Capitolo cinquanta

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«Ciao, papà!», esclamai salutandolo prima di andare via

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«Ciao, papà!», esclamai salutandolo prima di andare via.

«Fammi sapere come va.»

Annuii e mi avvicinai a mia sorella. «Posso venire con te?»

Sorrisi, abbassandomi alla sua altezza. «Chiederò a Nicola e Alicia di invitare anche te un giorno a pranzo. Va bene?»

Sussurrò un sì, non convinta, e così aggiunsi: «Torno il prima possibile, promesso».

Le porsi il mignolino, che strinse dopo qualche secondo, in modo da essere certa che avrei mantenuto la parola.

Le lasciai un bacio sulla guancia e uscii di casa, dirigendomi verso la casa dei genitori di Michele.

*

«Bea! Vieni, entra. Ti stavamo aspettando!» affermò Alicia, invitandomi ad entrare.

«Ciao, Beatrice. Come stai?» disse Nicola, salutandomi con due baci sulla guancia.

«Bene, tu?»

«Sto bene, grazie.»

Mi guardai in giro, cercando il mio amico, che in quel momento scese le scale avviandosi verso di me.

«Ciao, Bea!»

«Ciao, Mi, tutto okay?»

Annuì. Poco dopo sua madre ci invitò a prendere posto a tavola.

«Ho preparato la pasta al forno, spero ti piaccia.»

«Se l'hai preparata tu mi piace sicuramente!» esclamai, stampandole un sorriso sul volto.

E infatti, quando la assaggiai, era deliziosa.

«Ieri ho ricevuto una chiamata da mia madre», confessai, mentre sentii il peso sul petto ripresentarsi più forte di prima. «Le ho risposto, ho cercato di farla parlare, ma dall'altra parte sentivo solo un pianto silenzioso. Non disse niente. Sono andata in centrale ma non si può fare niente, nemmeno localizzarla.»

Vidi la luce di speranza negli occhi di Alicia e Nicola spegnersi piano piano, mentre raccontavo la notizia. Sperava che la telefonata finisse con la sua amica che tornava in città, ma così non fu.

La mamma di Michele strinse la mia mano in segno di conforto e rassicurazione, facendomi capire che mi era vicina.

Il ragazzo seduto vicino a me poggiò la mano sinistra sulla mia coscia, accarezzandola e facendomi rilassare disegnando dei cerchi immaginari con le dita.

Il pranzo continuò tra chiacchiere su piani futuri e cucina, concludendosi con un dolce che Alicia ci consigliò di mangiare nel tardo pomeriggio.

Io e Michele decidemmo di stare in camera sua dopo pranzo. Appena entrai vidi altri libri sullo scaffale e, vedendo il mio sguardo confuso, spiegò: «Qui ho lasciato i libri che ho letto tanti anni fa. Non mi sembrava utile portargli da Leonardo».

Annuii e mi avvicinai per dare un'occhiata. Incuriosita presi "Milk and honey" di Rupi Kaur, una raccolta di poesie. Mi sedetti sul letto di Michele che, qualche secondo dopo, mi raggiunse. Decisi di leggerne una dalla categoria "amore" ad alta voce.

"cosa sono io per te" chiede

io gli metto le mani in grembo

e bisbiglio "tu

sei ogni speranza

che io abbia mai avuto

fatta persona".

Quelle parole erano così vere che quando le lessi fu come pronunciare una confessione al ragazzo che era diventato ciò che la poesia diceva.

Quando alzai il mio sguardo su di lui, lo trovai intento a guardarmi in un modo nuovo, quasi innamorato.

«Perché mi guardi così?» domandai, riportando la mia attenzione al resto delle poesie.

«Così come?» chiese Michele.

Non ebbi il tempo di spiegarlo che entrò suo padre, esortandoci a scendere per guardare un film in soggiorno.

«Certo», replicai, alzandomi dal letto.

«Non vieni?», domandai, rivolgendomi a Michele ancora seduto.

«Ti raggiungo subito. Devo parlare di una cosa con mio padre.»

«Oh, okay. Ti aspetto giù, allora», dissi, raggiungendo Alicia al piano di sotto.

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Perdersi per ritrovarsiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora