Capitolo cinquantadue

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Era dal giorno precedente che pensavo al soprannome che Michele mi aveva affibbiato

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Era dal giorno precedente che pensavo al soprannome che Michele mi aveva affibbiato.

Muñequita.

Cosa significava? Visto che era orario di chiusura e non avevo nessun cliente a cui badare, cercai il significato su Google. Quando lo trovai fui confusa.

Bambolina?

Decisi di scrivergli.

Beatrice

Perché mi hai chiamata bambolina?

Tanto ero concentrata nell'attendere una risposta che non mi accorsi che la persona che cercavo era nel bar ed era seduta alla sedia di fronte a me.

«Perché non sai trattenere la curiosità», affermò ridacchiando e, nel momento in cui negai di averlo fatto, mi chiese come facevo a sapere il significato.

«Sei incredibile», affermai divertita, chiedendogli come stesse.

Sospirò, poi disse: «Meglio. Grazie per esserci stata ieri».

«Di nulla.»

Andai dietro il bancone e iniziai a lavare gli ultimi piatti.

«Hai mai la sensazione di essere troppo?», domandò improvvisamente Michele.

«A volte. Ma poi ho capito che non ero io a essere troppo, ero solo nel posto sbagliato o con la persona sbagliata.»

«E se qualcuno te lo dice, come risponderesti?»

«Vai a cercare di meno, perché non ho intenzione di cambiare la persona che sono», risposi con naturalezza.

«Avrei voluto pensarla così quando ero solo e in difficoltà a socializzare.»

«Non si è mai veramente soli», affermai, rassicurandolo.

«È vero, ma l'ho capito tardi.»

«Avresti dovuto incontrarmi prima allora», affermai, scatenando una risata da parte sua.

«È strano pensare che i nostri genitori si conoscessero ma noi non ci siamo mai incontrati.»

«Già.»

«Hai avuto altre storie dopo Tommaso?» chiese il riccio seduto di fronte a me.

«Vuoi sapere se hai qualche possibilità di conquistarmi?» pronunciai provocatoria.

In quel momento mi girai per mettere una bottiglia di whisky sullo scaffale dietro di me e il ragazzo affermò: «Ne ho qualcuna?»

«Chi lo sa» Alzai le spalle, nascondendo un sorriso.

Sentii le classiche farfalle nello stomaco, appena ricevetti la sua risposta che fece crescere in me una speranza di un qualcosa di più di un amicizia.

Nel momento in cui rise, compresi che era una semplice e scherzosa conversazione tra amici, com'era giusto che fosse.

«Che altro devi fare qui?»

«Alzare le sedie e pulire le gambe», dissi, consapevole che mi avrebbe voluta aiutare.

«Sarà fatto subito.»

Ridacchiai, lasciando la pezza che avrebbe usato per pulire le sedie sul bancone.

«Non mi stai dicendo di non farlo, come mai?»

«Se te lo vieto lo farai lo stesso. Anch'io sono così quindi ne sono consapevole e semplicemente mi arrendo.»

«Ah, ecco. Mi sembrava strano.» Fece una pausa, pensando a chissà cosa, per poi aggiungere: «Però è più divertente se me lo impedisci».

«Su questo hai ragione.»

«Visto? In due si finisce prima!», affermò, mentre chiudevo il bar con lui al mio fianco.

Risi, ringraziandolo per l'aiuto.

«Non c'è di che!» Mi circondò le spalle con un braccio e disse: «Vieni, ti faccio fare un giro in moto e poi ti accompagno».

«Come posso dirti di no?» pronunciai divertita.

«Non puoi», disse sarcastico.

«Indossalo.»

Annuii e feci come disse, sorridendo come una scema quando salii sulla moto e mi invitò ad attaccarmi a lui. Circondai la sua vita con le braccia e mi godetti il calore che il suo corpo emanava. Appena partì poggiai la mia testa sulla sua schiena. Il vento accarezzava la mia pelle e i miei capelli svolazzavano, mentre mi godevo la sensazione di serenità che provavo in quel momento.

*

«Condividiamo più cose di quanto crediamo», disse lui, sorridendo.

«Vero. Tranne che tu sai cucinare e io sono incapace.»

Rise. «È per questo che siamo amici. Io preparo e tu mangi.»

Rimasi delusa quando ci definì solo amici, ma era la verità. Feci finta di niente e gli diedi ragione, sorridendo divertita insieme a lui.

«Andiamo, ti accompagno a casa.»

Perdersi per ritrovarsiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora