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Il giorno che conobbi la Giulia
rubai una pallina da un distributore:
giallo fluo, e dalla gomma dura;
poteva raggiungere le stelle
se solo l'avessi lanciata abbastanza forte.
Quando ero piccolo - 5 anni -
adoravo le mie palline rimbalzanti:
colorate come solo i giochi possono,
morbide da dormirci assieme,
e divertenti abbastanza, da volerle
custodire tutte gelosamente.
Mamma non mi ci faceva giocare
perché i muri di casa sono sottili,
e infrangevo le urla col battito
di quella plastica tutta luccicante.
Le palline erano il proibito,
quell'amore senza parole
che non sapevo di poter regalare.
Quando rimanevo a casa da solo
tiravo fuori dal cassetto tutte le palline:
quella nera coi coriandoli,
quella bianca coi coriandoli,
il terrario della rana argentata,
quella vecchia e secca,
la piccola mucca azzurra,
e la mia preferita: la trasparente
con tutte le stelle che rapiva
quando la libravo in aria.
Ora in tasca non ho più quella palla,
e il fluo del suo colore è uno di quei punti
che dentro la trasparente, tanto curioso
osservavo come fosse uno specchio
su quell'universo che mia madre
non permetteva di visitare per le grida.
Ora giro con una pallina in tasca,
quella che ho rubato quando conobbi Giulia
e me lancio di mano in mano
lasciando che il rumore secco e sonante -
piuff piuff, piuff piuff, piuff -
batta il tempo dei miei pensieri irrequieti.
L'ispirazione è una faccenda complicata
come guardare dritto mentre si lancia
sulla riga verticale degli occhi,
la stella cadente della propria pace apparente.
Io ancora non la capisco,
ma il giallo non mi dona, e mai lo farà.

Po3try ( vol. 1 ) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora