Casa è esattamente come la ricordavo, solo un po' impolverata. L'aria vecchia di sei mesi è pesante, mischiata alla polvere che rende più faticosa la respirazione.
Spalanco tutte le finestre, e una folata di aria fresca irrompe nell'appartamento da quella del salotto, facendomi tirare un sospiro di sollievo.
Tornare qui mi fa uno strano effetto. La mia vita in sei mesi si è talmente rivoluzionata che fatico a credere che questa sia casa mia. Ero abituata a vivere tra aerei, alberghi di ogni tipo e casa dei tre ragazzi, quando capitava l'occasione.
Digito un breve "Sono arrivata. Buonanotte" a Gianluca. Già, perché qui sono solo le diciotto, ma lì è mezzanotte inoltrata. Abbiamo passato così tanto tempo assieme, che ancora non mi capacito di come possiamo avere due fusi orari diversi. Dopo essermi fatta finalmente una doccia nel bagno di casa mia, mi rimbocco le maniche e lucido la casa da cima a fondo, iniziando dall'infinito bucato. Mi sorprende persino il fatto che riesca a ricordarmi come si faccia. Tra una passata di strofinaccio sui mobili e una pulita per terra, mi arriva una chiamata di Jennifer, il reale motivo del mio ritorno a New York per questi giorni.
"Ehilà, Jen! Sisi, sono a casa..." poggio la testa sulla spalla, per mantenere fermo il cellulare mentre spolvero. Jennifer mi invita a cena a casa sua, e non sono nella posizione di poter rifiutare, anche se sono davvero esausta.
Maglione, jeans, cappotto, stivali e un'ora dopo sono già fuori casa, alla ricerca disperata di un taxi.
"Lizzie!" una strillante Jennifer mi accoglie alla porta, fiondandosi tra le mie braccia. Stesso sorriso, stesso incarnato olivastro, stesse mèches bionde: nemmeno lei è cambiata di una virgola. "Mi sei mancata tanto!"
"Anche tu!"
"Oddio, i tuoi capelli! Liz, sei una bionda proprio figa!" esclama facendomi ridere, osservando e prendendo tra le mani una ciocca.
"Allora! Pronta a diventare la signora Jones?"
"Sono agitata, ma non vedo l'ora! Comunque sei capitata giusto in una serata tra ragazze, abbiamo ordinato il sushi. Addio al nubilato tranquillo!" ammicca.
"Oh, bene." accenno un sorriso mentre lei mi fa accomodare, e mi sfilo il cappotto. Dal salone avverto un mormorio e qualche risata femminile. Con un po' di imbarazzo raggiungo il gruppo, distribuito sui due grandi divani in pelle bianca. Alcuni volti mi sono familiari, altri no: intravedo sua sorella, le sue cugine e alcune colleghe, che non appena mi vedono mi salutano calorosamente.
Non sanno dove sono stata in questi sei mesi, come nessuno in questa stanza, a parte Jennifer. Le ragazze che lavorano in agenzia come noi mi guardano con aria complice, probabilmente staranno scommettendo tra loro in quale parte sperduta del mondo sia stata in missione. Alle altre presenti racconto semplicemente di essere tornata in Italia, inventando tutto al momento. Ciò che odio del mio lavoro è che mi costringe a basare la mia vita su bugie. Un grosso ammasso di bugie. Castelli di carta che in un attimo rischiano di crollare con un semplice soffio.
Ridiamo, ci divertiamo: questa sera sono Elisabetta, Elisabetta e basta. Non l'Elisabetta Neri che campa facendo l'investigatrice, o la Emma Alto che si camuffa da assistente di un gruppo di fama internazionale e che ama segretamente uno dei suoi componenti.
Elisabetta, chiamatemi Elisabetta e basta.[...]
La scrivania di legno scuro è sempre lì, insieme ai libri sugli scaffali, il computer portatile, le poltrone e le pile infinite di fascicoli. Quando si parlava di lavoro non ero mai una tipa ordinata. Per fortuna che c'era Jennifer, altrimenti sarei stata capace di perdermi tutto, persino la testa.
L'odore di carta stampata e di inchiostro del mio ufficio mi provoca un attimo di angoscia, devo ancora riabituarmici. Attendo Cooper qui per un incontro, ha bisogno di parlarmi. Non so ancora con esattezza di cosa, considerato che al telefono si è limitato a rispondere a monosillabi, come al suo solito.
"Un mese."
"Cosa?"
"Hai sentito bene, Elisabetta. Entro un mese vogliamo pubblicare tutto. Questa storia si sta prolungando troppo. Lo vogliamo come apertura del nuovo anno."
Non rispondo, non so cosa dire. Un mese. Un mese e finirà tutto. Un mese e dovrò dire addio alla persona che più amo al mondo.
"Elisabetta?"
"Eh?"
"Si o no?"
"Cosa?"
"Neri, ma insomma, dove ce l'hai la testa?! Sembravi una professionista sei mesi fa, e ora... ma che ti prende?!" Cooper non capisce. Non può e non vuole capire.
"Sì, scusa, è che... sono solo stressata, tutto qui. Sono stati mesi parecchio difficili."
Annuisce perplesso, so già che non se l'è bevuta. Nel frattempo afferra le diverse buste bianche, piene zeppe di foto sviluppate di questi mesi. Le osserva una ad una, sorride compiaciuto. Io invece provo un senso di disagio unico. È una sensazione strana. Mi sento come spogliata dalla mia corazza, dalla mia forza. In quelle foto ci sono le mie emozioni, la mia felicità. Mi sento debole, terribilmente debole.
"Però, sembri piuttosto credibile..." commenta, con un tono oserei dire malizioso. Inarco un sopracciglio, guardandolo sospettosa. "Sarebbe perfetto se trovassi una bella storia anche per gli altri due."
"Non ci sperare troppo!" rido nervosamente.[...]
Il cielo di New York è nero. Anzi, è un colore simile al bordeaux, dev'essere coperto di nuvole. Non il massimo per i due sposi, che si giureranno amore eterno domani mattina.
Ma complessivamente poco importa se ci siano nuvole o no, le stelle non si vedrebbero comunque. Troppe luci artificiali che coprono il loro splendore. A Montepagano si vedono sempre benissimo. Lì sembra di essere lontani dal mondo, dal caos, da tutto e da tutti.
Le sere in Abruzzo c'eravamo solo io, la luna, il mare e le stelle. Uscivo sul balcone della mia stanza e rimanevo momenti interi ad osservare il tutto. La luna si rifletteva nel mare Adriatico, una leggera brezza accarezzava la mia pelle; qualche grillo cantava nascosto tra gli alberi.
Guardo l'orologio seduta sul davanzale di camera mia: nonostante siano solo le diciassette, faccio due più due, e mi rendo conto che in Italia manca una sola ora alla mezzanotte. Provo a chiamare Gianluca. Conoscendolo, il fuso orario lo starà uccidendo in questi giorni. Lo immagino, magari a casa con Ernesto, o con i suoi amici al bar della spiaggia, anche se penso proprio che un luogo all'aperto non sia il massimo a fine novembre.
Suona, non risponde. Riprovo, non risponde ancora. Riattacco perplessa, non è da lui. Ma la smetto di essere paranoica. Insomma, è a casa sua, cosa gli potrà mai essere successo?
Al massimo non avrà sentito per la musica alta di qualche locale. Quando vedrà le chiamate perse mi richiamerà, ne sono sicura.Sono passate tre ore, e di Gianluca ancora nessuna traccia. Un po' mi preoccupa. Nel frattempo il cellulare suona, ma non è proprio chi aspettavo di più.
"Ehi Piero, ciao!"
"Ehi, come va a New York?"
"Qui bene, tu piuttosto? Il fuso ti sta uccidendo, vero?" ridacchio.
"Nah, semplicemente è il mio primo momento libero di tutta la giornata." ride.
"Ignazio, è Ignazio quello che lo soffre di più, mica io."
"Lasciamo stare Ignazio, ha la compagnia di Vanessa a Marsala..."
"Dici che stanno insieme quei due?"
"Mah, ufficialmente no, però figurati se non è successo qualcosa tra quei due." sorrido, pensando a quanto possa essere felice Meg in questo momento, anche se non la sento da quando ho messo piede a New York, due giorni fa.
"E te e Gianluca? Tutto come al solito?"
"Si, però sono un po' preoccupata, non si fa sentire da ieri e non risponde al telefono..."
"Mhm." lo sento pensieroso e tirare un sospiro. "Gianluca è responsabile, sa cavarsela anche senza di noi." mi rassicura. "...Ah, beh certo, perché ci sono i suoi, non perché ce la fa da solo."
Scoppio a ridere in una fragorosa risata. "Che stronzo!"
"Però ti ho fatto ridere, almeno."
"Vero." ammetto. "Grazie. Sai come tirarmi su di morale anche a migliaia di kilometri di distanza. Sei come una medicina, Piero. Ti voglio bene."
"Sai sempre dove trovarmi, a dieci mila kilometri o a cento metri. Ti voglio bene anch'io."
Chiudo la chiamata con un lieve sorriso e il cuore più leggero. Però la storia di Gianluca ancora non mi esce dalla testa. In Italia sono le due del mattino. Mi faccio passare l'idea di richiamarlo, non è il caso. Butto il cellulare sul letto e sospiro, con mille pensieri per la testa.
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Photograph || Il Volo
Hayran Kurgu"[...] E poi, alla fine, sì, mi sono innamorata. Mi sono follemente innamorata di una persona che non avrei mai pensato di poter amare. E sai come l'ho capito? Da quando vidi che in quegli occhi verdi ci ritrovavo me stessa. In quegli occhi ho ritro...