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Continuai a camminare, non sapevo dove stessi andando. Volevo solo sentirmi libera, senza orario di ritorno, senza qualcuno che mi aspettasse.
Ormai fece buio, e per le strade le luci illuminavano i quartieri.
Ero praticamente sola, camminando per le stradine illuminate dai negozi, ma non ero affatto triste, perché aver incontrato quell'uomo, averci parlato, mi aveva cambiato la giornata.
"Amore che solo un genitore sa dare. E che solo un figlio può dare." continuai a pensare, e subito dopo, portando le mani alle tasche, notai di aver dimenticato di dargli indietro il suo fazzoletto.
Mi fermai di scatto, mi girai indietro e cercai di intravedere quei capelli biondi, e quegli occhi azzurri, che spiccavano anche al buio. Ma niente, era scomparso.
Portai nuovamente gli occhi al fazzoletto e ne assopirai l'odore. Aveva il suo profumo.
Lo strinsi a me, poi lo rimisi in tasca e mi sedetti sulla panchina alla mia destra.
Non avevo niente con me, tranne il mio libro.
Lo presi e ne accarezzai la copertina.
Deciso di dare uno sguardo alle pagine, senza però, leggerne una singola parola.
Sfogliai fino al capitolo 52.. poi però era vuoto.
"Cosa?" pensai spalancando gli occhi.
«Ma ci sono pagine vuote..» dissi sfogliando con forza le pagine bianche di quel libro.
... Non capii quello che stava accadendo..
Com'è possibile che un libro presenti tutte quelle pagine vuote.. Qual era lo scopo dell'autore?
Iniziai a sentire un po' di freddo, così misi a posto il libro e presi la camicia a quadri bianca e nera.
La indossai e cercai di riscaldarmi.
Portai le ginocchia al petto e mi incimentai nei miei pensieri.
«E adesso? Che faccio? Cosa farò? Vivrò di nuovo per strada? Troverò un piccolo lavoro?» dissi tra me e me.
Improvvisamente vidi la sagoma di un ragazzo passarmi davanti con passo veloce.
Teneva la testa fra le mani e appena alzò lo sguardo notai il viso distrutto e le lacrime che glielo bagnavano.
Mi alzai di scatto, come se, contro volontà dovessi aiutarlo.
Lo rincorsi, e subito dopo gli tirai il braccio.
«Ehi.» dissi.
Appena si girò, mi mancarono 2 battiti.
«Cosa?» chiesi.
Vedendolo così, mi scesero delle lacrime.
«Che hai fatto?» dissi piangendo.
«Che hai fatto Jack?» urlai cercando di ripulirgli il viso pieno di graffi con il fazzoletto di quell'uomo.
«Eh? Che è successo?» chiesi facendolo sedere al mio fianco.
Continuava a piangere, e portarsi le mani tra i capelli.
Guardandolo sembrava che niente potesse salvarlo, sembrava perso nel nulla.
Per un attimo cercò di smetterla di piangere, poi portò il suo viso distrutto al mio dispiaciuto e stette in silenzio.
La madre aveva ragione, dai suoi occhi si può leggere ogni cosa, si può sentire ogni suo sentimento.
«Noo.» sussurrai facendo scendere una lacrima.
Lo fissai, e subito dopo lo abbracciai.
Capii perfettamente ciò che era successo.
«Sii forte ti prego Jack!» dissi accarezzandolo.
Rimase lì con me, ma era come se non si accorgesse di chi gli stesse accanto, come se fosse invisibile.
Si alzò di scatto e continuò a camminare.
«Jack, dove vai?» chiesi alzandomi, e inizia a seguirlo.
«Sta' lontana da me. Okay? Lasciami in pace cazzo!» urlò lui venendomi vicino con fare arrabbiato, poi si girò e scomparve tra la folla.
Rimasi li, per qualche minuto, immobile, osservando la sagoma di un ragazzo distrutto, che cammina tra la gente felice, e che quest'ultima lo osserva senza dargli una mano, senza chiedere cosa potesse essergli successo. Sono bravi solo a giudicare il suo aspetto.
Scombussolata da quella scena, decisi di sdraiarmi sulla panchina, di mettere tutti i miei pensieri a fuoco.
La temperatura iniziava a calare sempre di più, e con i brividi mi addormentai.
Poi non ricordo più niente, saranno passate ore penso e mi svegliai nell'hotel.
Mi girava la testa, e aveva freddo.
Aprii gli occhi e al mio fianco vi era Tom.
«Che è successo?» chiesi io con la gola infiammata.
Cercai di inumidirla con la saliva, ma era secca.
«Sei pazza.» disse lui dopo aver chiesto ad Alex di portargli un bicchiere di the.
«Che è successo? Come mi trovo qui?» dissi dopo essermi alzata con fatica, poggiandomi sui gomiti.
«Ieri mattina, ti sei svegliata alle 6:36 e mi hai scritto un messaggio dicendo che saresti andata via. L'ho letto alle 10.. E non sai come sono stato male. In ansia. Non sapevo dove stessi o cosa stessi facendo. Così senza chiamare gli altri due ti sono venuto a cercare. Ma niente. Eri come scomparsa. Ho percorso tutti i posti dell'altro ieri ma niente. Poi circa due ore fa, mi ha chiamato un numero sconosciuto dicendomi che voleva portarmi te.. E non sai le cose brutte che pensavo ti fossero successe.. Ma gli ho dato l'indirizzo. Ti ha portata qui in braccio e si è preoccupato che avessi la febbre.» disse lui preoccupandosi di mettermi un fazzoletto fresco sulla fronte.
«Come faceva a sapere il tuo numero?» chiesi aggrottando le sopracciglia.
«Beh.. ho sempre pensato che avresti fatto una cosa del genere, così mi sono preoccupato di mettere un biglietto col mio numero nella tasca interna del tuo zaino.» disse, e io alzai gli occhi al cielo, tornando con la testa sul cuscino.
«È tutto passato, okay? Se tu vuoi ce ne torniamo a casa.» continuò.
Guardai fuori dalla finestra.
«Non senza Jack.. lui è lì fuori .. è al freddo..» dissi io.
«Lo so.. era qui con me quando ha chiamato il padre..» rispose. «Ha deciso lui di andare fuori e liberare la mente.»
«Così non libererà la mente.» esclamai io portando gli occhi a lui «Così si farà solo del male.» continuai.
Poco dopo decisero di andare nelle loro stanze, e dormire, e che l'indomani saremmo andati via, con Jack.
Chiusero la luce e subito dopo, stanca, mi addormentai.
Il mattino dopo mi svegliai per colpa di un rumore, ovvero picchiettii sulla finestra, aprii gli occhi e portai lo sguardo a quest'ultima, e notai che pioveva a dirotto.
Mi alzai di scatto esclamando «Jack!»
Mi vestii e uscii dalla stanza, andando in quella di Tom.
«Aprii.» «Prestoo.» esclamai battendo i pugni sulla porta.
Lui aprii, e solo guardando il mio sguardo capì ogni cosa.
Si vestì e nel frattempo andai a chiamare Alex.
Scesi e li aspettai all'uscita.
Appena vennero dissi «Non m'interessa quanto sta piovendo. Sotto la pioggia cercheremo Jack.»
«Ma non puoi chiamarlo al cellulare Tom?» chiese Alex grattandosi l'occhio.
«Ha lasciato il telefono in stanza.» rispose lui cacciando il cellulare dalla tasca.
Lo diede a me, così che ognuno di noi tre avesse il cellulare per avvertire gli altri due in caso avesse trovato Jack.
Senza salutarli mi avviai sotto la pioggia, con l'ansia che mi mangiava dentro.
Vi erano poche persone per la strada, ma un traffico esagerato di macchine.
Ero praticamente inzuppata, i capelli erano attaccati al viso, e cercai di spostarli dai miei occhi.
Cercai in ogni posto, in ogni via, passò la prima ora, quando tornai a cercare in un vicolo cieco.
Vidi una sagoma seduta per terra, con la testa inclinata. Mi avvicinai e alzandogli il viso, notai che era lui.
Aveva la faccia pallida, gli occhi rossi, e le labbra che andavano sul lilla.
Era stato tanto tempo sotto la pioggia e scottava.
«Jack che hai fatto?» chiesi con voce quasi impaurita notando le tre bottiglie di alcol al suo fianco.
«Mi avevi promesso che non l'avresti mai fatto.» continuai cercando di spostarlo sotto un balcone, non molto lontano.
Era in silenzio, aveva gli occhi stanchi e chiusi.
Inizia a dargli degli schiaffi per "rianimarlo".
«Jack svegliati. Torniamo a casa. Ti prego.» dissi prendendo il cellulare.
«Tom.. l'ho trovato.. » dissi poi spiegandogli dove stavamo.
Spensi il cellulare e lo misi in tasca.
«Jack.. perdonami. Non dovevo trascinarti in questa situazione.. saresti dovuto rimanere a casa..» continuai sentendomi colpevole.
Lo abbracciai e cercai di svegliarlo, ma notai due ragazzi avvicinarsi.
Erano appunto Tom e Alex che lo presero in braccio e chiamarono urgentemente un ambulanza.
In tutto il tempo di attesa, non staccavo gli occhi dal mio amico, continuavo a tenergli stretta la mano, e non potevo fare a meno di notare Tom, di notare la sua paura nascosta dietro il coraggio.
Appena arrivò l'ambulanza, i dottori lo portarono all'interno, e noi tre salimmo.
«Ehi, può venire solo una persona.» disse poi uno dei due.
«Ma.. siamo solo noi quattro, non abbiamo posto in cui andare, e vogliamo stare con lui...» disse poi Tom, cercando di convincerlo mentre continuavo a non perdere d'occhio la sagoma di Jack in pericolo.
«La prego.» esclamai portando lo sguardo prima al medico poi a Jack.
Ci fece segno di entrare, così gli andai vicino.
Notai che gli attaccarono la flebo e vari fili.
Arrivammo alla struttura e lo portarono dentro.
Ci fecero aspettare fuori per qualche oretta, il tempo di fargli vari lavaggi per pulirlo da tutto lo schifo che aveva dentro.
«Tom.» dissi con voce stanca.
«Non lo dovevamo lasciare solo.» continuai.
Lui mi guardò, e mi asciugò le lacrime.
«Ehi, senti Kate, non è colpa tua.. okay?» disse inginocchiandosi avanti a me «Lui è voluto venire da buon amico, ma non c'entri tu. Conoscevo la madre, era da tempo che era così.. si sapeva come andava a finire. Io voglio tanto bene a Jack..» continuò lui, e potei notare una lacrima scendere dai suoi occhi.
«Non è stato forte dopo quella notizia.. ma sarà forte adesso, e passerà tutto.» continuò poi rimettendosi seduto.
Cercai di convincermi che era come diceva lui, ma sembrava impossibile.
Dopo qualche oretta, Alex ci portò delle cioccolate calde, è un dottore ci venne incontro.
«Ragazzi. Il vostro amico sta meglio.»
«Possiamo vederlo?» chiese Tom.
«Forse è meglio se entri una sola persona. Sapete, l'ha passata brutta, se fosse andato avanti, l'alcol l'avrebbe ucciso.» disse portandosi in tasca una penna.
Il medico si allontanò, e girandomi verso Tom, notai da parte sua un sorriso.
«Vai..» disse baciandomi la fronte.
Aveva capito tutto.
Lo ringraziai ed entrai in stanza chiudendomi la porta alle spalle.
Jack era lì, sdraiato, che fissava la finestra.
Rimasi in silenzio per qualche minuto.
«Hai visto? Ha smesso di piovere.» sussurrò come se non avesse più la forza di parlare.
«Già» risposi avvicinandomi.
Mi sedetti sulla sedia al suo fianco.
Il silenzio, era assordante, in quel preciso istante.
«A te pare giusto?» continuò lui con un cenno di sorriso.
«..No. E non mi pare giusto nemmeno quello che hai fatto tu.» risposi portando la mia mano alla sua.
«Non devi fare lo stesso errore di tuo padre, Jack.»
Lui sorrise.
«Perché sorridi?» chiesi quasi con fare nervoso.
«Perché, in un certo senso è stato bello. Bere intendo. Ero lì solo, con l'alcol che mi uccideva dentro. Che mi alleggeriva la testa, e che mi portava via ogni ricordo. Adesso capisco papà, aveva ragione quando diceva che se beveva, stava meglio. Mi sono sentito male.. è stato tipo come se lo ..»
«Non dire quella paro..» stavo per dire ma lui continuò
«come se lo meritassi..» finì lui.
«Non è così Jack. Tua madre era fiera di te. Quando mi parlava di te, le brillavano gli occhi. Come se fossi l'unica cosa bella che ha fatto. Ti vuole bene.» dissi avvicinandomi a lui.
«Mi voleva bene.» disse guadando in alto per non piangere.
«Non so ora dove sia, Jack, non so che credere, ma lei te ne vuole ancora! Te ne vorrà per sempre.»
«Sono solo Kate, capisci?» esclamò portando gli occhi rossi e lucidi ai miei.
«Tu saresti potuta rimanere con Mary, con Tom.. Insomma con loro. Io invece non ho più una madre.. l'unica che mi facesse venir voglia, almeno di fingere, di stare bene.»
«Jack.. tutto passerà. Tu hai un padre, ti ama. Siete entrambi orgogliosi. Ma devi tornare a casa, lui ha bisogno di te più che mai. E tu di lui.» dissi accarezzandogli la fronte.
Lui si spostò e chiese «Come fai a dire queste cose, cosa ne sai?»
«I tuoi occhi sono un libro aperto.» dissi sorridendogli con fare protettivo.
Dopo ciò ricordai una frase che la madre mi disse poco prima di uscire, l'ultima volta, da quella stanza "Prenditi cura di Jack."
«Lo diceva anche mamma.» rispose lui, e una lacrima gli rigò il viso.
Lo abbracciai, e poco dopo un dottore bussò alla porta chiedendomi di uscire, per controllare se potevano dimetterlo.
Poco prima di uscire  «Ah Jack. So che forse è il momento meno adatto, ma.. c'è una cosa che devo darti.» dissi cercando un ciondolo nello zaino.
«Eccolo.» dissi dandoglielo «Tua madre, disse che se fosse accaduto tutto ciò ...» dissi con gli occhi lucidi «avrei dovuto darti questo. E dirti che lei ti ama.»
Lui lo prese, e subito dopo sorrise guardando fuori dalla finestra.
Era un ciondolo che il padre regalò alla madre, vi erano raffigurati due sagome, una donna è un bambino in argento.
Sorrisi e uscii dalla stanza andando verso Tom.
«Come sta?» chiese quest'ultimo.
«Adesso molto meglio.» dissi sorridendo andando a sedermi.

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