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"...e così l'ho spenta. Ti giuro Meg, la sua espressione era imperdibile."
"Adoro quando fai le cose alla Elisabetta maniera, sei stata grande!" - sento ridacchiare Megan, dall'altro capo del telefono.
Mi rigiro a pancia in giù, immersa nelle coperte del mio letto. - "Sai che non mi faccio problemi in questi casi. Si sarebbe anche meritata altro, diciamo che mi sono contenuta."
"Oh si, lo so bene, e devo dire che avrei paura anch'io della Elisabetta gelosa e possessiva." - dice con tono scherzoso. - "Beh, compagna di avventure, è giunta l'ora di andare a letto. Sai, da me sarebbero le tre del mattino..."
Guardo l'orologio sul comodino, non avevo pensato al fuso orario di ben sei ore da qui a New York. - "Okay, okay, ci si vede tra una settimana e mezzo!" - rido, chiudendo la chiamata.
Margherita è stata la prima voce che ho sentito questa mattina. Non mi sono ancora alzata dal letto, la stanchezza accumulata in questi mesi pesa sempre più. Mi accorgo solo ora di un messaggio arrivato un'ora fa circa, quando io e Meg eravamo ancora immerse nella nostra lunga chiacchierata.

"Buongiorno piccola! Spero non ti dispiaccia, sono uscito a sbrigare alcune faccende, e ho preferito lasciarti dormire ancora un po'.
P.S sei troppo dolce quando dormi!"

Sorrido istintivamente, e ritengo sia arrivata l'ora opportuna per alzarmi.
Sarei stata capace di dormire anche di più, ma solo il letto di casa mia riesce solitamente a farmi cadere nel sonno più profondo, a volte anche fino a tarda mattinata, mezzogiorno e oltre.
C'è stato un periodo in cui indagavo soprattutto la notte, e non era raro tornare a casa alle prime luci dell'alba. In quel periodo la mia vita fu al completo sbando, e spesso mi chiesi se era davvero quella la vita che volevo. Stavo pensando di mollare.
Beh, è passato un anno e ora mi ritrovo a vivere questa vita, circondata da persone che amo e mi amano.
Ho capito di aver fatto la scelta giusta.
Mi aggiro per i corridoi di casa Ginoble con parecchia indiscrezione, anche se pare non esserci anima viva. A metà corridoio mi affaccio alla camera di Gianluca, rivedendola in tutto il suo splendore.
Il colori predominanti sono il bianco e il beige: pavimento in mattonelle, pareti e armadio bianco, uno specchio al muro. Tende e una poltona color panna. È poi c'è il letto, con una miriade di cuscini bianchi e beige sopra, ricordando quello degli alberghi.
Complessivamente è semplice, ma bella e di buon gusto.
La mia attenzione ricade sulla libreria, piena di foto incorniciate e regali delle fan sui vari scaffali: foto di Gianluca neonato, in braccio al padre, mentre gioca a calcetto, mentre mangia. Più le rivedo e più mi convinco che è sempre stato meraviglioso.
Sugli scaffali più alti c'è di tutto: da Francesco Totti in miniatura per finire con il Billboard, vinto nel 2014. La mia attenzione ricade su una foto in particolare: Il Volo nei primi tempi, probabilmente quando ancora non aveva questo nome.
Una foto semplice di loro tre insieme, ancora adolescenti, ma che mi fa inevitabilmente sorridere. Il percorso che hanno compiuto in questi otto anni è qualcosa di pazzesco.
"Adorabile, vero?" - la voce di Gianluca mi fa sobbalzare.
"La smetti di apparire così dal nulla?!" - rido, con ancora le palpitazioni. Lui è ai piedi della porta, mentre mi osserva compiaciuto.
"Veramente sei tu nella mia stanza!" - ride, avvicinandosi a me.
"Buongiorno, dormigliona!" - mi lascia un bacio all'angolo della bocca.
"Sei già tornato?"
"Già, stavo per venirti a svegliare." - mi afferra per la vita, e le mie mani sfiorano il suo petto. - "Allora, cosa vogliamo fare di bello oggi?"
"Mhm... non saprei." - rispondo pensierosa. - "Hai proposte?"
"Che ne dici di un pranzo in riva al mare, solo io e te?"
"Va benissimo." - gli sorrido a trentadue denti, non vedevo l'ora di passare un po' di tempo sola con lui.
"Stasera poi... Sarà ancora più bello." - ammicca, baciandomi delicatamente.
Arrossisco, abbassando lo sguardo imbarazzata. - "...cioè?" - gli chiedo timidamente, con gli occhi sognanti. Gianluca Ginoble è la prima persona sulla faccia della terra riuscita a farmi esternare tutto il mio lato romantico.
"Ma come cioè?" - mi chiede stupito.
"Hai ragione, scusa, che domanda idiota..." - rido nervosamente, con quasi le mani tremolanti.
"...c'è il derby di Roma stasera! Oh, mica si scherza!"

Ripropongo, Gianluca Ginoble è l'unica persona sulla terra riuscita a reprimere tutto il mio lato romantico in dieci parole. Mica è da tutti, eh.

"Oh, eh certo, mica si scherza!" - ripeto le sue stesse parole, ironica.
"E per la tua gioia, ti annuncio che sarà una serata tra ragazzi. Niente ragazze che ti urteranno il sistema nervoso. Tutti uomini. Beh, cioè, a parte te..." - ridacchia. Sembra felice come un bambino, e vederlo così non può che farmi sentire meglio. Nonostante tutto, rimane ancora un ragazzo come tanti, con la sua mania per il pallone.
"Sarà una bella serata, dai." - cerco di farmi contagiare con il suo entusiasmo.
Dai, è solo una partita, che sarà mai?

[...]

"Ma che cazzo fai, idiota! Passala ogni tanto!"
"Vedi di non fare cazzate stasera, ti ho pure al fantacalcio!"

Che serata esilarante.
Giuro che la prossima volta piuttosto me ne vado sotto un ponte.
La partita ha appena superato l'ottantesimo minuto, e si è ancora fermi sullo 0-0.
Ascolto urla ed esclamazioni di questo tipo da quasi un'ora, e sono certa che a fine giornata avrò perso un timpano, probabilmente.
Ma perché gli ho detto sì? Non potevo essere la classica fidanzata rompipalle che il sabato sera si svaligia tutti i negozi del centro commerciale con il proprio moroso, fregandosene altamente di partite e cose simili?
Seduta sul divano, accanto a lui, affondo la testa in uno dei cuscini, avvolta dalla disperazione.
"Piccola, ti stai divertendo?" - Gianluca mi rivolge per la prima volta le sue attenzioni questa sera, sussurrando al mio orecchio, un leggero formicolio che mi provoca quasi il solletico.
"Eccome!" - rispondo ironica, ma lui non apprende il mio sarcasmo, perciò torna a fissare il grande schermo del salotto di casa sua, non curante.
Il cellulare inizia a suonare, beccandomi tutti gli sguardi infastiditi dei presenti, per aver interrotto il loro "momento sacro". È Cooper. Senza pensarci due volte mi alzo, correndo al piano di sopra, e chiudendomi in camera mia.
"Pronto?" - rispondo un po' affannata, avendo fatto le scale di corsa.
"Come va lì?"
"Bene direi, stiamo assieme ora, o perlomeno ci proviamo..." - rispondo pensierosa.
Un boato risuona dall'altra stanza, e già deduco cosa potrebbe essere accaduto.
"Mi sa che ha segnato la Roma." - affermo infastidita, coprendomi l'orecchio con la mano, per poter ascoltare meglio la voce metallica di Cooper.
"Comunque sia, questo è il momento di agire! Ora ce l'hai in pugno, puoi inventarti qualcosa per incastrarlo!" - mi incoraggia, all'altro capo del telefono.
"E cosa dovrei fare? Non so proprio cosa inventarmi, sinceramente."
"La responsabile sei tu. Fai qualcosa, prima che perdano la pazienza qui." - ribatte secco, chiudendomi il telefono in faccia.

Sempre il solito.

Facendo finta di nulla torno in salotto, dove trovo tutto il gruppo di amici intento a festeggiare.
"Daniele De Rossi! Sempre lui, il capitano!" - esclama, imitando il telecronista, abbracciandomi e sollevandomi in aria, con una piroetta. I suoi occhi brillano dalla felicità.
È proprio un bambino. Non cambierà mai.
Lo spero tanto.

Photograph || Il Volo Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora