Erano passati esattamente sette giorni, centosessantotto ore e seicentoquattromilaottocento secondi da quando io e Michele stavamo insieme. Li avevo persino contati perché era troppo bello per essere vero e tutti gli eventi importanti meritavano una certa attenzione.
La serata era andata magnificamente. Non potevo aspettarmi di meglio. Avevo mangiato davvero bene, e scrissi su un foglio il nome del ristorante perché avevo intenzione di andarci di nuovo, magari con le mie amiche.
«Bea, vai a chiamare Gaia. Il pranzo è pronto.»
«Sì, vado subito.»
Salii le scale e la vidi in piedi vicino alla sua scrivania mentre svuotava lo zaino.
«Ehi, Gaia. Quando finisci lavati le mani. Ti aspettiamo giù per mangiare.»
«Va bene. Tanto ho quasi finito.»
«Vuoi una mano?», le chiesi, avvicinandomi.
«No, tranquilla.»
«Okay.»
Tornai da mio padre al piano di sotto e lo avvisai: «Sta arrivando».
«Tieni», disse, passandomi i piatti con le varie porzioni di pasta.
«Allora, Bea, come sta andando con Michele?», domandò mio padre, prendendo posto a tavola e accendendo la TV.
«Molto bene. Era da tanto che non mi sentivo così.»
«Sono contento per voi. State molto bene insieme!»
«Grazie, papà!»
Il suo sostegno era molto importante, e sapevo che voleva molto bene a Michele. Lo conosceva da tanto e lo vedeva più spensierato da quando stavamo insieme. Si lasciava andare e viveva la cosa con molta leggerezza.
«Eccomi», esclamò mia sorella, raggiungendoci a tavola. «Di cosa parlate?»
«Di tua sorella e del suo fidanzato», rispose mio padre.
«Vi manca solo un castello», propose mia sorella ironica.
«Hai ragione. E un cavallo.»
«Bianco», continuò lei. «È molto importante.»
«Ha una moto. Dici che va bene lo stesso?»
«Sì. È accettabile.»
Risi. «Accettabile?»
Lei annuì.
Scossi la testa divertita, dicendole che ne avrei parlato con il ragazzo in questione.
*
«Ecco la mia amica felicemente fidanzata!», esclamò Davide appena entrai nel bar per iniziare il turno.
«Lo dirai ogni volta?»
«Prima o poi mi stancherò, ma, fino ad allora, continuerò a farlo.»
Risi, e lo raggiunsi dietro il bancone, abbracciandolo, per poi andare a cambiarmi e indossare il grembiule nel retro.
«È bello vederti così.»
«Così come?»
«Spensierata, leggera come una piuma», disse, facendo una giravolta su se stesso.
Ridacchiai. «Sarebbe bello condividere questo momento della mia vita con mia madre.»
«Quando tornerà si accorgerà di cosa ha perso.»
«Grazie, Davide. Sai sempre cosa dire», affermai.
«Che posso dirti. È il potere che si guadagna lavorando in un bar», disse mettendosi in una posa da supereroe.
«Davide, sei il ragazzo più espressivo che ho mai conosciuto», disse il nostro capo, uscendo dall'ufficio che si trovava nella caffetteria.
«Basta ragazzi! Mi state aumentando troppo l'autostima.»
Risi insieme a Marco, il direttore, che si rivolse a me, dicendo: «Ho saputo di te e Michele. Congratulazioni!»
Sì avvicinò e mi lasciò due baci sulle guance.
«Grazie! Il mio ragazzo mi ha detto che vi conoscete da tanto.»
Era strano riferirmi a Michele in quel modo.
«Oh, sì. Suo padre era il mio meccanico, il compito è passato a lui adesso.»
«È anche il meccanico di mio padre.»
«È un bravo ragazzo. Se ti tratta male dimmelo, ci penserò io a lui.»
«Sì, capo.»
«Non chiamarmi capo, Marco va più che bene.»
«Sarà fatto, Marco», dissi divertita.
«Io vado ragazzi, ci vediamo domani.»
Quella sera toccava a me chiudere, e Davide andò via una mezz'oretta prima della chiusura.
Stavo finendo di pulire un tavolo quando sentii delle mani posarsi sui miei fianchi.
Era lui.
Iniziò a lasciare dei piccoli baci nell'incavo del mio collo e, per facilitargli l'azione, mi raddrizzai, visto che ero piegata verso la superficie che stavo pulendo.
Mi scostò la maglietta, portando le sue labbra sulla mia spalla destra.
Mille brividi percorsero la mia schiena, mentre scenari che ci coinvolgevano a mettere in atto alcune delle mie fantasie occuparono la mia mente.
«Ehi», dissi salutandolo e girandomi verso di lui.
«Ciao, muñequita.»
Poggiò le sue labbra sulle mie e iniziò ad approfondire il bacio.
Mi aggrappai al suo collo per arrivare alla sua altezza, ma lui aveva altri piani. Mi sollevò e circondai con le gambe la sua vita.
«A cosa devo questo saluto?»
«Non posso baciare la mia ragazza?», disse, portando un sorriso sul mio volto.
«Sì. Quando e come vuoi.»
Dopo esserci guardati per qualche secondo, affermai: «Mi sei mancato».
«Anche tu.»
«L'ho notato», dissi ridacchiando, mentre riavvicinò le sue labbra alle mie.
Speravo che quel momento durasse per sempre, perché con lui l'amore era una carezza sulla pelle che alleggeriva il peso delle ferite che mi portavo dietro.
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Perdersi per ritrovarsi
RomanceRitrovare la strada nella propria vita non è mai semplice, soprattutto quando la persona con cui volevi percorrere questo cammino non è più al tuo fianco. Ti senti persa, disorientata e metti in dubbio tutti gli aspetti della tua vita. È così che si...