Capitolo quarantadue

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Aver parlato con Michele di Tommaso e di mia madre fu liberatorio

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Aver parlato con Michele di Tommaso e di mia madre fu liberatorio. Mi faceva sentire spensierata sapere che era a conoscenza del mio passato. Preferivo non parlare di mia madre, ma quando lo facevo ero generica e molto vaga sull'argomento. Con Michele, invece, era stato naturale. Mi ero sentita a mio agio ad aprirmi e parlarne. L'ultima volta che avevo provato una sensazione del genere era stato con Ginevra.

«Ha detto papà di scendere giù», disse Gaia, affacciandosi in camera.

«Arrivo.»

Le sorrisi e scesi dal divanetto che si trovava sotto alla finestra in camera mia. Poi andai in cucina.

«Papà, mi volevi?» domandai, raggiungendolo.

«Assaggia e dimmi se ti piace», mi disse, passandomi un cucchiaio con del sugo che dal sapore capii essere al basilico.

«Buono, però manca il sale», asserii, prendendolo e mettendone un pizzico nella pentola.

«Me ne sono ricordato adesso», ammise.

Ridacchiai, stampandogli un bacio sulla guancia e chiedendogli se avesse bisogno di altro.

«Puoi pulire l'insalata?»

«Certo.»

Presi una ciotola, un coltello e uscii l'insalata dal frigo. «Ginevra e Riccardo arrivano tra mezz'ora. Sai com'è, vuole sempre aiutare a fare qualcosa in cucina», dissi riferendomi alla mia migliore amica. Ogni volta che veniva da noi a mangiare o portava qualcosa o arrivava un'ora prima per aiutare in cucina.

Attenta ai dettagli e mai in ritardo, arrivò all'orario comunicato qualche giorno prima.

«Apro io!» urlò Gaia dal piano di sopra, correndo verso la porta e portando i due ospiti in cucina.

«Buongiorno, famiglia, come state?» esclamò la futura sposa, abbracciando mio padre e poi Gaia, avvicinandosi a me per ultima.

«Tesoro, come stai?» mi chiese, abbracciandomi con la dolcezza che da sempre le apparteneva.

«Bene, tu?»

Mi guardò per capire se stessi dicendo la verità e, quando ne fu certa, mi disse che anche lei stava bene. Lasciò posto a Riccardo che mi diede due baci sulle guance, lasciandomi una busta che mi consigliò di mettere in frigo.

«Che cos'è?», chiesi, mentre la riponevo nel luogo da loro consigliato.

«Una torta alle mele. L'abbiamo preparata stamattina», affermò Riccardo, chiedendomi dove potesse mettere la giacca. Prima che potessi rispondere, venne in mio soccorso Gaia che lo accompagnò nel salotto verso l'appendiabiti.

«Vi somigliate troppo», dichiarò Gin, sorridendomi e prendendo il mio posto, finendo di pulire l'insalata.

«Vado ad apparecchiare. Gaia, vieni?» enunciai, prendendo posate, bicchieri, tovaglioli e, ovviamente, la tovaglia, mentre mia sorella prese i piatti.

«Andate a sedervi. Mi aiuta Bea a portare i piatti a tavola», affermò mio padre, lasciando che gli altri presero posto.

Poco dopo ci ritrovammo tutti seduti a gustarci la pasta con il sugo preparata da mio padre.

«Come va il lavoro?» chiesi a Riccardo.

«Bene. Ultimamente sono un po' stressato, tra esami e lezioni sto impazzendo», rispose, mentre la mia amica gli accarezzava una mano per rassicurarlo.

«Tu, Gin? Hai considerato qualche proposta di lavoro per quest'estate?» le chiesi, bevendo un sorso di acqua dal bicchiere.

«Sì. Solo perché devo sposarmi non significa che passerò le giornate a scegliere i fiori. Ho avuto due offerte da delle città qui vicine. Sceglierò tra le due, così, nel caso di bisogno, posso tornare qui in un paio d'ore.»

«È un'ottima idea», affermai.

Riccardo circondò le spalle della mia migliore amica lasciandole un bacio sulle guancia, e lei in risposta sorrise. Mio padre li guardò con occhi nostalgici, commentando: «Mi ricordate me e Anna quando stavamo per sposarci. Non ci staccavamo mai dall'altro, volevamo passare tutto il tempo insieme a fare piani sul nostro futuro, sui nomi da dare ai nostri figli e sui cambiamenti da fare all'arredamento della casa.»

Mi ricordai che mi fece vedere tutte le foto scattate prima del loro matrimonio. Erano tante. C'era un album con solo fotografie di quel periodo.

«Tutti i nostri sogni si sono avverati, tranne uno: vivere per sempre insieme. A quanto pare non era abbastanza importante per entrambi.»

«Prima o poi tornerà per dimostrarti il contrario» dissi, anche se nemmeno io credevo alle mie parole.

«Lo spero.» Mi sorrise malinconico e continuò a mangiare, isolandosi nei suoi pensieri nonostante i miei vari tentativi di coinvolgerlo nelle conversazioni.

«Giuseppe, mi devi assolutamente spiegare per filo e per segno come hai preparato questo sugo delizioso!» pretese Ginevra, aiutandomi a non farlo chiudere in se stesso ed escludersi dalle conversazioni.

Tra chiacchiere e risate il pranzo si concluse e nel pomeriggio ci accomodammo nel salotto.

«Grazie per prima», sussurrai alla mia amica, sapendo che aveva capito a cosa mi riferivo.

«Figurati. È come un padre per me», confessò, portando un sorriso sul mio volto.

Siamo diventate un'unica famiglia nell'esatto momento in cui ci siamo conosciute. I suoi genitori mi hanno accolta nella loro casa da subito. Nel periodo in cui mia madre è scomparsa mi sono stati molto vicini. Hanno invitato me, mio padre e mia sorella a pranzo ogni domenica per non farci cucinare almeno quel giorno. Sapevano le difficoltà che stavamo passando: tra testimonianze alla polizia e spiegazioni da dare alle persone che chiedevano di lei non avevamo mai un momento di pace. Abbiamo denunciato la sua scomparsa subito dopo aver trovato il foglietto quella mattina. Sfortunatamente non l'hanno trovata. Ci hanno detto che in questi casi l'unica cosa da fare era aspettare. Se voleva farsi trovare l'avrebbero fatto. Ma, a quanto pare, non voleva essere cercata, e noi abbiamo smesso di farlo. In quel tempo una frase che mi veniva spesso in mente era: non puoi aiutare qualcuno che non vuole essere aiutato.


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Perdersi per ritrovarsiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora