CAPITOLO DIECI

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Era stremato, distrutto. Non ne poteva più.

«Testa, spalle, gambe, piedi, gambe, piedi...Testa, spalla, gambe, piedi, gambe, piedi – ancora!» era da quasi un'ora abbondante che Taehyung stava canticchiando e ballando con i bimbi quella filastrocca che per lui era ritenuta peggio di una tortura cinese. La gola gli bruciava e le ginocchia gli dolevano a forza di tenerle piegate.

Nonostante vantasse di un fisico asciutto simile a quello di un modello, Taehyung non era mai stata una persona ginnica anzi, detestava ogni tipo di attività fisica. Odiava il fatto di doversi muovere, faticare, per poi ottenere come risultato solo un odore nauseabondo sotto le sue ascelle. L'unica attività fisica che si concedeva? Il sesso. Perché il sesso non lo vedeva come un atto fisico in sé, ma più come un unione di due corpi trasportati dallo stesso sentimento, indipendentemente da quale fosse. Ma poi lui alla fine non aveva rapporti di quel tipo con un uomo da quasi due anni; quindi, non era neanche una scusa utile da usare. 

Stava per intonare l'ennesima frase della filastrocca quando il suono della campanella lo interruppe.

Grazie a Dio – pensò Taehyung mentre tirava un sospiro di sollievo. Quella stupida filastrocca lo aveva devastato. Fece indossare le giacchette a tutti i bimbi, mise lo zainetto in spalla ad ognuno di loro e poi li condusse verso l'uscita mettendoli, tutti in fila indiana. Quando arrivò il turno di Minho, quest'ultimo si spostò da un lato mettendosi a fianco all'insegnante. Taehyung sorpreso di tale atteggiamento si girò verso il pargoletto e gli chiese «Che succede Minho, come mai ti sei spostato?»

Minho si aggrappò ad una sua gamba mormorando «Io voglio andare a casa con te TaeTae. Non con la nonna» l'insegnante, a tale risposta, si voltò verso la signora anziana che si era avvicinata per recuperare il suo nipotino per poi voltarsi nuovamente verso il bimbo con un dolce sorriso «Facciamo una cosa Minho...siediti sulla panchina che ora vengo» il bimbo ubbidì subito a tale richiesta, andandosi a sedere sulla grossa panchina di ferro rossa che era posizionata all'entrata.

Nel giro di dieci minuti Taehyung aveva finito di accompagnare ogni bimbo al proprio genitore. Si avvicinò dunque – affiancato dalla nonna – verso Minho che, in quel momento, teneva le manine congiunte mentre era assorto nel vedere le proprie gambine dondolare nel vuoto. Appena si accorse però dell'arrivo del suo insegnante preferito alzò subito lo sguardo.

«Minho perché non vuoi andare a casa con la nonna?» domandò dolcemente Taehyung mentre si sedeva accanto al bimbo.

«Perché io voglio giocare con te TaeTae» piagnucolò Minho prima di sporgersi verso il maggiore ed abbracciarlo. Taehyung ricambiò di buon grado il gesto, iniziando ad accarezzargli dolcemente la schiena.

In tutto questo momento c'era la nonna che guardava entrambi, soprattutto i gesti che compieva il giovane insegnante per tranquillizzare Minho. Gli abbracci, i buffetti, le carezze e i bacini sulla testa: la nonna di Minho e gli altri genitori – compreso Jungkook – non avevano mai visto malizia in questi gesti, ma semplice e pura dolcezza. I gesti che Taehyung riservava ai bambini erano dettati da un istinto materno che cresceva in lui ogni qualvolta che aveva a che fare con le proprie bestioline o con qualsiasi bimbo. Li trattava come i migliori dei diamanti e per questo tutti i genitori erano sicuri che i loro figli fossero in buone mani con lui.

«Tesoro, ma te l'ho detto che oggi non potevamo giocare assieme. Devo vedere un mio amico»

Il labbro inferiore del piccolo e dolce Minho iniziò a tremare e gli occhi si allargarono per farsi lucidi «M-Ma i-io non s-sono tuo amico TaeTae? T-Tu n-non vuoi giocare c-con me? H-Hai un altro amico?» Taehyung a tale risposta andò nel panico: non pensava che con la parola "amico" Minho la prendesse in questo modo.

Rainbow Teacher || KookVDove le storie prendono vita. Scoprilo ora