Capitolo trentatré

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Era sempre magico percorrere le strade di Padova

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Era sempre magico percorrere le strade di Padova.

Era circondata dalla natura e camminando incontravo sempre genitori che passeggiavano con i loro figli o coppie anziane che andavano mano a mano.

Mi sarebbe piaciuto viaggiare ma non trasferirmi in un'altra città perché Padova sarebbe rimasta per sempre la mia casa, il mio posto, pieno di ricordi sia belli che brutti, di persone che hanno riempito la mia vita di gioia e allegria, ma anche di dolore e sofferenza. Lì ho incontrato la mia migliore amica, il mio primo amore, i miei amici e la mia seconda famiglia. Ginevra invece voleva vedere tutto il mondo, conoscere tutte le culture esistenti e visitare più paesi possibili. Diceva che la terra era così immensa che ne sarebbe valsa la pena vederla tutta. E così mi chiesi come farà a scegliere quale sarà il posto per il viaggio di nozze, se vuole visitarli tutti?

All'improvviso sentii una voce chiamarmi. Seguendo da dove venisse, vidi Alessandro lontano qualche metro da me.

«Ciao, Bea! Come stai?»

«Tutto okay, tu?»

«Bene, grazie. Comunque ti devo delle scuse. Non mi sono fatto sentire per quasi un mese dall'ultima tua chiamata.»

«Sono confusa, Alessandro. Ti mostri interessato, ma i fatti dimostrano altro», affermai, incrociando le braccia al petto, curiosa di sentire la sua risposta.

«Mi dispiace che pensi questo, Bea.» Riflettè per qualche secondo su cosa dire. «Possiamo riprovarci? Se vuoi possiamo andare a cena fuori, o una semplice colazione.» Tentò di farmi cambiare idea, ma non ero una persona che dava seconde possibilità.

«Scusami, Alessandro, ma la mia risposta è no. È stato bello conoscerti, davvero.»
Lo superai, ma mi fermai quando disse: «C'è qualcun'altro, vero? È quel ragazzo riccio... Michele, giusto?»

Smisi di camminare non per le sue parole, ma perché portarono in me una consapevolezza a cui evitavo di pensare.
Provavo qualcosa per Michele Esposito.

«Senza offesa, Alessandro, ma non è più una cosa che ti riguarda.»

«Ti credevo più matura, Beatrice.»

Non aggiunsi altro. Poteva pensare di me quello che voleva, tanto non avrebbe cambiato la situazione.

«Che stronzo!», commentò Ginevra quando le raccontai il piccolo incontro avuto quella mattina con Alessandro che aveva posto fine alla nostra conoscenza.

Era da tanto che non passavamo una mattinata insieme a riflettere su come stava andando la nostra vita.

«Che mi dici di Michele?», domandò.

«Ieri sera siamo usciti insieme», ammisi, vedendo un sorriso comparire sul suo volto.

«Continua.»

«È venuto al bar nel pomeriggio e mi ha chiesto se volevo fare un giro con lui in macchina. Ho detto di si e ha aspettato fino all'orario di chiusura, facendomi compagnia quando non c'era qualcosa da fare.»

«Che carino!», commentò Ginevra, incitandomi a finire di raccontare la serata.

«Quando siamo usciti mi ha portata in un posto che vende dei panini buonissimi. Mi ha fatta aspettare in macchina mentre lui è andato nel negozio per prendere quello che avevo chiesto. Poi abbiamo mangiato in un parco davvero bello e quando mi ha accompagnata a casa ho provato a dargli i soldi della cena ma se n'è andato.»

«Cosa ne pensi?», mi chiese, bevendo un sorso del cappuccino che ci aveva preparato.

«Non dovresti dirmelo tu?», replicai.
Giocai con il braccialetto che avevo al polso, proprio quello che mi aveva dato lei.

«Ti saresti dovuta vedere mentre parlavi di lui e di cosa avete fatto», disse, sorridendomi ormai consapevole della verità che io non volevo ammettere.

«Forse non lo vedo solo come un amico», ammisi, continuando a riflettere. «È che... rappresenta il ragazzo con cui vorrei avere una relazione.»

«So che è difficile ammetterlo, ma era necessario. Ti senti più leggera adesso che l'hai detto ad alta voce?»

«Sì», risposi, sorpresa. «E adesso?»

«Prova a farglielo capire con i gesti, il linguaggio fisico, cose del genere. E se proprio non lo capisce glielo dici esplicitamente.»

«Grazie, Ginevra.»

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