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Noia mi sputa nelle orecchie,
estraniato in una sala trionfale
archi irriconoscibili e solitari:
fuggo tra i funghi dei ciottoli.

Il centro come San Pietroburgo
la periferia campagna annebbiata,
la strada su cui cala fa la cappa
un palco coi raggi dei riflettori puntati.

Scricchiolano le ombre delle campane
e l'aria del prato è satura di carne,
il kebab dell'angolo grida delle gambe,
e la bici sgrana le marce assordanti d'occhi.

Inebriato del freddo, in cielo nessun veicolo
e sulle foglie piumate, morbide come cuscini,
pipistrelli invisibili mangiano le dita dei neonati:
non vedo il fine delle lampade ad olio bianche.

Il materasso traballerà della bocca caramella,
e tu mi svestirai per baciarmi ogni lembo,
senza curarti delle buche che il cerchione
ha sopportato: la gomma sgonfia dal tempo.

E sarà con coraggio che stenderemo i piedi
senza caldo fuori le coperte a gelarsi,
vicini, nudi come neonati appunto,
strusciandoci la pelle ad incendiarci i nei.

Quante stelle mancano sul soffitto,
e quanti pacchetti ho fumato qua dentro,
nella gabbia del mondo di sbadigli,
ch'era per me, prender le chiavi in mano.

Occhi gialli dei gatti crocefissi per le zampe
sulle chiese sotto pelle, di credenze
il bus passeggia senza fretta per le scosse,
e fa benzina quando non ci sono più.

Mi vuoi bruciare col ghiaccio che riponi,
in mezzo il seno delle tue ciglia profumate,
ed il fuoco che riponi in mezzo le gambe
farà da incenso per la mia benedizione.

Gioco con l'accendino senza ansia di ferirmi,
ho distrutto il vaso dei traghetti colle ruote,
e questa notte siamo liberi di esser chi ci pare
dentro i nostri brutti libri scritti male.

Non sentirò più il fracasso della lamiera,
e guidare so già non sarà lo stesso che
aspettar venga sera per vederti sparire
nella nebbia di neon ch'è il nostro respiro.

I pollici ballano il valzer, incastrati nella folla
sul parquet di erba e fango che sediam bardati
è la grande leggenda delle notti di Novembre
e parla dei pomeriggi passati a pensarci.

Qui dove le ombre danzano sulle stesse note,
negli stessi sottopassaggi di graffiti e sesso,
sento la puzza del sudore e mi eccito anch'io
solo a sapere che posso sfiorarti senza paura.

Scierò sotto le cupole di falene e lanterne,
vecchi fantasmi esauriti, soldi rubati dai buchi,
tieniti stretto sulle rampe e sui cornicioni,
appena canta la cicala corri e incendia qui.

Fuori dal bar dell'angolo fondo strada
un uomo torcia una canna, e da vita alle sette:
luccica la bigiotteria si, ma è scia di fonte
delle lampade accese quaggiù, sotto di esse.

Sono ipnotizzato dal lusso del tuo candore,
della luce flash sulla tua pelle nuda e scoperta,
cosa credi che cambi tra ieri e'l l'or ora se non
noi e il tabernacolo orgiastico del battesimo.

L'inverno racconta le sciarpe e le giacche
ammatassate tra loro per i lastricati di mete
dimenticate dai viandanti leniti dall'odio:
lo sputo delle colombe, segna la speranza.

Po3try ( vol. 1 ) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora