Capitolo ventisette

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La conversazione avuta con Beatrice qualche ora fa mi aveva aiutato molto

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La conversazione avuta con Beatrice qualche ora fa mi aveva aiutato molto. L’avevo riaccompagnata a casa sua e le avevo ricordato che se aveva bisogno di compagnia o di essere accompagnata da qualche parte io ero disponibile. Lei mi sorrise e, dopo avermi dato un bacio sulla guancia scese e superò la porta di casa sua.

Era sempre bello avere un’amica con cui avere discorsi di una certa importanza. E poi era da molto che non parlavo di mia nonna con qualcuno. Ero sorpreso da me stesso perché non era facile per me aprirmi con gli altri, soprattutto con chi conoscevo da poco. Ma con lei era diverso: mi sembrava di conoscerla da sempre e sentivo di poter essere la versione più autentica di me stesso senza essere giudicato o deriso. La conoscevo da quasi un mese e sentivo di potermi fidare.

«Ehi, Michele! Dove sei andato?», mi chiese Leonardo quando rientrai a casa.

«Ho accompagnato Beatrice in un posto e sono rimasto con lei», risposi, lasciando le chiavi sul mobiletto che stava all’ingresso dell’entrata e mi tolsi la felpa, sedendomi sul divano
accanto al mio amico.

«Sono contento che vi trovate bene insieme», commentò quest’ultimo.

«Tu che hai fatto stamattina?».

«Ho fatto la spesa. Hai lasciato sul tavola una lista… », mi ricordò Leo.

«Ah, sì! Avrei dovuto avvisarti».

«Figurati», rispose.

«Ti ha chiamato tua madre, vero?», gli domandai, sapendo già la risposta. Lo notai dagli occhi leggermente rossi.

«Se non mi chiama ogni giorno non è lei», replicò sarcastico, alzandosi e andando in cucina.

«Ho pensato di cucinare una matriciana. Per te va bene?».

«Certo. Posso aiutarti in qualcosa?», chiese.

«No, tranquillo. Vai in camera tua, ti chiamo quando è pronto».

Stavo andando nella mia stanza dopo aver finito di pulire la cucina, quando sentii un telefono squillare. Era di Leonardo. Lui era in doccia e decisi di vedere almeno chi fosse, ma, quando lessi il nome di sua madre, decisi di rispondere.

«Ciao, Angela», pronunciai.

«Ciao, Michele. Dov’è mio figlio?».

«È un piacere anche per me sentirti. Io sto bene, grazie per averlo chiesto. E tu?», replicai, ironico.

«So che non sei interessato a saperlo, Michele, non c’è bisogno di fingere», affermò infastidita.

«Come puoi pensarlo?», iniziai e, sentendola sospirare, continuai dicendo: «A proposito della tua vita, come va con il terzo marito?».

«Ho sempre detto a mio figlio che sei una cattiva influenza per lui. E ho anche registrato questa telefonata, così si renderà conto di che tipo di persona sei», confessò.

«Davvero?», chiesi e, prima che potesse mettersi in mostra per l’azione compiuta, aggiunsi: «Mandala anche a me, non vedo l’ora di riascoltare questa conversazione».

«Sei solo un ragazzo arrogante e presuntuoso!», esclamò sdegnata.

«Lo aggiungerò alla lista di complimenti ricevuti da te, signora Angela. Comunque suo figlio è nella doccia. Li dirò che ha chiamato. Buona serata!», dissi, chiudendo la chiamata senza darle il tempo di aggiungere altro.

Misi il telefono dove si trovava prima e andai in camera, decidendo di continuare la lettura del libro “il ritratto di Dorian Gray”.

«Michele!», urlò Leonardo dal piano di sotto, qualche minuto dopo quella chiamata. Sentivo i suoi passi avvicinarsi alla mia camera e, quando entrò, chiusi il libro.

«Dimmi».

«Non mi hai detto che mia madre ha chiamato», dichiarò, guardandomi con sospetto.

«Non mi sembrava necessario», commentai con tono rilassato.

«Non ti sembrava necessario», ripetè le mie parole e, dopo una breve pausa, disse: «Michele, lo sai che non piaci a mia madre».

«Solo perché la contraddisco e ti difendo dalle cazzate che dice? Scusami, ma preferisco che lei mi odi piuttosto che stare zitto davanti al modo in cui ti tratta», precisai.

«E di questo ti sono grato, davvero. Ma la prossima volta evita di rispondere al telefono se sai di non riuscire a trattenerti dal dire certe cose».

«Sarà fatto, Leoncino».

«E non chiamarmi Leoncino», disse.

«Ti piacerebbe», continuai divertito.

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