Capitolo tredici

33 2 0
                                    

«Ehi, ragazzi! Come state?», chiesi, appena mi avvicinai a Michele e Leonardo

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.

«Ehi, ragazzi! Come state?», chiesi, appena mi avvicinai a Michele e Leonardo.

«Tutto bene, tu?», mi chiese Leo, abbracciandomi, gesto che ricambiai.

«Mi ha fatto molto contenta ricevere da voi questa proposta!», confessai con un sorriso sulle labbra.

Mi avvicinai al riccio per salutarlo come avevo fatto con l'altro ragazzo e capii dai suoi occhi che era successo qualcosa.

«Cos'è successo?», gli domandai.

Inizialmente non proferì parola, ma ormai mi conosceva e sapeva che non mi sarei arresa finchè non avesse aperto bocca, così mi raccontò cos'era successo quella mattina.

«Almeno è stata sincera», commentai.

«Già. L'ho apprezzato».

«Allora, che pizze avete intenzione di prendere?», chiesi mentre raggiungevamo la pizzeria.

«Penso di prendere una diavola», disse Michele.

«Io una capricciosa. Tu?», pronunciò Leo.

«Una pizza con mortadella, pistacchio e straciatella», risposi.

«Mi devi far assaggiare una fetta!», esclamò il ragazzo accanto a me, facendomi sorridere divertita.

«Certamente. Ma la stessa cosa vale per te!».

«Sarà fatto, capo!».

«Come hai trovato il lavoro in quel bar?», domandò Michele, cambiando argomento.

«Per prima cosa mi ha ispirata il bar, intendo esteticamente».

Ricordo che quello che richiamò la mia attenzione era la modernità e semplicità di quel posto: appena entrata notai delle luci soffuse ai lati delle pareti, sedie e tavoli di legno mogano con il contorno di un metallo argentato che dava al bar un'aria raffinata.
Ipotizzai che molta gente si recasse in quel posto per rilassarsi, passare del tempo con gli amici o semplicemente godere della pausa pranzo dopo una mattinata impegnativa.

«Mi ci sono vista mentre servivo tavoli e sorridevo a coloro che varcavano l'entrata, così ho chiesto di parlare con il titolare e, dopo un breve colloquio, mi ha dato alcuni giorni di prova. Ricordo che prima di uscire dal suo ufficio mi disse che vedeva del potenziale in me. Grazie all'aiuto di alcuni colleghi, ho iniziato a lavorare definitivamente».

«Sei davvero brava nel tuo lavoro, Bea».

«Grazie», dissi, rispondendo al complimento del riccio.

«Volete ordinare?» chiese il cameriere, dopo essersi avvicinato al nostro tavolo.

«Sì. Prendiamo una capricciosa, una diavola e una mortadella e pistacchio», dissi, alzando lo sguardo verso il cameriere che si segnò gli ordini e se ne andò.

«Come vi siete conosciuti?», chiesi a Michele e Leonardo.

«Ho conosciuto Leonardo al primo anno della scuola media. La maggior parte del tempo sedeva da solo, mentre scarabocchiava su un quaderno che si portava sempre in giro. Gli chiesi cosa scriveva e invece di rispondere, mi mostrò i disegni che aveva fatto. Erano bellissimi. Ritraevano paesaggi, persone, e immagini copiate da Pinterest.
Mi sedetti accanto a lui e gli chiesi da quanto lo facesse. Mi disse che lo faceva da qualche anno e che lo aiutava a ordinare i pensieri. Da quel momento iniziammo a vederci dopo scuola, a volte mi mostrava come disegnare degli occhi o un paesaggio, altre volte gli spiegavo argomenti che magari non aveva ben compreso durante la lezione. Così diventammo migliori amici. Eravamo sempre insieme», concluse Michele.

«Martina e Giovanni, invece?».

Quella volta mi rispose Leonardo. «Dopo le medie frequentammo entrambi il liceo artistico, e qui incontrammo Giovanni, diventando così un gruppo di quattro, compresa Martina, che avevo conosciuto alle medie. Con Giovanni non avevamo un rapporto molto stretto, ci volevamo bene e tutto, ma a volte era troppo sfacciato, soprattutto davanti a Martina. All'inizio non gli dava fastidio, ma poi, quando disse a Giovanni che provava qualcosa e lui non smise, capimmo che non aveva buone intenzioni. Cercava sempre di sminuirlo davanti a lei e metteva se stesso su un piedistallo, descrivendosi come il migliore del mondo».

In quel momento Michele lo interruppe, continuando il discorso.
«Quando abbiamo iniziato a frequentarci ha smesso per un po', anche se capitava che a volte cercava di farci litigare. Lo abbiamo evitato per un po', ma non si sa come ogni volta lo trovavamo nei luoghi dove andavamo».

«Ecco a voi», disse il cameriere, dando a ciascuno le pizze e allontanandosi subito dopo.

«E perché siete rimasti amici se vi dava fastidio il suo comportamento?».

«Bella domanda!», commentò Leonardo, facendo ridere me e il riccio, che rispose: «Martina era una sorta di filo che ci teneva uniti. Lei ci teneva a lui, molto».

«Capisco».

«Bea, quindi me la dai?», chiese Leo, ricevendo uno schiaffo sul collo dall'amico per il doppio senso della frase.

«Parlo della pizza, amico! Calmati», esclamò, difendendosi, mentre io ridevo per la situazione creatasi.

«Tieni». Gli diedi la fetta di pizza e ne presi una della sua. «Siete come dei bambini», affermai divertita.

«Hai sentito? Fai il babysitter e ti comporti peggio dei bambini!», pronunciò Michele, guardando il suo amico di sottecchi sperando di non ricevere uno schiaffo.

«Michele!», lo rimproverai.

«Almeno io so come comportarmi con dei bambini!», replicò, lasciando a bocca aperta il riccio.

«Ragazzi, basta, dai! State dando spettacolo!», dissi cercando di rimanere seria, ma quella situazione era troppo divertente.

«Pace». Leonardo si girò verso di lui, tendendo la mano per fare pace.

«Pace», replicò Michele, riportando la calma al tavolo.

«Siete incredibili!», commentai, certa che quella serata sarebbe rimasta per sempre nei miei ricordi.

Spazio autrice

Buonasera amori! Come state? Spero tutto okay.

In questo capitolo scopriamo delle cosine su Bea, Leonardo e Michele.

Fatemi sapere nei commenti  cosa ne pensate, lasciate una stellina e ci vediamo lunedì alle 21.30 <3. 

TikTok: biancaleonardi197
Insta: biancaleonardi3843

Perdersi per ritrovarsiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora