Capitolo 27:

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"Fai attenzione," sussurrò Jace accarezzandogli il viso. Erano nascosti all'ombra di un vecchio passaggio, così vicino all'ingresso della Fortezza Rossa che Jace poteva sentire l'aria della città accarezzargli il viso e le grida degli uomini che si preparavano alla partenza sfiorargli le orecchie.
La maggior parte dei Lupi si trovava già fuori città, pronta ad accogliere le Vipere ma alcuni degli uomini, quelli che erano stati feriti e avevano avuto bisogno di cure erano arrivati fino a palazzo, elemosinando delle bende per poi poter tornare a combattere.
Cregan sospirò e unì la fronte alla sua, i loro nasi si accarezzavano in una morbida carezza e le loro labbra erano così vicine che entrambi potevano percepire il calore della bocca dell'altro.
"Ser Gwayne è in gamba ma non in gamba abbastanza da sconfiggermi," commentò il Signore di Grande Inverno. Prese le mani di Jace nelle proprie e baciò le dita sottili e delicate, segnate da lunghe cicatrici che correvano dalla base a sotto l'unghia.
"Non essere così sbruffone," disse Jace con il terrore che quelle parole potessero rivoltarglisi contro. Sapeva che il suo uomo era forte, valoroso, irruente come una tempesta in piena estate. Eppure non poteva fare a meno di temere per lui.
Cregan sorrise e si chinò per premere la bocca contro la sua, leccando e succhiando le sue labbra rosse e sempre così imbronciate. Erano adorabili, ora che ci pensava, l'arco di cupido così affilato e il labbro inferiore così gonfio da pendere verso il basso.
Jace gli avvolse le braccia attorno al collo e si arpionò ai suoi capelli, tenendolo stretto a sé.
"Sarò di ritorno prima di notte. Non scordare che tua sorella e parte dell'esercito di tuo nonno saranno con me," gli disse tenendolo stretto per la vita, anche quella così dolce e sottile.
Jace sospirò e lo guardò con occhi grandi e preoccupati. Non voleva che Cregan si allontanasse da lui, aveva avuto solo una settimana di tempo da passare insieme e rispetto ai lunghi mesi passati al Nord quello gli sembrava un semplice battito di ciglia.
"Ti amo," gli disse accarezzandogli le guance coperte da un leggero filo di barba.
Cregan sorrise, un sorriso così grande da illuminargli il viso. Si piegò sul suo amore e premette le labbra contro le sue.
"Ti amo," rispose Cregan, gli occhi fissi in quelli verdi di Jace e le mani che ancora lo tenevano per i fianchi.
Si diedero un ultimo abbraccio, il viso di Jace affondato contro il collo di Cregan e il viso di Cregan affondato contro il collo di Jace. Chiusero entrambi gli occhi, godendo di quegli attimi di pace e di quell'ultimo saluto prima della battaglia.
Cregan fu il primo a lasciarlo andare perché sapeva che se fosse stato per Jace le sue braccia sarebbero rimaste ancorate al suo collo.
"Ti amo," ripeté Cregan baciandolo ancora. Strinse con forza le sue mani e poi lo lasciò andare, incamminandosi verso l'uscita.
Jace lo guardò andare via, una mano premuta contro il petto, il cuore che batteva veloce e gli occhi fissi sulla schiena robusta del suo uomo.
"Ti amo," sussurrò Jace scivolando contro la parete.

Il dolore alla spalla era lancinante. Fu così che si svegliò quel giorno. Si svegliò senza sentire il dolce canto degli uccelli o il corpo di suo marito premuto contro il suo o il suo profumo che gli invadeva le narici.
Si svegliò con il dolore che gli martellava la spalla e la testa appoggiata a qualcosa di morbido, mani dolci che gli accarezzavano il viso e l'odore del suo drago misto a quello di suo fratello che gli appestava le narici.
Sollevò una mano e la trascinò fino alla spalla lesa, la spalla sinistra, la spalla che suo zio aveva trapassato con Sorella Oscura prima di precipitare nell'Occhio degli Dei.
Aemond spalancò l'unico occhio.
La luce gli impedì di vedere per qualche istante ma poi un'aureola di capelli bianchi gli oscurò la vista e i grandi occhi viola di suo fratello minore incontrarono il suo.
La sua testa era appoggiata alle cosce di Daeron e quelle piccole mani che gli stavano accarezzando i capelli erano le sue.
Tessarion era stesa alle spalle del suo cavaliere e Daeron utilizzava il suo ventre azzurro chiaro come poggia schiena. Un'ala era spalancata e protesa sopra ai corpi dei due principi, così da proteggerli dal vento e dal freddo sole mattutino.
"Sei sveglio," sussurrò Daeron. Il principe si lasciò andare a un sospiro e si portò una mano al petto, smettendo di accarezzare i capelli del fratello.
Vhagar, che era stesa diversi metri più in là, sollevò la testa e si lasciò sfuggire un sibilo dolce e frizzantino. L'odore del suo cavaliere era mutato, il sonno lo aveva abbandonato per cedere il posto al dolore e all'ebbrezza della vittoria.
"Cos'è successo?" domandò mettendosi faticosamente a sedere.
Daeron lo aiutò il più possibile e poi lasciò che si appoggiasse al ventre di Tessarion e che godesse del calore sprigionato dal suo corpo bollente.
Aemond si portò una mano alla spalla e le sue dita incontrarono la sua pelle nuda e soffici bende. Abbassò lo sguardo su sé stesso e realizzò di non avere più indosso la parte superiore della propria uniforme.
"Daemon ti ha trapassato la spalla con Sorella Oscura e poi è caduto nel lago," disse Daeron porgendogli una fiaschetta piena di vino dolce. Lui accettò senza nessun indugio, riversò la testa all'indietro e bevve fino all'ultimo goccio, leccando l'anello fino a quando ogni goccia fu nella sua bocca.
Immaginò che avrebbe fatto quello a suo marito una volta che fosse tornato ad Approdo del Re.
"È morto?" domandò fissando l'occhio in quelli di Daeron che sollevò le spalle.
"Non è mai tornato a galla e Caraxes si è arreso dopo mezza giornata di perlustrazione," spiegò accennando al lato opposto del lago, dove le orme della bestia rossa erano ancora ben visibili. Non aveva idea di dove fosse andato il drago di loro zio. Per un terribile istante aveva temuto che avrebbe tentato di portare a termine la missione del suo cavaliere ma Caraxes si era limitato ad allontanarsi senza guardarsi indietro.
Aemond sorrise e si fece più comodo contro il corpo di Tessarion. La spalla doleva ma il dolce sapore del vino lo stava aiutando a superare il costante pulsare.
"Mi hai ricucito tu?" domandò riuscendo a sentire punti tirare e tenere unita la sua carne martoriata.
Daeron annuì e si inginocchiò al lato opposto di suo fratello, approfittando di quel momento per sostituire le bende che ormai indossava da quasi due giorni.
"Non è stato semplice. Avrai bisogno di un Maestro ma sembra che i tuoi muscoli siano miracolosamente illesi," spiegò ordinandogli di sollevare il braccio e si compiere movimenti il più naturali possibili, così da assicurarsi della sua teoria.
Mio fratello è sempre stato un bastardo fortunato, si disse avvolgendo la spalla di Aemond in una nuova serie di garze bianche.
"Cosa è successo lassù? Come ha fatto a cadere?" domandò Daeron mentre beveva a propria volta del vino da una nuova fiaschetta che aveva tenuto nascosta in una delle borse che aveva gettato vicino alla testa di Tessarion.
Aemond sollevò le spalle e poi sibilò per il dolore, appuntandosi di evitare quel gesto sciocco.
"Si è sganciato dalla sella e mi si è gettato addosso. Se Vhagar non si fosse spostata ora Sorella Oscura sarebbe sprofondata nel mio cranio," gli disse accennando al suo unico occhio.
Era certo che Daemon stesse mirando a quello. Desiderava portare a termine il buon lavoro del suo figliastro prima di abbandonare definitivamente il loro mondo.
"Si è buttato consapevole che sarebbe morto?" domandò Daeron portando lo sguardo sul lago. Immaginò quasi di vedere Daemon trascinarsi a riva. Un folle simile non sarebbe morto per una semplice caduta, no, Daemon Targaryen desiderava la gloria.
Ma la superficie dell'acqua rimase immutata e Daemon rimase lì dov'era. Probabilmente sul fondo del lago.
"Nostro zio è sempre stato un pazzo," disse Aemond sospirando stanco.
"Per quanto ho dormito?" domandò poi mentre Daeron gli porgeva della carne secca e bacche che aveva raccolto nella foresta. La notte prima aveva catturato un coniglio ma metà lo aveva divorato e l'altra metà era finita nello stomaco di Tessarion che non aveva lasciato il suo fianco nemmeno per un'istante.
"Sette giorni," disse Daeron leccandosi le labbra.
Aemond sospirò stanco e lasciò cadere il capo contro il ventre di Tessarion, sentendo le due squame premere contro il suo capo coperto dai capelli bianchi.
"Merda," sussurrò portandosi una mano al viso. Conficcò le dita della mano libera in terra e si alzò in piedi, debole ondeggiò in avanti e suo fratello lo afferrò per il braccio buono, impedendogli di cadere dritto con la faccia nella terra.
"Che stai facendo? Non puoi alzarti," gli disse cercando di spingerlo a sedersi. Le gambe del principe erano così molli che avrebbe potuto cadere senza nemmeno essere spinto ma Aemond nuovamente dimostrò una determinazione che solo un pazzo poteva possedere.
"Dobbiamo andare ad Approdo del Re. Ora che Daemon è morto sono deboli," disse costringendosi ad avanzare verso Vhagar.
Daeron scosse il capo e si impuntò, cercando di farlo ragionare.
"Non ti reggi in piedi. Non puoi pensare di attaccarli," disse parandosi davanti a lui, una mano stretta attorno al braccio sano e l'altra premuta contro la sua pancia. Evitò accuratamente di toccare la spalla malmessa, sapeva che gli sarebbe bastato un tocco per costringere suo fratello in ginocchio ma un solo tocco gli sarebbe anche potuto essere fatale.
"Hanno tre draghi. Due escludendo la bestia viziata di nostra sorella," disse Aemond avanzando ancora.
A Daeron quella sembrò la prima volta in cui suo fratello fece riferimento a Rhaenyra senza insultarla.
"L'unica minaccia è quella stronza di Baela, dubito che permetterai al tuo piccolo compagno di combattere contro di me," commentò Aemond e Daeron si lasciò andare a un basso ringhio, guardando l'altro alpha dritto nell'occhio.
Aemond ghignò e gli posò una mano sulla spalla, lo spinse un poco più in là e continuò ad avanzare, raggiungendo infine il fianco della sua dolce compagna che paziente lo attendeva.
Daeron scosse il capo e si passò le mani contro il viso, guardando suo fratello che tentava testardo di scalare la lunga corda che portava alla sella.
"Sei pazzo," gli disse mordendosi le labbra.
Aemond ghignò e si passò la mano buona contro il viso.
"Come nostro zio," commentò sollevando lo sguardo verso il cielo, guardando il triste sole del mattino che sfiorava la cima degli alberi.
"Aspetta," disse Daeron avvicinandosi a lui con passo svelto.
Aemond aggrottò le sopracciglia ma poi sorrise quando vide ciò che suo fratello reggeva in una mano. Allungò il braccio ma Daeron l'allontanò dalla sua presa, guardandolo dritto in viso.
"Starai lontano da Joffrey e dalla Fortezza Rossa, nostra sorella e i suoi figli sono là dentro," lo avvertì puntandogli contro il dito della mano libera.
Aemond si trattenne dal buttare l'occhio al cielo.
Mi crede uno stupido? si domandò mentre annuiva.
"Sì, sì. Tu occupati del tuo compagno, al resto penso io," disse tornando a ghignare.
Allungò ancora una volta la mano e poi accennò a ciò che suo fratello teneva stretto fra le dita.
Daeron si morse le labbra ma alla fine, con un profondo respiro pieno di incertezze, lasciò che suo fratello stringesse l'elsa di Sorella Oscura.

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