Capitolo 30:

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Aegon entrò nella sua stanza lasciandosi andare a un profondo sospiro di piacere. Non immaginava che quattro pareti avrebbero potuto mancargli così tanto, eppure era proprio così.
L'ultima volta che ero qui Larys era con me, pensò mordicchiandosi il labbro. La camera era intoccata, aveva immaginato che Rhaenyra avrebbe messo a ferro e fuoco le stanze dei suoi familiari eppure sembrava che sua sorella non ci avesse nemmeno messo piede.
Sollevò le spalle e si sedette sul bordo del materasso. La sua corona e quella di Rhaenyra erano state appoggiate sul mobile che stava proprio davanti al letto. L'oro della corona di Viserys risplendeva illuminata dalle fiamme mentre i rubini della corona del Conquistatore sembravano risucchiarne il calore.
Uno dei cassetti era un filo più aperto rispetto agli altri, come se qualcuno lo avesse aperto e poi si fosse scordato di chiuderlo completamente.
Oppure qualcuno lo ha lasciato così apposta, pensò alzandosi in piedi.
Larys non gli aveva mai insegnato i suoi trucchi eppure Aegon era certo che lì ci fosse il suo zampino. Era un qualcosa di minuscolo che solo in pochi avrebbero notato.
Proprio come era Larys, pensò aprendo il cassetto con uno strattone.
Aggrottò le sopracciglia. All'interno c'era una semplice spilla con lo stemma degli Strong e una pergamena arrotolata. Era piccola, lunga quanto un pollice e tenuta ben chiusa da un sottile nastro verde.
Prese spilla e pergamena e tornò verso il letto, si sedette al centro del materasso e lasciò cadere lo stemma fra le sue gambe incrociate, occupandosi di sciogliere il laccio.

Aegon,
probabilmente non ci rivedremo più. Una volta mi chiedesti perché non mi fossi mai sposato e io ti risposi perché avevo eliminato ogni mio pretendente. Ma immagino che, se tu fossi nato qualche anno prima, saresti stato l'unico che avrei accettato di sposare.
Tua madre ti dirà che io non ti amavo. Che avevo qualche orribile piano volto a giovare il mio stato ma non è così. Ti amavo come non ho mai amato nessuno. Immagino che fossimo malati allo stesso modo.
Tuo per sempre,
Larys Strong.

Le parole erano state scritte con rapidità, l'inchiostro era sbavato e probabilmente la mano di Larys era stata macchiata di nero. Doveva aver scritto quella pergamena poco prima che Rhaenyra giungesse a palazzo. I suoi ultimi istanti da uomo libero erano passati pensando a lui.
Aegon si mordicchiò le labbra e strinse la lettera contro il petto. Prese un profondo respiro, cercando di calmare il cuore che batteva forte.
Se avessi sposato lui sarei stato più felice, pensò aggrottando le sopracciglia. Adorava i suoi figli ma lo stesso non poteva essere detto di sua moglie.
Portò la lettera contro il naso e respiro a fondo, cercando le tracce residue dell'odore di Larys. Trovò briciole e ricordi ma l'odore era troppo misero per poter essere soddisfacente. Si domandò dove Rhaenyra avesse gettato il corpo del suo omega. Ma poi immaginò che le salme dovessero essere state buttate in una fossa comunque e che quelle fossero andate distrutte quando Aemond aveva raso al suolo metà di Approdo del Re.
Aveva una stanza a palazzo, si disse. Non vi aveva mai messo piede, Larys pareva essere geloso dei propri spazi ma Aegon immaginava che l'omega preferisse avere una stanza che odorasse di lui e nessun altro.
Si alzò in piedi ma prima strinse pergamena e spilla. La prima la infilò nella tasca dei suoi pantaloni mentre la seconda la fissò al petto, guardandosi poi allo specchio. Era piccola ma decisamente ben visibile e chiunque avrebbe potuto riconoscere lo stemma degli Strong su di lui. Anche se dubitava che chi sapeva di lui e Larys fosse ancora in vita.
Lasciò una lieve pacca sulla piccola spilla e lasciò la propria stanza con passo svelto. Quella sera avrebbe fatto visita ai suoi figli ma in quel momento desiderava solo piangere il suo omega scomparso.


Daeron sospirò fermo fuori dalla porta della propria stanza. Il pranzo era stato orribilmente travagliato. Aegon non aveva smesso nemmeno per un istante di parlare degli ultimi istanti in cui Rhaenyra aveva vissuto, ignorando completamente Helaena che ancora più pallida del normale ascoltava senza poter dire nulla.
L'unico momento di silenzio era stato riempito dal racconto, non vero, di Aemond.
Lucerys sembrava sul punto di ubriacarsi e Daeron non avrebbe nemmeno potuto fargliene una colpa. A differenza di suo fratello maggiore, lui aveva un buon motivo per rifugiarsi negli alcolici.
Luke non aveva chiesto dei suoi fratelli ma Daeron immaginava che il giovane fosse semplicemente troppo stanco per sopportare un'altra lite. Ma dentro di sé gli era riconoscente perché non avrebbe saputo che cosa dire davanti alla propria famiglia una volta che il discorso sarebbe, inevitabilmente, passato a lui e Joffrey.
Da quando aveva messo piede ad Approdo del Re Aegon insisteva perché lui trovasse qualcuno, che fosse una prostituta o un innamorato. Il nome di Joffrey aveva sfiorato le sue labbra in più di un'occasione ed era certo che, una volta che suo fratello si fosse ricordato dell'omega in Calore nella sua stanza, avrebbe fatto l'impossibile per organizzare le loro nozze.
Il problema è che io desidero quelle nozze, pensò poggiando la fronte contro la dura porta di legno. Voleva Joffrey dal primo momento che lo aveva visto e aveva realizzato quanto fosse affascinante. Lo aveva desiderato ancora di più quando gli aveva dimostrato di non possedere solo un bel viso ma una mente sveglia e la combattività di un drago.
Ma Joffrey non desidera me, pensò con un sospiro. Quella non era una certezza ma se si fosse trovato nella stessa condizione di suo nipote sicuramente non avrebbe voluto avere nulla a che fare con l'uomo che aveva contribuito allo sterminio della sua famiglia. Tanto meno sposarlo.
Si passò le mani contro il viso e raddrizzò la schiena. Basta, doveva decidersi a incontrare suo nipote. Doveva assicurarsi che stesse bene e poi avrebbe potuto fuggire, rintanarsi in una delle tante stanze vuote e aspettare che il Calore di Joffrey avesse fine.
Bussò lieve alla porta e quando non ottenne risposta entrò, certo che Joffrey stesse dormendo.
L'odore lo colpì con un fulmine nel mezzo di un tempesta. Chiuse gli occhi e si aggrappò alla porta, non riuscendo a trattenere un brivido di eccitazione che gli corse giù per la schiena.
L'aria era spessa, quasi impossibile da respirare. Chiuse il naso ma l'aria sulla sua lingua era pesante e nonostante le narici tappate riusciva comunque a sentirne il sapore salato e affumicato.
Puntò gli occhi sul letto e la sua mente appannata impiegò qualche istante per comprendere che Joffrey non si trovasse sul letto. Così come le coperte e i cuscini. Solo il materasso nudo e crudo era rimasto al suo posto.
Daeron si guardò freneticamente attorno e poi si immobilizzò, gli occhi grandi e il sangue che scivolò tutto verso l'uccello.
Joffrey gli dava le spalle. Era inginocchiato nell'angolo vicino a focolare. Nascosto da coperte e cuscini, un piccolo nido improvvisato, Daeron riuscì comunque a vedere il suo corpo per intero, solamente i piedi e i polpacci erano ben celati.
Joff teneva le gambe aperte, le ginocchia conficcate contro lo spesso strato di coperte che gli aveva fatto da letto. La mano sinistra era premuta contro la parete, così da aiutarlo a mantenere l'equilibrio mentre la destra era affondata tra le sue cosce. Nonostante gli desse le spalle Daeron poteva vedere le sue dita sprofondare rapide e sensuali tra le labbra umide e bollenti.
La curva della sua schiena perfettamente visibile, i muscoli tonici di braccia e gambe che sussultavano a ogni movimento, le dita che spingevano dentro di lui e i fianchi che gli andavano incontro.
Il suo respiro era accelerato, i ricci scuri che gli coprivano il collo e sobbalzavano a ogni colpo dei fianchi. Il profilo sinuoso del suo collo messo in perfetta evidenza, pronto a essere morso.
"Merda," sibilò Daeron aggrappandosi con più forza alla dura porta, le unghie conficcate nel legno.
Joff sobbalzò e voltò il capo con uno scatto, le dita che insaziabili continuavano a muoversi dentro di lui.
"Cazzo!" esclamò con le guance rosse e gli occhi che tornarono a fissarsi sulla parete. Le spalle salirono fino a sfiorargli le orecchie e lui abbassò il capo, l'imbarazzo palpabile nel suo profumo agrodolce.
Daeron deglutì e si morse le labbra.
"Posso tornare più tardi," disse con l'erezione che premeva contro il cavallo dei suoi pantaloni e i lacci che faticavano a trattenerla. Faticava a tenere il proprio odore sotto controllo e ancora di più faticava a trattenere sé stesso, l'odore di Joffrey così invadente che avrebbe potuto ricordarlo per i prossimi mille anni.
Fece per voltargli le spalle e fuggire.
"Rimani!" esclamò Joffrey. Un ordine sibilato a denti stretti.
Daeron si immobilizzò, la mano premuta contro la maniglia finemente ricamata e le spalle tese in una linea perfettamente dritta. I denti conficcati nelle labbra che gli impedivano di rispondere o di opporsi. Era in balia della voce di suo nipote e suo nipote era in balia dal suo odore, la fragranza che lo tormentava da quando si era risvegliato in quella stanza sconosciuta e che lo aveva accompagnato in ogni istante di quel calore.
Daeron deglutì e si voltò lentamente.
"Io- Io ho bisogno di... una mano," disse senza azzardarsi a voltare il capo, gli occhi fissi in quell'angolo dove convergevano le pareti. Le dita si erano fatte immobili tra le sue cosce tremanti.
Daeron deglutì rumorosamente.
"Posso- posso far chiamare qualcuno. Il Maestro o una serva," disse deglutendo.
"Sei stupido? Ti sembra che- che mi serva quel genere di- di mano?" domandò Joffrey con le labbra strette fra i denti e gli occhi che bruciavano un foro nella parete.
Daeron strinse le labbra in una linea sottile. Le sue mani tremavano così come la gambe. Fece un passo avanti e poi si interruppe, gli occhi fissi sulla schiena sudata di Joffrey e si ritrovò a pensare che avrebbe volentieri passato la lingua lungo l'ombra della sua colonna vertebrale.
Scosse il capo.
"Tu vuoi me? Ne sei certo?" domandò Daeron facendo un altro passo avanti.
Joffrey sbuffò una risata e scosse il capo, la mano sinistra ancora premuta contro la parete, come se temesse di poter cadere senza quel sostegno.
"Sei qui o mi sbaglio?" domandò Joff voltandosi per la prima volta. Le sue guance erano rosse, una tinta così intensa che il sangue che gli scorreva nelle vene avrebbe potuto sembrare rosa. Gli occhi di un viola intenso, così scuro da sembrare nero.
"Sono qui," garantì Daeron con un tono che però sembrava più spinto a motivare sé stesso che suo nipote.
Fece un primo passo avanti e poi ne fece altri due. Avanzò fino a quando le punte dei suoi piedi toccarono il nido di coperte e cuscini. Joff si spinse un poco più avanti, creando un piccolo spazio alle sue spalle e Daeron vi si lasciò cadere, inginocchiato alle spalle del nipote.
Joffrey rimase sollevato, le ginocchia dello zio che premevano contro l'interno delle sue. Le uniche parti del loro corpo che si toccavano. Per il momento.
"Cosa vuoi che faccia?" domandò Daeron con gli occhi che famelici correvano lungo la schiena sudata di Joff. Seguì una goccia che lenta scendeva fino a scomparire fra le sue natiche.
Rabbrividì, i muscoli che si muovevano sotto la sua pelle. Sembrava che un ammasso di formiche avesse scavato un percorso nella sua carne. Si mordicchiò le labbra, le mani che fremevano per toccare la pelle del nipote ma che al tempo stesso non avevano il coraggio di toccarla, troppo spaventato dalla sua reazione.
Joff prese un profondo respiro e si passò una mano fra i capelli, scacciando i ricci scuri che gli si erano appiccicati alla fronte.
Prese coraggio e posò le dita contro i fianchi di Joffrey, circondandoli delicatamente. Accarezzò le sue anche, i pollici che eseguivano piccoli movimenti circolari. Un minimo tentativo di calmarlo.
Joff allontanò la mano dalle proprie cosce e afferrò quella di Daeron, guidandola lungo il suo ventre e poi giù, oltre l'uccello eretto. L'alpha si morse le guance quando le sue dita toccarono le labbra gonfie e umide. Joff sospirò, la mano stretta attorno al polso di Daeron mentre questo muoveva lentamente le dita, accarezzando l'esterno di quel dolce fiore senza avere il coraggio di entrarvi.
Joff ansimò debolmente, il corpo che andò completamente ad appoggiarsi a quello di Daeron. Cosce contro cosce. Natiche contro inguine. Schiena contro petto.
Lasciò cadere la testa all'indietro, appoggiandosi alla spalla di lui, il collo completamente esposto e Daeron si ritrovò a mordersi le labbra, salivando senza alcun ritegno.
Deglutì e conficcò i denti nella carne del suo labbro inferiore. Il sapore del sangue gli invase la bocca.
"Mani contro la parete," ordinò quando Joff si aggrappò alle sue gambe. L'omega miagolò sconfitto e Daeron dovette trattenersi dal retrocedere su quella decisione. Ma se Joff lo avesse toccato ancora sarebbe esploso, il suo odore era troppo. Troppo forte. Troppo dolce. Troppo tutto.
Joff ubbidì, il corpo sempre premuto contro quello di Daeron ma le mani ben ferme contro la parete, le unghie conficcate nella dura pietra.
"Perché?" domandò Joff.
Daeron non gli rispose e affondò due dita dentro di lui. Il nipote sussultò e si lasciò andare a un gemito di puro piacere, l'odore dell'alpha che gli invadeva le narici e rendeva l'esperienza estremamente più dolce.
Le dita di Daeron non erano terribilmente differenti da quelle del nipote ma erano leggermente più lunghe e spesse, abili abbastanza da raggiungere quel dolce punto dentro il principe che lo fece gemere e dimenarsi.
Daeron ansimò contro il collo di Joff, il suo calore così bollente da fargli immaginare gli scenari più perversi. Passò la lingua contro le sue vene pulsanti e Joff piegò il collo, una muta preghiera di essere morso.
Daeron serrò le labbra e mosse con più rapidità le dita dentro il corpo del suo giovane nipote, guardandolo inarcarsi e ansimare, le mani che rimanevano ostinatamente premute contro la parete.
Joff iniziò a muovere i fianchi contro i suoi, stuzzicando l'erezione stretta nei pantaloni.
"Ah!" un piccolo gemito lasciò le sue labbra, la durezza di Daeron che stuzziacava in lui pensieri corrotti. Lo zio iniziò a ricambiare le spinte, strusciandosi contro il corpo del dolce omega, il suo odore che rapido iniziava a sovrastare quello di lui.
Joff si contrasse attorno alle sue dita e un gemito più forte e acuto lasciò le sue labbra. Il giovane si immobilizzò contro il corpo di Daeron, lasciando che lui lo sorreggesse.
Lo zio si morse le labbra, le guance rosse e i pantaloni bagnati. Era venuto senza essere toccato.
Come il vergine che sono, si disse poggiando la fronte contro la spalla di Joff il cui calore, almeno per qualche ora, sembrava essersi placato.
Joff scivolò giù dal grembo di Daeron e si sedette dalla parte opposta del nido, la schiena premuta contro la parete e le gambe strette contro il petto. Gli occhi fissi contro i pantaloni bagnati dello zio che si schiarì la gola e si alzò in piedi, lasciando il nido. Nel farlo urtò un cuscino che cadde in terra e Joff si lasciò andare a un piccolo gemito sofferente.
"Scusa," sussurrò Daeron rimettendo quell'oggetto decorativo al proprio posto. Poi fece un passo indietro e un altro ancora, dando un po' di spazio al dolce omega dal profumo delizioso.
"Dove vai?" domandò Joff con le guance rosse e una coperta stretta attorno alle spalle.
"Non voglio approfittare di te perciò... tornerò quando il tuo Calore sarà passato," gli disse stringendo le mani dietro la schiena, ignorando tenacemente la chiazza bagnata e l'orribile consistenza dei pantaloni contro il suo inguine soffice.
Joff si mordicchiò le labbra.
"Farò in modo che Lu-" poi si interruppe.
Joffrey non sapeva della morte di sua madre. Non sapeva che Lucerys era stato riportato ad Approdo del Re. Non sapeva né di Baela né di Jacaerys.
"Farò in modo che tu abbia compagnia," gli disse porgendogli un sorriso mentre il senso di colpa scavava un profondo crepaccio nel suo petto.
Joff esitò poi annuì.
Meglio che stare da solo, pensò stendendosi su un fianco, congedando definitivamente lo zio che rapido e con il cuore che a ogni battito gli faceva salire le lacrime agli occhi, lasciò la sua stanza.


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