68.

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Mi giro lentamente, non posso credere ai miei occhi.
"Melissa?!" esclamo scioccata.
"E ti dimentichi di me, per caso?" alle mie spalle spunta fuori anche Lena, che mi fa prendere un colpo.
"Che cosa ci fai tu qui?"
Sorride compiaciuta. "Il mio lavoro, come te insomma."
"Quindi tu c'entri con Cooper..."
Melissa sogghigna divertita. "Ah, Elisabetta... È stato bello fingere tutto questo tempo."
La squadro attentamente. Il suo sorriso ha del malvagio, le braccia conserte, il sguardo deciso, il tono sicuro. "Chi sei davvero e cosa vuoi da me?"
"Sono stata mandata qui per controllare che svolgessi il tuo lavoro. Per cosa, sennò?"
Nego con la testa, indignata. "Lo sapevo che nascondevi qualcosa."
"Non siamo qui per nulla. Diamo a Cesare ciò che è di Cesare. Consegnami quelle foto, immediatamente."
Rido nervosamente. "Voi non le avrete mai quelle foto."
Lena fa spallucce. "Perfetto, però credo che Gianluca, Ignazio e Piero non ne sarebbero tanto felici, se scoprissero la verità..."
"Non oseresti." dico a denti stretti.
"E invece sì. Avanti, Elisabetta, tanto questa tua messa in scena finirà comunque. Che ne dici?"
Rimango in silenzio qualche istante. La guardo, attende una mia risposta. Ho un'idea. "E va bene. Le ho su in camera." dico, fingendomi arresa.
"Bene, ti seguiamo."
"E perché mai?" chiedo infastidita, mentre rientriamo nella hall.
"Conosco i tuoi trucchetti, Neri. Non voglio che tu faccia roba strana."
Rido nervosamente. "Ma per piacere."
Prendiamo l'ascensore, c'è un silenzio assordante. Le due sono ad entrambi i miei lati, non togliendomi gli occhi di dosso nemmeno un istante.
Raggiungiamo la porta della mia stanza. "Ah, ecco, c'è Gianluca qui."
"E quindi?"
"Forse è meglio che non entriate." cerco di convincerle.
"Scordatelo." controbatte Lena.
"Lena, tesoro, io lo dico per te! Che faccia farebbe Gianluca se ti vedesse?" chiedo con un finto tono dolce.
Mi guarda nervosa, ci pensa su. "E va bene. Ma Melissa entra con te." si scambia un'occhiata con la sua complice, ricevendo la sua approvazione. "Prendete le foto e le valigie. Tu parti con noi oggi stesso. Io vi aspetto in macchina."
Apro con cautela la porta, Gianluca è ancora in bagno.
"Tesoro, sei tu?" mi chiede da dietro la porta chiusa.
"Sì, sono qui con Melissa, devo prestarle... una maglietta." mento, e in quell'istante cerco la chiavetta usb nella mia borsa, contenente tutte le foto di questi mesi.
"Perfetto, dammela subito." mi ordina, tendendomi la mano. Esito un po', la finestra è aperta. Siamo al nono piano.
"Avanti, che aspetti?" s'innervosisce, cercando di togliermela di mano. Oppongo resistenza, lotto un po', fino a quando non ci riesco: gliela sfilo completamente di mano e la lancio dalla finestra, in mezzo alla strada trafficata.
"NO!" urla disperata.
"Meglio distrutte che in mano vostra!" ribatto.
"Giuro che me la paghi, Elisabetta!"
"Elisabetta?" la voce profonda di Gianluca mi fa venire un colpo. È di fronte a noi, ci guarda confuso, mentre si passa tra i capelli bagnati un asciugamano.
"Di chi parlate?"
Il cuore mi batte all'impazzata. Io lo guardo e non so cosa dire. Nego con la testa.
"Di nessuno." balbetto agitata.
"Sei proprio incredibile, lo sai?" Melissa mi osserva indignata, e l'espressione di Gianluca si fa sempre più confusa. "Avanti, digli la verità, Emma." scandisce bene il mio nome.
"Ma di che parlate? Emma, che devo sapere?"
Io mantengo lo sguardo basso sulle mie scarpe, non ho il coraggio di guardarlo negli occhi.
"Ma per favore." sghignazza Melissa. "La tua amica ha appena buttato nel cesso quarantamila dollari. Che dire, a suo discapito." sentenzia, avviandosi verso la porta. "Ah, e, Gianluca, fossi in te mi farei due domande su chi hai accanto. Non sempre le persone sono davvero chi credi che siano." aggiunge, per poi sbattere la porta alle sue spalle.
"Mi spieghi che cosa diamine voleva dire?" il suo tono è duro, preoccupato. "Si può sapere che mi nascondi? Che sono quei quarantamila dollari di cui parlava Melissa?"
Non rispondo, non lo guardo in faccia. Lui mi solleva di forza il mento e mi costringe al contatto visivo. "Emma, la verità, solo la verità!"
"Io non sono Emma!" urlo tutta d'un fiato, non rendendomi nemmeno conto di averlo fatto davvero.
"Cosa?" sussurra scioccato.
"Io non sono Emma. Il mio vero nome è Elisabetta Neri. E sono un'investigatrice privata." lo guardo, leggo lo stupore nei suoi occhi.
Lui scoppia in una risatina nervosa. "No, dai, cos'è uno scherzo? Non sei divertente."
"Gian, sono serissima, maledizione! Basta, non ce la faccio più. Era un macigno che mi portavo da più di sei mesi. Mi dispiace."
Lui non risponde, l'ho scioccato davvero. Si allontana di qualche passo da me, continuando a fissarmi, è inquietante.
"Tu mi hai mentito... perché l'hai fatto?"
"Ero stata assunta da una rivista di gossip. Dovevo catturare foto e momenti per creare lo scoop dell'anno su di voi..." ammetto.
"Non ci posso credere..." sussurra, portandosi le mani tra i capelli. "Tu sei un paparazzo! Ti rendi conto? Tu mi hai usato per tutto questo tempo in cambio di denaro! Tu hai usato i miei sentimenti per dello sporco denaro! Merda, ma ti rendi conto di che razza di persona sei? Mi fai schifo!" urla, e dalla rabbia tira un pugno alla parete.
"È vero, faccio schifo. Sono una persona di merda. Ho mentito per lavoro, per del denaro che manco riceverò mai, e lo sai perché? Perché ho appena fatto fare un volo di nove piani dalla finestra ad una pendrive piena di stupide fotografie mie e tue, tue e di Lena... Perché ti amo, ti amo più di quanto abbia mai amato qualcuno, Gian! Perché alla nostra storia ci ho creduto davvero, e credevo che non potesse essere venduta così ad un giornale scandalistico, che al fin dei conti faceva parte del mio lavoro."
"Tu non mi hai mai amato..." ha le lacrime agli occhi anche lui.
"Ti prego, Gian, non è vero..."
"Cosa non è vero? Cosa?" urla.
"Potrò averti mentito sulla mia identità, sul mio passato, su un sacco di cose. Ma cavolo, te lo giuro, per ogni singolo 'ti amo' non ho mai dovuto mentire. Perché sei la persona migliore che io abbia mai conosciuto, in tutti i suoi pregi e le sue imperfezioni. Perché per la prima volta nella vita, mi hai fatto sentire davvero amata. E perché con te vicino mi sentivo sempre come se fossi nel posto giusto. E mi ci è voluto poco per capire che eri tu la persona che volevo avere per sempre a fianco." singhiozzo, lui mi guarda impassibile, con gli occhi arrossati.
"Vai via." il suo tono è irremovibile, ma da un lato sa quasi di supplica. "Non riesco a crederti. Mi sembra di avere un'estranea di fronte a me. Io mi sono innamorato di Emma. Di questa qui, non ricordo neanche il nome."
"Gian, ti prego..." cerco di avvicinarmi a lui, ma prontamente mi allontana. "Va via, prima che ti denunci alla polizia. Sparisci dalla mia vita."
Raccatto velocemente le mie cose e le poggio per terra. Lo guardo un'ultima volta: i suoi occhi non mi dicono nulla. Mi guarda severo, indignato, impassibile davanti alle mie lacrime.
"Scusami..." bisbiglio tra le lacrime, per poi aprire la porta e girarmi verso di lui un'ultima volta. "Ti amo."

[...]

Sono passati quattro giorni. È la vigilia di Natale e New York è imbiancata da una potente tempesta di neve dalla scorsa notte. Se non mi fossi affacciata alla finestra, poco fa, non l'avrei nemmeno notato.
Per me è tutto bianco, e non solo la neve. Non sono uscita di casa da quando sono tornata da Buenos Aires, non ho parlato con nessuno, non ho visto nessuno; mi sono isolata nel mio mondo, nel mio dolore, e lo sto vivendo tutto.
Il viso credo sarà consumato dal pianto, ma poco mi importa.
Al lavoro non ci torno. Ho deciso di abbandonarlo. Il coraggio che mi caratterizzava, un tempo, è stato inesorabilmente spazzato via da timori e vigliaccheria. È quasi mezzanotte. È il primo Natale che passo completamente da sola, e me lo merito anche. Disfo le ultime due valigie della lunga serie, divido il bucato, faccio le faccende domestiche. Ogni tanto qualche maglietta aveva il suo profumo e ammetto di aver passato ad annusarla per decine di minuti. O anche la collanina per il mio finto compleanno dello scorso agosto: è in un cassetto della mia cassettiera. Non ho più il coraggio di metterla. Ho trovato la sua felpa grigia. Quella di quella sera a Roseto, la mia preferita, quella che gli dovevo ridare ma che non gli riconsegnavo mai. Alla fine me la regalò. Ha ancora il suo profumo, mischiato al mio. I nostri due profumi che fanno l'amore, creando un odore contrastante, ma buono. Sa di noi. E, infine, trovo loro: le fotografie, in una busta di carta bianca.
Ma non quelle che avrei dovuto consegnare: le vere foto, le nostre, quelle che custodivo gelosamente come dei gioielli. Le guardo un po' tutte, le conosco a memoria.
In una ci siamo io e Gian che mi abbraccia mentre dormo. La fece lui, non ricordo quando.
Una lacrima la bagna, solo una. La porto al petto e la stringo forte, come se potesse fungere da rimedio al mio cuore spezzato. Come se potesse servire. Ma in realtà una sola cosa servirebbe: lui, assieme a Piero e Ignazio, più delusi che incazzati. Lui era proprio arrabbiato. I suoi occhi fremevano dalla rabbia. Mi chiedo cosa starà facendo ora. Forse starà con la sua famiglia. Starà guardando sua madre preparare il cenone e si starà facendo dare dei consigli di vita da suo padre o da suo nonno. Gli staranno dicendo che alla sua età è normale essere delusi, soffrire per amore. Oppure starà con i suoi amici di sempre, davanti ad una birra. Lo rincuoreranno dicendo che ora è libero e potrà trovarsene centinaia migliori di me. Io invece sono qui e a rincuorarmi non c'è nessuno.
Ed è in questo momento, che capisco che tutto ciò che ho sono solo fotografie.
È mezzanotte. Buon Natale, Gianluca. Come desiderio chiedo la tua felicità. Perché è anche la mia.
Si rincomincia una nuova vita. Nuovi percorsi, nuove opportunità, nuovi progetti. Rincomincio da me. Quarto giorno senza Il Volo di una grande lista. Me ne vado a dormire con la convinzione che il domani sarà migliore. Forse.

Photograph || Il Volo Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora