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Quant'è che non cammino solo
per queste mattonelle raggrumate,
lentamente allontanate dallo strascico
di questa terra di luci rimbalzanti nei riflessi,
ho l'anima sporca della solitudine, ed è
un po' come la mia scrivania: ci provo,
a metterla a posto, in "ordine", ma la verità
è che un uomo vive realmente nel caos di se.

Ogni mio gesto è sincero, e questo ferisce,
ma io la voglio davvero, quando compare
quando sparisce nel reflusso affogato del gas,
delle ruote, dei lampioni di mille colori, vedi
carte di caramelle che non mangia, ma io si.
A volte ho sol bisogno di sentirmi reietto,
senza nessuno, quando in realtà ho tutto.
I gatti randagi non trovano pace e basta,
dagli l'universo e il vuoto: li troveranno
splendenti e preziosi l'uno nell'altro.

Ogni elemento già visto e rivisto, piano piano
si copre di un freddo cenerino, cosicché i rami
vengano spogliati totalmente dei loro maglioni
di quelle magliette e reggiseni e mutande nere,
e i nostri occhi non sono che vermi vogliosi
pronti a nutrirsi, coi pochi sentimenti che han.
Le foglie copriranno a lor volta, i neon dei tagli
come nuovi indumenti che ancora devon
prendere il nostro profumo; che col tempo
inesorabilmente ci faran sentire felici, a casa.

Stamani ha piovuto, ed ora il buio è terso
delle mie gelide lacrime di sangue, perché ?
Perché negli insulti, nella tua indipendenza,
hai voluto puntarmi un faro sulle macerie
nelle zattere dei ricordi nati sommersi;
nell'aria sento il profumo della carne al sugo,
e mi ricorda quando stavo con mia nonna,
ascoltando la musica dalle casse rotte del cd:
ora il suo cuore non sta bene, e non c'è qui.
Proprio ora hai voluto seppellirmi nelle tue
stupide, infantili, illuse, grezze, criticanti,
opinioni da piccola bambola di provincia.
Danzo sui tuoi fili, e se li taglio per decidere
è colpa mia essermi legato: i tuoi rami
sono secchi come la banchina che calpesti.
Non troverai grilli nel grano, ma serpi e ratti.

<< Oh iride, iside ed ispida nel cielo, tu guardi
guarisci, guadagni dei gerani nelle vesti
verdi vaporose e gialle voraci con cui dileguo
l'ombra dissoluta e di diniego ch'è l'ombra mia. Rimbalzata dalla strada al cielo e al cemento ad incorporarsi nel terreno del cimitero. Tu. >>

Lo canto senza vergogna ora che l'emicrania
s'è presa una piccola pausa, e le mie gambe
posson spingere le mie membra tra i battiti
delle mie orecchie spennate rapaci, brucia
fuori dal lobo, questo ramoscello d'alloro:
un poeta che muore è il classico rossore
delle piccole lacrime versate per quell'amore,
scarnisce l'osso dalle lamentele per la vita.
Forse sto bene nella mia pelle, coi miei peli
nelle menzogne che non ammetto: come
non potrà migliorare davvero finché respiro.
Sono le verità e le idee di sesso sfrenato,
che custodiscono questi versi, i miei piedi
e le suole che calpesto nei giorni di tempesta.

Il mio sorriso più grande lo troverete
nella gigantografia a destra della bara:
e quando ci si addormenta dopo ore di stenti,
che non si può essere più felici, nel trascinare
le vecchie cicatrici in quella comodità che s'ha
unicamente nell'esser stesi tra i veli spettrali
delle giovani ballerine crema che son le tende.
Quante storie d'amore, voglio anch'io la mia,
ed è normale tu volessi la tua, con chi voleva
la sua, ma non può il traffico attorno a te:
una città di strade, ci potremmo incontrare.
Il vostro più grande sorriso, ormai: non fa più.

Po3try ( vol. 1 ) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora