6.8 LUKE

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«Chi era?» chiese il signor Hemmings.

La mano liscia e grande aveva sfiorato la spalla ossuto del ragazzo dagli occhi color del cielo estivo,freddi come la neve.

«Un-un...nessuno,un tizio con i capelli strani,mi ha detto di chiamarsi Michel,ma io non conosco nessuno che si chiami come lui»

«Dovevi chiamarmi,avremmo dovuto avvisare la polizia,lo avrebbero preso in tempo. Tranquillo Luke,se tornerà a darti fastidio,faremo ciò che sarà giusto fare.»

Il padre,istintivamente,abbracció il figlio,guardando attentamente fuori dalla finestra,alla ricerca di una chioma violacea e di uno sguardo perso.

«Dovresti mangiare un po' di più,Luke»

«Perché non mi ricordo più chi sono?»

«Perché è giusto che sia così,dobbiamo annientare quel "Luke" che non sopportiamo e creare un bel "Luke",proprio come vogliono i tuoi genitori»

Il biondino abbassó lo sguardo,osservandosi la punta consumata delle scarpe e passandosi la lingua umida sulle labbra secche e screpolate.

Il piercing era sempre al solito posto,i capelli biondi acconciati in un ciuffo disordinato,i jeans perfettamente aderenti alle sue gambe magre.

Tutti piccoli dettagli sempre uguali,che nascondevano un caos immane,niente dentro di lui sembrava essere al suo posto.

La porta della sua camera si chiuse piano,nascondendo il volto compiaciuto di Mr.Hemmings che,appena scese le scale,si fiondó dalla moglie a riportare i grandi progressi che stava facendo il loro figlio maggiore.

Luke se ne stava seduto sul pavimento freddo della sua stanza,anch'essa fredda e melanconica,come la sua anima in cerca di risposte.

Qualcosa non andava,se lo sentiva dentro.

Quegli occhi,quei capelli colorati,quella voce...tutto riportava a qualcosa.

Quelle parole lo stavano devastando dentro,uccidendo ogni singola cellula ancora in grado di respirare,ogni molecola ancora unità ad altre migliaia.

Doveva ricordare,doveva e basta.

Quel pazzo che si era precipitato sotto la sua finestra doveva pur essere qualcuno.

Luke si passó una mano tra i capelli,lasciandosi andare contro il muro gelido e duro,schiudendo appena le labbra e liberando un intenso sospiro.

Raccolse tutta la forza che aveva e tentó di ricordare,anche una semplice virgola,di ciò che era stato,accaduto,precipitato.

Nulla.

Il vuoto più totale.

Strinse i pugni e se li portó sulle tempie,mordendosi le labbra,afferrando sotto i denti e stritolando il piccolo anellino che fasciava la sua bocca.

Corrugó la fronte,sforzandosi di rimettere insieme i pezzi sconnessi di quell'orribile puzzle,nonostante avesse paura di scoprire la verità.

Ci doveva pur essere qualche stupida legge della fisica o della psicologia in grado di spiegare,di trovare una soluzione a quel grande disastro,comunemente chiamato vita.

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