutta la città e Central Park che era uno spettacolo meraviglioso soprattutto d'autunno. Era praticamente l'unico punto verde della città ed era come un bosco in miniatura. Furono anni particolari. Anni di lotte. Si protestava per i diritti civili, per la libertà di parola, per la guerra in Vietnam e per la libertà sessuale. Klaus mi aveva vista più di una volta fremere per le ingiustizie che si vedevano in televisione o che leggevo sul giornale e mi aveva spianta lui ad andare nella Grande Mela. La metropoli era una realtà che non avevo mai sperimentato ed ero entusiasta di iniziare una nuova avventura.
La lotta preponderante fu quella contro la guerra in Vietnam. Tutti i conflitti armati precedenti nella storia americana erano stati dipinti come "lotte per la libertà" e come tali intrisi di patriottismo e di retorica. Inoltre nell'era della televisione, le menzogne potevano essere facilmente smascherate. Nell'agosto 1965 il giornalista Morley Safer della NBC, la rete televisiva nazionale americana, trasmise un servizio giornalistico in cui si vedeva un plotone di soldati statunitensi che dopo aver rastrellato un villaggio vietnamita in cerca di Vietcong, incendiava senza ragione le capanne e le coltivazioni. Lo sdegno provocato dalla rivelazione di comportamenti crudeli e inumani perpetrati dai soldati americani, innescò una reazione di indignazione collettiva tra i giovani, gli stessi che avrebbero dovuto partecipare alla guerra come reclute.
Aprì la mi casa a cinque ragazzi che erano scappati dalle loro famiglie o dall'università per protestare contro la guerra. Si chiamavano: Cleo, Prudence, Velma, Isaac e Francis. Diventammo molto amici, erano tutti umani e ci volle del tempo prima che gli rivelassi il mio segreto, questo, però, non intralciò per nulla il nostro rapporto. Eravamo tutti molto diversi tra di noi, venivamo da luoghi diversi e avevamo diverse culture, ma i nostri ideali erano gli stessi e questo bastava. Cleo era molto giovane, aveva solo sedici anni, parlava di rado ed era estremamente intelligente; aveva lunghi capelli corvini che le arrivavano alla vita e occhi neri come la pece, era secca e minuta, ma non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno. Prudence era l'artista del gruppo, era una pittrice e credeva nel destino. Sosteneva, infatti, che il nostro incontro fosse stato scritto nelle stelle perché anche io, come lei, mi chiamavo come una canzone dei Beatles. Era l'unica persona al mondo che mi chiamava "Jude" dicendo che era senza dubbio l'abbreviativo di Judith. Aveva i capelli afro più belli che avessi mai visto e vestiva sempre in maniera colorata ed eccentrica. Velma era la perfetta ragazza da sposare: i suoi capelli biondi e i suoi occhi azzurri le facevano guadagnare la maggior parte delle cose che voleva e nascondevano, sono un'immagine da santarellina, la sua vera natura da ribelle. Era una ragazza energica e determinata, credeva fortemente nei suoi ideali ed era disposta a lottare per essi. Isaac era un ragazzo ebreo con un grande talento per la scrittura. Era l'unico dei cinque ad aver finito l'università e si vantava costantemente di avere una laurea a differenza di noi. Aveva una grande ironia, cosa che lo portava ad essere ancora più attraente oltre ai suoi occhi verdi. Francis era l'unico newyorchese del gruppo e nonostante questo preferiva casa mia rispetto all'attico dei suoi genitori. Era stato sbattuto fuori di casa dopo che aveva dichiarato di essere gay, lo avevano ripudiato e lasciato senza soldi, senza vestiti e senza un posto dove stare. Lo avevo incontrato su una panchina di Central Park. Stava fissando il vuoto e visto che era gennaio, stava per morire di freddo. Era l'ultimo arrivato, ma era un ragazzo alla mano e non fece fatica ad inserirsi. Insieme partecipammo a molte manifestazioni scambiandoci opinioni e idee. Il 28 giugno del 1970 la città di New York fu testimone del suo primo Gay Pride. Marciammo insieme a migliaia di giovani dal Greenwich Village a Central Park proclamando "la nuova forza e orgoglio delle persone gay" che diventò il titolo del New York Times. Mandammo un potente messaggio sia ai gay che agli eterosessuali, ossia che c'era un movimento di massa con il quale avere a che fare.
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Sifane
General FictionUna ragazza con un passato travagliato e con un dono speciale. Dopo un incontro inaspettato la sua vita cambierà per sempre e dovrà fare i conti con il tempo che passa. Una ragazza gentile, fedele, sempre pronta ad aiutare gli altri, dovrà confront...