Capitolo cinquantotto

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«Ciao, piccolina», dissi, lasciando un bacio sulla fronte di mia sorella

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«Ciao, piccolina», dissi, lasciando un bacio sulla fronte di mia sorella.

«Bea, ho notato che nell'ultima settimana tu e Michele vi vedete molto spesso», constatò mio padre, mentre sorseggiava la sua tisana preferita.

«Sì, è vero. Però ti racconto tutto quando torno, va bene?»

«Certo. E mi raccomando, non mandare a fuoco la casa», disse scherzoso, riferendosi ai biscotti che stavo andando a preparare a casa di Leonardo, con Michele.

«Tranquillo.» Mi avvicinai a lui e, dopo averli stampato un veloce bacio sulla guancia, uscii di casa.

Mezz'ora dopo mi trovavo in casa del mio amico con un grembiule per cucinare indosso e gli ingredienti posati sul bancone davanti a me.

«Rileggi così ti dico se manca qualcosa.»

Annuì e ripeté: «Farina 00, burro, zucchero, sale, vanillina, due uova, un'arancia e la nutella».

«Perfetto, non manca niente.»

«Iniziamo?», propose Michele.

Annuii e, dopo aver letto le istruzioni, lavorai lo zucchero con le uova finché divenne un composto schiumoso.

«Adesso grattugiamo la scorza dell'arancia e aggiungiamo nella coppa un pizzico di sale, la vanillina e, gradualmente, la farina.»

«Okay. Adesso?»

«Aggiungiamo il burro tagliato a cubetti», continuò Michele, guidandomi. «Siediti, muñequita, continuo io.»

Sorrisi a quel nomignolo e ne approfittai per sedermi per qualche minuto.

«Come sta Gaia?»

«Molto bene. Ha detto che vorrebbe pranzare con te e i tuoi genitori», affermai, ridacchiando al ricordo di lei che mi supplicava di portarla con me quel giorno.

«Un giorno la inviterò, allora», disse divertito.

«Possiamo infornarli?», chiesi, impaziente di assaggiare i biscotti "occhio di bue".

«Sì. A 170° C per otto minuti», pronunciò, impostando il forno.

*

«Sbaglio o ci sono dei biscotti nel forno?», chiese Leo, mentre entrava in cucina.

«Hai indovinato!», esclamai, avvicinandomi a lui per abbracciarlo.

«Come stai, biondina?»

«Bene, tu?», domandai a mia volta.

«Bene. Adesso che posso mangiare i biscotti, ancora meglio.»

Michele, nel frattempo, gli sfornò, vietando al coinquilino di mangiarli.

«Perché non posso?», chiese Leo, con volto imbronciato.

«Scottano, cretino!», disse sconcertato il riccio.

«Cretino ci sarai tu!», rispose il ragazzo arrivato da poco.

«Ehi, calmiamoci.»

Intervenni, per evitare di vedere farina e uova volare per la casa.

«Scusate, devo rispondere alla chiamata», disse Michele, andando nel salotto.

Qualche secondo dopo, mentre io allontanavo Leonardo dai biscotti, Michele tornò, dicendo che doveva andare un attimo in palestra perché c'era un problema con il pagamento, o qualcosa del genere.

«Bea, torno tra qualche minuto. Lasciatemi qualche biscotto.»

«Sì, tranquillo», affermai, tranquillizzandolo.

Lanciò un'occhiata al migliore amico e se ne andò.

«Posso?»

«Solo uno.»

Fece come dissi, e, dopo averlo finito, affermò: «Come potrai immaginare, Michele mi ha raccontato cos'è successo tra voi. Come l'hai presa?»

«Meglio amici che niente», pronunciai, sgranocchiando un biscotto.

«Giusto. Ma hai pensato di dargli una piccola spintarella?», suggerì il mio amico.

«Che intendi?»

«Dovresti provocarlo.»

«Non so se è una buona idea...», iniziai.

«Fidati. Lo conosco.»

«Cosa dovrei fare?».

«Ascoltami attentamente.»

Annuii, e, mentre parlava, memorizzai le sue parole.

*

«Sono tornato!», esclamò Michele, rientrando quindici minuti dopo.

«Beh, io vado», annunciò Leonardo.

«Dove?» domandò il suo amico.

«A fare una passeggiata.»

Michele gli disse di chiamarlo se aveva bisogno, e se ne andò.

«Quanti ne ha mangiati?», chiese sospettoso.

«Uno solo.»

«Davvero?»

Annuii e, dopo che ne assaggiò uno, mi offrì del succo, che accettai.

Stava andando tutto secondo il piano di Leo.

«Ecco a te.» Poggiò il mio bicchiere accanto al suo. Entrambi si trovavano quasi alla fine dell'isola, insieme alla teglia di biscotti. Così, quando si stava avvicinando ai biscotti, allungai una mano per prendere la bevanda, che, come previsto, si rovesciò sulla sua camicia nera.

«Oddio, scusami!», esclamai, mostrandomi dispiaciuta.

Mancava solo la parte più importante del piano.

Presi un panno asciutto che si trovava lì e mi avvicinai per fargli credere che l'avrei aiutato ad asciugare la macchia.

«Aspetta, ti aiuto.»

«Grazie», disse.

Mentre facevo dei passi per avvicinarmi, lo portai a farne altri indietro, che lo fecero arrivare di spalle al muro.

«Bea...» sussurrò mentre, lentamente, sbottonavo i bottoni della camicia.

Quando finii, lo aiutai a toglierla, senza alcuna fretta, facendo scivolare le mie mani sulle sue spalle e infine, verso le braccia.

Quel momento venne interrotto dallo squillare del mio telefono.

«Ehi, papà, dimmi.»

«Potresti venire a stare con Gaia? Devo andare a fare un servizio», disse dall'altra parte del telefono.

«Certo, dammi dieci minuti e sono lì.»

Chiusi la chiamata e riportai l'attenzione su Michele.

«Cosa stai facendo?»

Mi guardò, confuso e sorpreso. L'unica risposta che ricevette da parte mia fu: «Ci si vede, Michele».

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Perdersi per ritrovarsiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora