7.1 LUKE

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«Gay...»

Quelle tre lettere girovagavano per la sua testa vuota e malandata,occupandone tutto lo spazio e soffocando ogni altro pensiero.

I suoi occhi correvano veloci sullo schermo del computer,cercando di riempire la sua mente con altro.

Con il piede,si spinse dalla scrivania,roteando sulla sedia girevole.

Era stanco,stanco di ogni singolo dettaglio che rivestiva quella stanza spoglia,non sopportava l'odore di chiuso che gli attanagliava le narici ogni qual volta che varcava la soglia di quella camera,era stanco della vita,di quello strano modo di essere,del tempo che scorreva lento senza arrestarsi mai e della sua famiglia.

Il mondo fuori dalla piccola finestra sembrava entusiasmante,un continuo brusio di persone di corsa che prendevano la metro,bambini che rincorrevano un pallone,ragazze che ridevano mentre sfogliavano le loro riviste di moda e uomini d'affari che chiacchieravano davanti ad un buon bicchiere di vino.

La sua prospettiva,invece,non era delle migliori.

Le ore correvano lente tra quelle quattro mura soffocanti,tra un urlo di suo padre e un'imprecazione della madre,mentre la pioggia scendeva lenta giù dal cielo più cupo del suo animo e,ahimè,non era una cosa da poco.

I suoi occhi azzurri si posarono sulle lancette dell'orologio in legno che ornava una delle pareti della sua camera,mentre si stava tormentando il piercing con i denti.

Erano soltanto le tre del pomeriggio.

Doveva trovare qualcosa da fare,un'occupazione,un passatempo.

Aveva pensato più volte di cercare lavoro o riprendere gli studi,ricominciare a vivere come se fosse una persona normale,correndo per le vie del centro e sbuffando alla stazione.

Non aveva mai preso un treno,un aereo,non aveva mai varcato la soglia degli Stati Uniti D'America,se non per visitare Roma con sua madre,quando,ancora,era considerato un membro della sua famiglia.

Quella gita fuori porta di appena quattro giorni lo aveva stupito,nonostante avesse già dodici anni.

Sua madre aveva prenotato una camera deliziosa in un piccolo hotel a tre stelle in centro,proprio dietro ad una delle gelaterie migliori della città.

Nath e Noah amavano scorrazzare per le vie delle città,mentre la madre scattava foto ad edifici,monumenti e comprava qualche capo di alta moda italiana.

Il Colosseo lo aveva fatto sentire con troppo piccolo per quel mondo,togliendogli il respiro per qualche secondo,tanto da rimanerne paralizzato.

La madre aveva sorriso,nel vedere il piccolo Luke sorpreso da cotanta bellezza.

L'ultima sera,nonostante fossero tristi per la partenza del giorno successivo,decisero di passeggiare per la città,osservando il Tevere brontolare e le stelle sopra di loro.

Il padre era rimasto in America per sbrigare delle importanti faccende di lavoro e,come al solito,aveva abbandonato la sua famiglia,preferendo delle sfide pratiche al sorriso dei suoi figli,alle loro facce sbalordite davanti ad una vera pizza margherita o alle loro corse sfrenate per il parco.

Luke ci fece caso,a differenza Delfi altri due che,come al solito,sembravano felici in ogni circostanza.

Il biondo avrebbe voluto rivedere Roma,risentire l'odore della città in primavera,con il suo cielo blu e l'aria calda.

Avrebbe voluto visitare il mondo intero,assaporandone l'essenza.

Purtroppo,però,non poteva,era chiuso in una gabbia come un canarino,costretto a sopportare ogni tipo di angheria e,soprattutto,senza via d'uscita.

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