Capitolo sessantotto

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Preparate i fazzoletti, un bicchiere d'acqua e

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Preparate i fazzoletti, un bicchiere d'acqua e... buona fortuna 👀.

«Come sta tua madre?», mi chiese Davide durante il turno di lavoro.

«Bene. Ieri è andata a fare la chemio, l'ha accompagnata mio padre.»

«Avete parlato?»

Annuii. «Abbiamo chiarito. Le ho parlato di Michele ed è molto contenta che sto insieme al figlio di una sua cara amica.»

«Ti avevo detto che sarebbe tornata!», esclamò Giulia, sorridendomi.

«Già! Anche Michele e Ginevra. Grazie a voi ho continuato a crederci.»

«È a questo che servono gli amici, no?»

«Hai proprio ragione.»

«E tra lei e Gaia come va?», domandò la riccia.

«Bene. Gaia si sente ancora a disagio, però, piano piano, si sta aprendo.»

«Sono davvero contenta che quella piccola peste ha conosciuto Anna.»

«Lo desiderava da così tanto», dissi, mentre ripensai agli ultimi giorni passati in compagnia di mia madre. Era passata una settimana, e avevo ancora così tante cose da raccontarle.

*

«Papà, sono tornata!», esclamai, avvisando che fossi rientrata da lavoro.

«Ehi!»

Mi avvicinai a lui, salutandolo con un abbraccio.

«Puoi andare a chiamare tua madre e dirle che il pranzo è pronto? È andata in bagno.»

«Certo.»

Andando verso le scale sentii una strana sensazione allo stomaco, come un avvertimento. Come se il mio inuito volesse dirmi che quella era la direzione sbagliata.

Aumentai il passo, bussando alla porta e, non ricevendo risposta, entrai di corsa in bagno.

No. No, no, no. Non è possibile.

«Mamma», dissi, tra le lacrime. Era stesa a terra e sperai che non fosse successo quello che pensavo. Mi sedetti a terra e la presi tra le mie braccia, sperando di ricevere da lei un abbraccio.

«Mamma!», ripetei.

Provai a capire se ci fosse battito facendo pressione con le dita sul suo polso, ma niente. «Non puoi, mamma. Non adesso che ti ho ritrovata. No, no, no...»

«Bea, cosa... »

Era mio padre.

«Papà», sussurrai tra le lacrime, non sapendo cosa dirgli.

Lui mi guardò, cercando di capire cosa fosse successo, anche se era abbastanza chiaro.

«Papà, lei... lei è... »

«Non dirlo, Bea, non c'è ne bisogno.» Mi abbracciò e disse qualcosa, ma avevo smesso di ascoltarlo.

«Lei non può... È tornata una settimana fa, non... Chiamiamo l'ambulanza. Sapranno cosa fare, vero? La rianimeranno, e lei starà bene. Pranzeremo insieme e tornerà come prima. Aspetta, vado a...», dissi, sperando di contrastare quel sentimento che evitavo da tanto. Il dolore.

«Bea, ferma», affermò mio padre, cercando di farmi calmare, ma non sapeva che io non avrei smesso. Non finché quei pensieri avrebbero smesso di dirmi che lei era morta. Non lo accettavo.

«Lasciami fare, papà. Lei... lei tornerà da noi.»

Mi alzai, posando il suo corpo a terra con delicatezza. Corsi in camera, dopo aver superato mio padre che era a terra. Presi il telefono e iniziai a digitare il numero dell'ambulanza ma mio padre mi fermò, togliendomi il telefono di mano.

Chiamò qualcuno ma io non riuscivo a capire quello che diceva. C'erano solo suoni ovattati e la vista sfocata a causa delle lacrime. Mi stesi sul letto e guardai un punto indefinito della stanza.

Passarono secondi, minuti, poi qualcuno entrò nella mia camera.

«Muñequita.»

Quella voce. Mi sedetti e mi girai verso di lui, che corse da me e mi strinse forte. A quel punto crollai.

«Michele... », sussurrai con voce tremante.

«Shh, non devi dirmi niente, sono qui. Non ti lascio.»

«Devo andare da Gaia, devo... »

Mi interruppe. «Non devi fare niente. Lascia che qualcuno altro pensi a tutto questa volta.»

«Ha bisogno di me.»

«Bea, ehi, guardami.»

Alzai lo sguardo verso di lui, anche se le lacrime offuscavano la mia vista.

«Lascia che mi prenda cura di te. Sono qui per te. Lasciati andare, anche se farà male e vorrai urlare, fallo. Lascialo entrare, Bea.»

Scossi la testa energeticamente, spaventata.

«Piccola, tu sei forte, fortissima. Hai superato tanto e c'è l'hai fatta sempre, questa volta non è diversa. Tu c'è la puoi fare.»

«E non sei sola», disse una voce che riconobbi subito.

Era Ginevra, accompagnata da Giulia, Davide, Riccardo e Leonardo, che mi sorridevano dolcemente.

«Siamo qui per te», aggiunse la riccia.

«Grazie», dissi, nonostante la mia voce faticava ad uscire.

Sentii le lacrime scendere sul mio volto e mi lasciai andare.

Lo sentii dentro di me, quel compagno che mi aveva accompagnata per lungo tempo.

Mi permisi di lasciarlo entrare e consentì a Michele di prendersi cura di me come non avevo permesso a nessun altro di fare.

Spazio autrice

Vi avevo avvertiti. Che ne pensate? Ve lo aspettavate? Questa morte è la prima cosa certa che sapevo sarebbe accaduta ancor prima di iniziare a scrivere il libro. 

Ci vediamo nel prossimo capitolo (preparate un pacco di fazzoletti - pt.2)

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