Epilogo

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6 anni dopo

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6 anni dopo

«Mamma, mamma. Gabriele non vuole giocare con me alle bambole!» esclamò mia figlia, raggiungendomi in cucina di corsa.

«Anna. Lo sai che a Gabriele non piacciono le bambole. Preferisce giocare con le macchine», spiegai a mia figlia di quattro anni.

«Secondo te se gli chiedo di poter giocare con lui con le macchinine mi fa giocare?» chiese, abbassando la voce, insicura.

«Non lo so. Vuoi che vengo con te?»

Lei annuì e mi prese la mano, portandomi verso la stanza del fratellino di sei anni.

«Da grande voglio aggiustare anch'io macchinine, papà», pronunciò Gabriele, mentre giocava con Michele.

«Sarai sicuramente bravo», rispose mio marito, sorridendogli.

«Gabriele... Posso giocare anch'io con le macchinine?»

«Certo. Che macchina vuoi?» domandò, facendola sedere vicino a lui.

«Quella azzurra è bella.»

Allora lui gliela passò e cominciarono a giocare insieme, mentre io e Michele ci allontanavamo per lasciarli del tempo da soli.

«Che bei bambini che abbiamo fatto», disse mio marito, guidandomi verso la camera da letto che si trovava al piano superiore, con le mani poggiate sui miei fianchi.

«Tutto merito del padre.»

«Secondo me invece è tutto della madre», replicò, posando le sue labbra sul mio collo, portandomi a inclinare la testa e indietreggiare fino a stendermi sul letto.

«Michele...»

«Shh. Non vorrai che i bambini ci sentono», sussurrò sulle mie labbra e mi baciò, portandomi a tacere.

Mi abbassò la bretella della canotta e quella del reggiseno, portando una mano sul mio seno.

Soffocò i miei gemiti baciandomi. Nel frattempo fece scivolare una mano verso il mio basso ventre, e all'improvviso: «Mamma! Papà! Ho fame!»

«Voglio mangiare anch'io!» esclamarono entrambi i nostri figli.

Michele fece un verso infastidito, visto il momento interrotto.

«Domani li lasciamo dai miei.»

Ridacchiai, in accordo con lui. Era da tanto che non avevamo dei momenti di intimità tra di noi. Lavoravamo entrambi e ci ritiravamo a orari diversi, di conseguenza ci vedevamo poco. Solo la mattina prima di lavoro, a pranzo, se non avevo il turno tutta la giornata e la sera. C'erano dei pomeriggi in cui non lavoravamo entrambi ma dovevamo badare ai bambini, fare le faccende di casa o fare la spesa.

Il giorno successivo si trovava di domenica e sicuramente Alicia e Nicola avrebbero accettato. Volevano molto bene ai bambini e accettavano sempre di tenerli per noi.

«Andiamo, dai.» Mi alzai, prendendo per mano Michele, ma, prima che potessi lasciare la stanza, mio attirò a sé un ultima volta, lasciandomi un bacio a stampo.

Sorrisi.

«Riesci a trattenerti fino a domani sera?»

«Vuoi uccidermi, muñequita?» bisbigliò a un millimetro dalle mie labbra.

«Se ci riesci, avrai una ricompensa.» Pronunciai quelle parole e raggiunsi i bambini al piano di sotto, sentendolo imprecare a bassa voce.

«Mamma, mamma! Ci prepari dei pancake?»

«Certo. Voi intanto andate a sedervi!» Annuirono e raggiunsero l'altra stanza per prendere posto a tavola.

Michele mi passò gli ingredienti e, mentre stava per baciarmi, suonarono il campanello.

«Non c'è la posso fare.»

Ridacchiai, e andai aprire la porta.

«Ehi, Bea. Diventi più bella ogni giorno che passa», affermò Leonardo, stampandomi due baci sulle guance.

«Vale anche per te.»

«Zio!» esclamarono Anna e Gabriele, correndo verso Leo.

«Ciao, bimbi. Che fate?» disse il mio amico, sedendosi con loro e salutando Michele che uscì dalla cucina per salutarlo.

La relazione tra Leonardo e Davide era ufficiale. Ma Leo per vivere serenamente questo rapporto ha deciso di non parlare più con sua madre, ostacolo della sua felicità. Non ha mai accettato la sua omosessualità, e lui ha dovuto prendere una scelta. Ha anche iniziato un percorso con una psicologa che lo ha aiutato ad accettarsi e ad entrare in pace con se stesso.

Poi c'era mio padre, che da due anni stava frequentando Caterina, una donna che aveva conosciuto a lavoro. Ci aveva messo un po' per accettare la morte di mia madre e ad andare avanti.

Gaia, mia sorella, era ormai una bellissima ragazzina di quindici anni. C'erano delle volte in cui doveva ricordarmi che non era più una bambina di nove anni.

E infine Michele, mio marito, il mio migliore amico, il mio faro. Ha accettato la morte di sua nonna. L'ha affrontata in quella giornata di sei anni fa e da quel giorno, ogni anno, siamo andati a Buenos Aires, anche con i nostri figli, a ricordarla.

Riccardo e Ginevra erano felicemente sposati da sei anni e non avevano figli, per una loro scelta. Viaggiavano senza stancarsi mai di vedere e esplorare il mondo.

Giulia aveva perdonato il padre e da cinque anni era in una relazione con Alessio, un ragazzo comprensivo e gentile. Ha lasciato il lavoro da barista ed è diventata una modella molto conosciuta a Padova. Viaggiava spesso anche lei, ma ci sentivamo ogni giorno.

Marco, il direttore del bar dove lavoravo sei anni fa, è andato in pensione e ha passato la gestione del Caffè Pedron alla sottoscritta, consapevole della passione che mi legava a quel posto. Mi aveva detto che per qualunque dubbio potevo chiamarlo o scrivergli.

Per quanto riguardava me... era stato difficile accettare la morte di mia madre ma sapevo che non mi aveva mai lasciata veramente. In quegli anni i capelli erano cresciuti, ed ero sicura che un sorriso contornava il suo volto ogni volta che mi guardava acconciare i capelli in una treccia.

D'altronde, i rapporti con noi stessi e con le persone che erano destinate a rimanere nella nostra vita potevano essere descritti con tre parole: Perdersi per ritrovarsi.

THE END 

Perdersi per ritrovarsiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora