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Me ne stavo sola, seduta sul mio skate in un vecchio campetto di calcio a fumare.
Riuscii a superare la recinzione -teoricamente- provvisoria di nastri e reti di plastica fina ed arancione sulle quali era affisso il cartello di divieto d'ingresso ai non autorizzati. Salii sugli spalti abbandonati e disegnati con qualche graffito confuso, poggiai lo skate ed arrivai al gradone più alto. Da lì scorsi il campanile della chiesa e notai di non essere molto distante da casa mia, solo un chilometro -circa-.
Mi sedetti ed inevitabilmente vari pensieri affollarono la mia mente: ero stanca di dovermi preoccupare per troppe cose, non ne ero più abituata. Credevo che fidanzarmi con Valerio avrebbe dato inizio al mio Paradiso, ma non era completamente vero.
Sbloccai il telefono e, tra i vari messaggi, notai che ce n'era uno proprio del mio fidanzato. Era una foto che raffigurava un graffito su un muro con scritto "Giulia ti amo". Non potei non sorridere pensando che davvero Valerio avesse fatto quell'opera d'arte proprio per me, ma comunque non gli risposi. Non sapevo cosa dirgli, non volevo farlo sentire in colpa e né fargli credere che avesse commesso qualcosa di sbagliato. Fissai lo schermo e poi le mie dita vagarono automaticamente nella rubrica dei contatti. Rimasi ferma con lo sguardo ed indecisa sul da farsi su quello di Valerio. Le mie dita indugiarono un po', per poi dare un tocco secco allo schermo dopo qualche secondo.
«Ciao.» udii. Non aveva un tono preciso, né felice né triste: si avvicinava più ad uno vuoto ed afflitto.
«Sappi che non è colpa tua, tu non hai fatto nulla di male ed -anzi- mi hai aiutato moltissimo.» gli comunicai col suo stesso tono, fissando gli occhi sulla cima di un pino sulla quale si era poggiato un piccolo uccellino che aveva attirato la mia attenzione.
«Mi sento comunque un problema. Non per lui, ma per te.» confidò.
«Ma figurati se sei un problema! Per cosa? Mi hai salvato dal precipizio, ti dovrei solo essere grata.» risposi ciondolando le gambe avanti-e-indietro schivando lo skateboard poggiato sul gradone inferiore.
«Mi manchi.» sussurrò triste, quasi subito.
«Ti vorrei qui...» ammisi sincera, liberandomi di un peso ardente dal petto.
«Io non riesco a stare qua mentre tu sei a non so quanti chilometri da me e stai male.»
«Io non sto male, sai come mi sento in questi momenti.» gli ricordai, ma -ciondolando i piedi- calciai involontariamente lo skate facendolo finire vari gradoni più in basso.
«Cos'era quel rumore?» domandò sospetto ed immediato Valerio.
«Nulla, è caduto lo skate dagli spalti.» risposi aiutandomi con il braccio libero a scendere dal blocco di cemento su cui ero seduta, per poi andare a recuperare lo skateboard.
«Sei tanto distante da casa? Conosci la zona?» domandò lui, capendo che fossi uscita di casa come sempre facevo nei momenti in cui mi sentivo sotto-pressione.
«No, è la prima volta che vedo questo posto.» risposi risalendo le gradinate con lo skate sottobraccio.
«Stai attenta.» asserì.
«Cosa vuoi mai che mi succeda?» domandai ironica.
«Tutto ciò che puoi immaginare.»
«C'è nessuno qua, stai tranquillo.»
«Giulia.» mi rimproverò.
«Oh, senti: tornaci tu a casa da mia madre, dal probabile incontro con Marco, da quelle quattro mura tristi ed opprimenti.» risposi alzando la voce.
«Giulia.» Questa volta mi richiamò, senza -però- rimproverarmi, ma io non colsi questa sfumatura.
«Vale! Non torno adesso a casa, punto.»
«Giulia.» ripetè ancora.
«Cosa vuoi?!» domandai innervosendomi.
«Ti amo.» mi comunicò con tono dolce, facendomi spuntare un enorme sorriso sul volto.
«Ti amo Valerio.» risposi di rimando, non riuscendo a nascondere ciò che veramente credevo di provare per lui.
«Hey! Cosa ci fai qua?! Lo sai che è proibito?» mi rimproverò una voce interrompendo la conversazione con Valerio alla mia ultima affermazione. Alzai lo sguardo e trovai ai piedi della gradinata un signore calvo di mezza età che mi obbligò, poi, ad allontanarmi da quella struttura "pericolante" -come lui aveva definito-.
«Beh, un signore mi ha vietato di avvicinarmi a quel luogo, quindi penso che ora tornerò a casa. Poi -se ho voglia- ti richiamo dopo.»
«Va bene, stai attenta e fai la brava.» si raccomandò e potei scorgere una lieve preoccupazione nel suo tono.
«Ciao.» lo liquidai senza nemmeno lasciargli il tempo di rispondere.
Cercai di ricordare dove si trovasse la chiesa per poter avvicinarmi a casa mia e, chiedendo anche qualche indicazione, giunsi alla piazza del mio paese.
Sperai di non incontrare Marco od i miei genitori e mi recai ai porticati.
Dopo svariati minuti, non riuscivo più a passeggiare per quelle vie ricche di negozi e persone e dovetti allontanarmi dal luogo. Non volevo tornare a casa -non mi piaceva affatto l'idea-, senza contare che mia madre mi avrebbe rivolto varie domande credendo che stessi meglio e che fossi in grado di chiarire la situazione con calma. In realtà avevo solo bisogno delle braccia di Valerio -solamente in quel momento ne sentii la vera mancanza- e della sua voce roca che mi ripetesse che tutto stava andando bene perchè con me c'era lui ad aiutarmi. Mi sedetti su una panchina al lato di una stradina perchè sentivo le tempie pulsare ed un peso schiacciarmi il petto. Cercai di riprendermi, ma non migliorava affatto il mio dolore fisico, proprio come quello emotivo.

Il cuore nelle tracce // Ser TravisDove le storie prendono vita. Scoprilo ora