15.

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Valerio
Ero tornato da lei per salutarla abbastanza velocemente, ma mi ritrovavo nella sua abitazione, seduto al tavolo con lei.
«I tuoi genitori non ci sono?» domandai per iniziare un dialogo. Mi guardò male ed anche ovvia.
«No, torneranno fra un'ora e mezza, circa.» rispose coincisa.
Poi scese un silenzio imbarazzante e teso, mentre i nostri schizzavano ovunque.
«Vuoi qualcosa da bere?» mi domandò e notai un po' di insicurezza e di nervosismo nella sua voce.
«Mh... Un po' d'acqua, grazie.» le risposi gentile, sorridendo.
Si alzò, recuperò dalla mensola un bicchiere e lo riempì. Notai per la seconda volta il suo fisico ed il suo modo di vestire: fianchi un po' pronunciati e statura alta, la felpa larga e leggera come la t-shirt e gli skinny aderenti.
Si avvicinò insicura e posò il bicchiere sul tavolo, vicino a dove tenevo poggiato un braccio, poi si risedette.
Le sorrisi e bevvi un sorso. Lei mi osservava, sentivo che mi studiava in ogni mio movimento. Questo mi metteva leggermente a disagio.
Dopo aver riappoggiato il bicchiere alla superficie, incrociai il suo sguardo: inizialmente lo abbassò fulminea, poi lo rialzò, probabilmente per controllare se avessi smesso di fissarla. Restammo a fissarci per qualche minuto, credo. Si era creata una bella atmosfera, che interruppe poco dopo lei, distogliendo i suoi pozzi verdi-azzurri dai miei.
Faceva su-e-giù con le gambe, la sua agitazione era palpabile. Io non ero da meno, d'altronde.
Ripuntai gli occhi su di lei. Guardavo i suoi lineamenti e i piccoli dettagli.
Rialzò di nuovo lo sguardo, per chiedere se potessimo scattarci una foto. Le risposi positivamente, sorridendo insicuro.
Si avvicinò con il cellulare tra le mani e la fotocamera interna azionata.
Piegò le ginocchia sporgendosi leggermente in avanti per far entrare anche me nell'inquadratura della foto e mi venne spontaneo afferrarle i fianchi e farla sedere su una mia coscia.
Mi guardò sbalordita ed interrogativa, io di risposta le indicai con lo sguardo il suo telefono, anche per distogliere l'attenzione da me. Era ancora più tesa, era rigida. Le appoggiai un palmo aperto sul fianco destro per mantenerla in equilibrio e scattò.
Poi si alzò immediatamente, a disagio. La guardai, volendo in realtà che tornasse a risedersi sulle mie gambe, ma ritornò al suo posto di fronte a me.
Controllai per curiosità l'orologio a parete: segnava le diciassette e tredici.
«Per caso devi andare da qualche parte?» domandò preoccupata.
«No, ho guardato l'orario per curiosità.» le sorrisi tranquillo.
«Questo silenzio teso non mi piace, parliamo di qualcosa.» disse dopo qualche altro istante in cui nessuno dei due osava dialogare.
«Ad esempio?» chiesi
«Non lo so. Qualunque cosa tu voglia condividere con me, magari qualcosa riguardo all'album.» mi rispose con un sorrisino furbo, facendomi ridere per la sua buffa espressione.
«Beh, ci saranno diciassette tracce, ti posso dire solo questo.»
«Interessante. Perchè sei venuto a salutarmi?» domandò ancora, curiosa.
«Ad essere sincero, non lo so nemmeno io. Sono venuto perchè ne avevo voglia.» cercai di deviare il discorso, sperando di non averla illusa con le poche gentilezze compiute nei suoi confronti.
«Vedo che non sono l'unica indecisa in questa stanza... Non che la cosa mi dispiaccia, eh.» disse ironica.
Risi nuovamente.
«Tu invece? Perchè non mi racconti qualcosa di te?» domandai per proseguire il dialogo.
«Io sono originaria di un paese in provincia di Verona, molto vicino a quello di provenienza di Luca. Frequento il liceo all'indirizzo 'scienze umane' e, modestamente, prendo ottimi voti. Non sono una santa, però. Credo si deduca anche dal genere di musica che ascolto.» Mentre parlava spostava lo sguardo dai miei occhi a qualche oggetto nella stanza. Pronunciando l'ultima frase fece un sorrisino allusorio. Frecciatina.
Sorrisi. «Bad, bad girl.» annunciai ironico.
«Tu sei un bad boy. Beh, coppia perfetta, no...?» Si tappò immediatamente la bocca con una mano, chiudendo gli occhi e diventando rossa in viso. Potevo sentire anche qualche imprecazione. Era divertente Giulia, mi aveva fatto nuovamente ridere a gran voce.
«Sincera la ragazza...» la presi in giro.
«Scusami, non farci caso. L'ho detto senza volerlo.» Cercò di giustificarsi, apparendo ancora più buffa facendomi ridere maggiormente. Lei sprofondava dalla vergogna, lo si leggeva negli occhi.
Poi, quando scese il silenzio, recuperò il suo telefono, lo sbloccò e controllò qualcosa.
Io sbirciai sul mio orologio da polso: 17:25.


*Spazio autrice*
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Siamo quasi arrivati alle 800 nel giro di due giorni. Grazie mille!

Il cuore nelle tracce // Ser TravisDove le storie prendono vita. Scoprilo ora