Capitolo trentotto

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«Ehi!» esclamai, lasciando che Giulia e Ginevra entrassero in casa

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«Ehi!» esclamai, lasciando che Giulia e Ginevra entrassero in casa.

«Abbiamo portato gli snack!» dissero contemporaneamente, scuotendo le buste con entusiasmo.

«Perfetto! Venite, vi mostro come ho organizzato il salotto.»

C'erano due teli mare stesi a terra con cinque cuscini sopra. Avevo spostato il tavolino lì vicino in modo da poter appoggiare il cibo.

«Andiamo in cucina?»

Annuirono e, una volta raggiunta quest'ultima, uscii quattro scodelle da usare per quel pomeriggio tra amiche.

«Adoro come hai decorato quella stanza», commentò Ginevra.

«Vero. Dopo devo fare qualche foto per ricordarmi questa giornata», aggiunse Giulia.

Versammo nelle ciotole le patatine alla paprika, quelle classiche, dei grissini e sei Bounty, i miei snack preferiti.

«Cosa volete da bere? C'è del succo multi frutta, della pepsi al limone, oppure vi posso preparare un caffè...»

«Per me andrebbe benissimo del caffè. Tu, Giulia?» le chiese Ginevra.

«Per me il succo, grazie.»

«Allora, è successo qualcosa alla festa?», domandarono, parlando della festa per il compleanno di Nicola che ha festeggiato due giorni prima. Mentre preparavo la macchinetta del caffè, risposi: «Forse...»

«Forse? Dai, racconta!» esclamarono entrambe.

«Ho ballato un lento con Michele. Ed è successa una cosa.» Feci una breve pausa, poi continuai: «Mentre ballavamo mi è sembrato come se fossimo solo noi due sulla pista. Non so spiegarvi cosa ho sentito, ma... è stato magico.»

«È una cosa bellissima, Bea. E poi?» chiese Giulia.

«Poi lui mi ha chiesto se mi fossi incantata a guardarlo e io ho fatto finta di niente. Fortunatamente il momento dei balli è finito e siamo tornati ai nostri posti.»

«Cosa pensi di Michele dopo quello che è successo?» domandò la riccia.

«Che non lo vedo solo come un amico.»

Dopo qualche secondo di silenzio, intervenne nuovamente Giulia: «Posso chiederti una cosa, Bea?»

Annuii, mentre mi aiutavano a portare le cose nell'altra stanza.

«Da quanto non hai una relazione?»

Ci sedemmo sui teli e, prima di rispondere, presi un cuscino tra le mani.

«Da cinque anni e due mesi.»

«Immagino sia stata una cosa importante se te lo ricordi con precisione», disse Giulia.

«Lo era», rispose Ginevra al posto mio.

«È durata otto mesi ma mi sono sembrati anni. È iniziato tutto a scuola. Era Gennaio, e, come i cliché nei libri, ci siamo scontrati in mezzo al corridoio. Capelli lisci scuri, occhi marroni, corpo tonico. Insomma, il ragazzo che tutte le ragazze sognavano ma che reputavano irraggiungibile. All'inizio non lo sopportavo, era arrogante e mi prendeva in giro. Poi abbiamo iniziato a vederci per studiare, da lì ci siamo conosciuti meglio. Un giorno, mentre ero a casa da sola, è venuto da me, ed è cambiato tutto. Ho scoperto un lato di lui che nessuno aveva visto: quello fragile, indifeso, quello che nascondeva con il suo solito sorriso provocante e le battute acide. Mi disse che ero l'unica di cui si fidava e decise di raccontarmi una parte della sua vita perché aveva bisogno di togliersi quel peso dal petto. Mi raccontò di come il patrigno abusava di lui, di ciò che passava ogni giorno a casa sua, soprattutto la notte. Suo padre era morto in un incidente stradale e sua madre si risposò con un altro uomo, che si rivelò essere il suo peggiore incubo.»

Presi un respiro profondo, sentendo le emozioni provate quel giorno ritornare a galla.

Continuai: «Gli dissi che non era obbligato a farlo, ma mi rispose che si sentiva già meglio per averne parlato con me. Mi parlò nel dettaglio di cosa gli faceva, e io piansi con lui, lo abbracciai, perché non credevo possibile che un ragazzo della sua età potesse sopportare tutto quel dolore. Volevo che lo condividesse con me, nella speranza che potesse tornare a respirare come prima. Volete sapere la cosa peggiore? La madre lo sapeva ma non diceva niente. Non ha denunciato l'accaduto, non ha cercato mai, nemmeno una volta, di fermare quella bestia dall'attaccare suo figlio.»

«E poi? Che è successo?»

«Ho convinto i miei a lasciarlo dormire da noi. Hanno accettato quando ho spiegato la sua situazione. Passavamo ogni giorno insieme e da lì è nata la nostra relazione. Si era sviluppato un legame molto forte, soprattutto dopo la scomparsa di mia madre. Poi ad ottobre finì tutto. I suoi genitori morirono, lui d'infarto, lei si suicidò. Così decise di partire. Decise di lasciare quella città, costruirsi un futuro migliore e rifarsi una vita.»

«Non è una cosa positiva?» commentò Giulia.

«Sì, se non fosse che io non ero inclusa nel suo futuro.»

«Bea...»

«Se ne andò. Mi lasciò lì, in balia di una confusione immane e tantissime insicurezze. Era colpa mia? Avevo sbagliato qualcosa? Ero troppo appiccicosa con lui? Non mi disse nemmeno in che città o paese era andato perché sapevo che sarei stata capace di seguirlo. Lo chiamavo ogni giorno, poi mi arresi.»

«Lo sai che non è colpa tua?»

Annuii. «Ho capito che non era colpa sua, dopotutto. Questa città gli ricordava cose più brutte che belle e non potevo biasimarlo per niente. Anzi, sono contenta, ha messo se stesso come priorità e a me va bene così.»

*

«Cambiamo argomento», disse Ginevra, facendosi seria e girandosi verso la riccia. «Giulia, insieme ad altre mie due amiche, Teresa ed Elena, sarai la mia damigella d'onore.»

«Oddio! Sono contentissima di esserlo. Grazie!» La strinse forte a sé, contenta della notizia.

«Seconda cosa: dobbiamo decidere ancora la data. Crediamo sia meglio d'autunno, quindi ottobre o dicembre.»

«Mi piace l'idea! E poi, se lo fai d'autunno, gli abiti delle damigelle potrebbero essere di un'arancione chiaro», proposi.

«Bea, sei un genio!» esclamò, dandomi un bacio sulla guancia.

Sorrisi per il complimento. «Il mio invece potrebbe essere rosa scuro...»

«Sarebbe stupendo! Mando un messaggio a Riccardo, gli dico che il mese sarà ottobre.»

Nel frattempo io e Giulia scorremmo su Pinterest per abiti da cerimonia per farci un'idea. «Vediamo, che avete trovato?»

Passammo il resto della serata così, a cercare ispirazione per vestiti, farci qualche maschera per il viso e mangiare gli snack.


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Perdersi per ritrovarsiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora