Capitolo ventidue

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Osservando Davide nei giorni precedenti notai che era più silenzioso rispetto al solito, così, durante la pausa pranzo decisi di parlarci

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Osservando Davide nei giorni precedenti notai che era più silenzioso rispetto al solito, così, durante la pausa pranzo decisi di parlarci.

«Ehi, Davide!», lo chiamai, spostando la sua attenzione su di me.

«Dimmi.»

«Possiamo parlare?»

«Sì, assolutamente. Vieni, sediamoci qui», disse, invitandomi a prendere posto a un tavolo vicino al bancone.

«Questa settimana siamo stati molto impegnati con il lavoro e non abbiamo avuto la possibilità di parlare di Leonardo... », iniziai, chiedendogli silenziosamente il permesso di poter parlare di quell'argomento. Dopo aver ricevuto da parte sua un assenso, continuai: «Non scenderò nei dettagli perché non credo sia il mio compito raccontarti la sua storia personale, ma posso dirti che ci tiene molto a te e proverà ad aprirsi».

«Grazie, Bea. Davvero. Ti devo un favore.»

«Figurati. Non ho fatto niente di che», replicai.

«Ci sei sempre, ed è tanto. Vieni qua, biondina», disse, stringendomi tra le sue braccia.

Verso la sera dovette andarsene un'ora prima della chiusura a causa di un impegno che non poteva rimandare.

«Sei sicura che posso andare?»

«Vai, tranquillo. Ci vediamo domani.»

«Grazie!», esclamò prima di superare la porta e uscire.


Servii gli ultimi clienti che entrarono e vidi Michele tra questi.

«Ehi! Ti vedo stanco, stai bene?», gli domandai.

«Ho finito adesso di lavorare», rispose, sedendosi su uno sgabello davanti al bancone.

«E come mai sei venuto qui invece di andare a casa e riposarti?»

«Mi andava di vederti», rispose, portando un sorriso sul mio volto.

«Quanto ti manca?», chiese.

«Devo alzare le sedie e passare la scopa a terra. Poi posso chiudere», dissi, per poi riprendere a lavare i piatti. Concentrata com'ero, non notai Michele alzarsi e iniziare a mettere le sedie sui tavoli.

«Ehi, aspetta, ti aiuto», dissi superando il bancone e andandogli incontro.

«Tranquilla, se ti aiuto chiudi prima», affermò alzando le sedie.

«Non c'è ne bisogno, davvero, vai a sederti e rilassati.»

Scosse la testa. «Voglio aiutarti. Vai a finire di fare quello che devi dietro il bancone.»

«Va bene», risposi, arrendendomi a convincerlo.

Era più testardo di me, realizzai.

Tornai a finire di lavare i piatti e poco dopo andai con la scopa per passare a terra.

«Grazie, non dovevi.»

«Quando vuoi sono a disposizione.»

Pulii a terra e, dopo essermi tolta il grembiule da lavoro, presi le chiavi e chiusi il bar.

«Vieni, ti do un passaggio.»

Mi fermai, cercando di capire se ci fosse qualcosa dietro quella gentilezza improvvisa.

«Che fai lì ferma? Sali!», disse, richiamandomi.

Lo guardai stranita, e dopo essermi convinta che non ci fosse dietro niente di particolare, misi il casco, salii sulla moto e partimmo.

«Eccoci arrivati.»

Scesi dalla moto, gli passai il casco e lui alzò il sedile per metterlo a posto.
«Grazie, di nuovo», affermai ridacchiando, facendolo sorridere.

«Vai dentro. Ci vediamo questi giorni», pronunciò, stampandomi un bacio sulla guancia e aspettando che entrassi.

Annuii e mi avviai verso la porta, inserii la chiave e dopo aver aperto mi girai verso di lui, che mi sorrise e se ne andò.

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Perdersi per ritrovarsiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora