42.

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"Quindi avete l'aereo tra due giorni?"
"Già." sospiro, continuando a guardare il paesaggio notturno, dal balcone della mia stanza. Ritraggo le gambe verso il petto, rannicchiandomi sulla sdraio, e rivolgendo il mio sguardo verso l'alto, verso le stelle: stanotte non ce ne sono molte. Però c'è la luna, quasi piena, che si riflette in parte nel mare di Roseto degli Abruzzi.
"Non sembri molto felice di tornare a New York." commenta rammaricata Jennifer, mentre parla al telefono con me da circa mezz'ora.
"Mannò Jen, figuriamoci... New York è pur sempre casa mia, o almeno credo... sì, insomma, il punto è che..." ho una voce stanca, rotta, mentre cerco invano di trattenere un paio di lacrime, che inevitabilmente mi scorrono sul viso.
Rimane in silenzio qualche istante, ha già capito. Sa bene che in certi casi servirebbe solo un abbraccio e mille silenzi. "...Ti va di parlarne, Lizzie?" mi chiama sempre così quando vuole rassicurarmi, con un tono dolce, materno.
Riesco a calmarmi, prendendo un lungo respiro. "Qui è tutto bellissimo, davvero... però, Gianluca in questi dieci giorni mi ha... ignorata, forse. Magari nemmeno se n'è accorto, però mi ha sempre messa da parte. Lo so che è la sua vita, e che i suoi amici li vede poco, ma stiamo insieme, e non ha trovato il tempo nemmeno per un momento solo per noi due, un attimo di intimità, nulla... forse ho sbagliato qualcosa, forse no, ti giuro che non ne ho idea..." le spiego, abbastanza giù di morale. Lei mi conforta come può, fin quando non stacca per il suo turno pomeridiano in agenzia.
Lui non è cattivo, so che non lo sta facendo apposta. Ma il suo comportamento mi sta ferendo, in qualche modo. Certe volte mi chiedo proprio se ne valga davvero la pena di soffrire così.
Sento la porta finestra aprirsi leggermente, ma continuo a fissare il vuoto.
Gianluca si avvicina a me, con una rosa rossa in mano. Alzo leggermente lo sguardo, mentre lui me la porge delicatamente tra le mani.
"Una rosa bellissima per una ragazza bellissima." sussurra, stampandomi un bacio sulla guancia, per poi sorridere.
"Cos'hai?" il suo umore cambia di colpo, la mia freddezza è percepibile a pelle.
"Niente." rispondo impassibile, annusando leggermente la rosa.
"Non ci credo."
Scrollo le spalle.
"Perché non rientri dentro? Inizia a fare freddo qui."
"Sto bene."
Lui non mi ascolta, si toglie la felpa a zip grigia e me la porge sulle spalle. È impregnata del suo profumo. Quel profumo che non mi stancherei mai di sentire. Profuma di lui, e non c'è odore migliore al mondo. Si siede accanto a me e annuisce, piuttosto rassegnato. "Sono stati molto belli questi dieci giorni, non trovi?" cerca di cambiare discorso, per spezzare quel silenzio che iniziava a farsi pesante.
"Già, sì..." rispondo, continuando a guardare dritto di fronte a me, evitando di incrociare il suo sguardo.
"Emma, guardami." quasi mi prega, afferrandomi la mano. La stringe tra le sue, per poterla scaldare. Giro leggermente la testa verso di lui, concentrando il mio sguardo verso le nostre mani. Lui le guarda, e accarezza con il pollice il dorso della mia.
Poi entrambi alziamo lo sguardo, ritrovandoci a guardarci negli occhi, faccia a faccia. I suoi occhi sono illuminati dalla sola luce della luna e delle stelle, che li rendono ancora più espressivi e profondi. Dio, quegli occhi. Mi ci perderei dentro. O forse, mi ci sono già persa da tempo.
La tristezza, l'arrabbiatura, si dissolvono improvvisamente dopo questo semplice sguardo.
"Ho sbagliato qualcosa?" la sua voce mi riporta alla realtà. Sembra mortificato, e io non riesco a riportare nemmeno un minimo di rancore.
Scuoto la testa in segno di negazione, rivolgendogli un piccolo sorriso. Ha sicuramente il potere di riuscire a calmarmi, di farmi passare tutti i cattivi pensieri con un solo sguardo. Lui se ne accorge e ricambia con un sorriso ancora più grande. Mando al diavolo tutto: paranoie, tristezza, delusioni. Lo attiro a me e lo bacio con passione, forse uno dei baci più belli che ci siamo mai dati.
"Ah, mi hai perdonato quindi! Anche se non so ancora per cosa." ridiamo insieme. "Perché?"
Idiota, perché sono sempre più innamorata di te.
Faccio spallucce, sorridendo. "Perché mi andava di farlo."
"Mhm, dovresti fartele venire più spesso queste voglie." ride.
Si alza, porgendomi la mano. "Vieni, ti porto in un posto."
Afferro la sua mano, alzandomi. "Dove?"
Ammicca, per poi rientrare in casa. "Vieni e basta."

[...]

Arriviamo con la sua auto davanti ad un cancello, in una strada priva di illuminazione. La mia espressione si fa sempre più confusa. "Dove siamo?"
Non risponde, e con un telecomando apre il cancello. Percorre tutto il sentiero asfaltato, arrivando un centinaio di metri dopo ad una casa presumo, illuminata dai soli fari dell'auto.
Scendiamo e non smetto di guardarmi intorno, quasi spaesata.
"Benvenuta nella villa della famiglia Ginoble!" annuncia emozionato, afferrandomi la mano. È una sera abbastanza fredda per essere il primo ottobre, e mi stringo nella sua felpa, che non ho tolto di dosso.
"Ti piace proprio la mia felpa, eh." esclama. Lui ne aveva indossato un'altra prima di uscire, nera.
"...ha un buon odore." confesso, un po' imbarazzata.
Ride, prendendomi sottobraccio e stringendomi a sè.
"Comunque, adoro quando sei più bassa di me. Non metterti più i tacchi, sei la mia piccola." - conclude, dandomi un bacio sui capelli, e insieme raggiungiamo il porticato. Dalla poca illuminazione riesco a percepire il giallo pallido delle pareti, mentre la porta è bianca, come la tettoia. Tutto perfetto e ben curato, come se fosse nuova di zecca.
Entriamo, e la prima cosa che salta all'occhio è l'illuminazione, con tante candele sparse per il salotto e che proseguono per il corridoio. Quasi mi commuove pensare che abbia fatto tutto questo per me, per noi.
"In due settimane non abbiamo avuto nemmeno una serata per noi, così..."
"È fantastico." lo abbraccio forte, per poi baciarlo. Sono commossa.
"Dai, per così poco..." ammette imbarazzato, e sorride, stringendomi forte.
"E aspetta di vedere questo!" esclama, prendendomi per il polso e trascinandomi fino alla fine del corridoio. La stanza da letto è anch'essa illuminata da qualche candela, e lo stile ricorda parecchio quello di camera sua: tappezzeria color panna, pavimento di parquet scuro e foto e quadri con cornici argento.
"Che dici? Ti piace il nostro letto?" le guance vanno in fiamme, e mi limito ad annuire, portandomi le mani in viso.
"Non dovresti fare tutto questo per me..."
"Si, invece. E lo sai il motivo?" mi chiede, e nego con un cenno. Il cuore va così veloce che tra poco penso uscirà fuori dal petto.
"Perché più i giorni passano e più sono perdutamente innamorato di te."
Gli sorrido a trentadue denti, fiondandomi sulle sue labbra dalla gioia. Aspettavo da tanto questo momento.
"Ti amo." sussurro, riprendendo ancora fiato. Non replica nemmeno, baciandomi sulle labbra, per poi proseguire sul collo e slacciandomi la zip della felpa.
E insieme ci lasciamo trasportare dalla passione, dall'amore, dalla voglia di averci, di viverci.
Dalla voglia di stringerci e di non lasciarci più.

Photograph || Il Volo Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora