Donovan

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Una gocciolina di condensa cadde dal soffitto di pietra e andò a posarsi sulla guancia di Donovan, svegliandolo. La sensazione fredda sul viso fu un risveglio un po' brusco. Il figlio di Apollo si mise lentamente seduto. Quanti giorni erano passati da quando si trovava in quel posto? Non ne era sicuro, ma almeno dieci.

- Dei, puzzo come una discarica- protestò.

Ai suoi piedi erano accumulati rifiuti di ogni tipo: buste di plastica bisunte e rotte, contenitori vuoti di cibo o bevande ammuffiti, carta di vario genere, giocattoli rotti, bucce di banana dall'aspetto a dir poco rivoltante e qualche salvagente sgonfio e sporco. In un certo senso, quel posto era una discarica. Si trovava parecchi metri sotto il livello del mare e ci finiva tutta la schifezza che i mortali gettavano. Per forza, era una fogna.

Fuori, una musica jazz risuonava nell'aria, un po' lontana ma udibile se si tendevano le orecchie.

- Sono a Jacksonville- realizzò il figlio di Apollo- c'è uno dei tanti festival jazz estivi-

Se avesse dovuto dire come era finito nelle fogne di Jacksonville, in Florida, non avrebbe saputo spiegarsi esattamente. In verità, ci era stato buttato. Non poteva uscire, perché gli ingressi erano bloccati. Si mosse appena e un sibilo acuto gli gelò il sangue. Decise che era meglio restare fermo dov'era. Il nettare e l'ambrosia che aveva con sé stavano finendo, presto sarebbe morto di fame e di sete, per non parlare del posto lurido, come minimo le sue ferite si sarebbero già infettate se non fosse stato un eccellente guaritore. Eppure, un modo per uscire doveva esserci.

Prese un bel respiro e si appoggiò al muro con la schiena, movimento che gli procurò un gran dolore. Aveva la gamba destra rotta, che si era steccato alle bene e meglio, la clavicola sinistra lussata, il polso probabilmente rotto anch'esso, innumerevoli lividi e ferite da taglio più o meno profonde, un occhio nero, quasi tutte le dita della mano sinistra insaccate e una ferita al labbro inferiore che bruciava da morire. Giusto per non farsi mancare niente, il fianco destro presentava una bruttissima ferita da morso di serpente, per di più avvelenata. Non era mortale, ma estremamente dolorosa e un po' paralizzante, ecco perché non riusciva a muoversi. Arco e faretra gli erano stati confiscati, così come la spada, non aveva niente con cui difendersi o attaccare.

- Giuro sugli dei che ti ucciderò!- gridò all'improvviso.

Una risata riecheggiò nel silenzio, seguita da un rumore strisciante e sibilante, come di centinaia di serpenti che si avvicinano minacciosi. Donovan chiuse immediatamente gli occhi e Medusa si presentò a lui, il nido di vipere che aveva al posto dei capelli che si muoveva e sibilava freneticamente.

- Oh, mio povero semidio, sei ridotto piuttosto male. Direi peggio dell'ultima volta che ti ho visto- lo schernì il mostro. Era nella sua forma originale, con il corpo di giovane fanciulla fasciato da un semplice chitone greco.

- Che diavolo vuoi da me?- ringhiò Donovan- Mi hai seguito praticamente da Epidauro, perché?-

Medusa non rispose. Si mosse per l'angusta fogna, facendo frusciare la sua veste plissettata. Donovan la sentì tirare un calcio ad uno dei rifiuti a terra.

- I mostri si riformano e attaccano gli eroi- rispose semplicemente.

- Bugiarda-

La creatura rise di nuovo. La sua risata aveva lo stesso suono sibilante dei capelli serpentini.

- Beh, essendo rinata da poco, ammetto che avevo voglia di uccidere qualche semidio- spiegò Medusa, chinandosi accanto a lui- tuttavia, solitamente i figli di Apollo non sono la mia prima scelta... preferisco i figli di Atena. Ma, vedi, ho ricevuto una sorta di input-

Donovan si chiese a cosa si stesse riferendo. Chi le aveva detto di inseguirlo? Da quando era partito per studiare a Epidauro, non erano capitati fatti strani o preoccupanti. Però, una sensazione nell'aria gli aveva fatto pensare che bollisse qualcosa in pentola. Lo stesso Esculapio gli aveva confessato di essere preoccupato per qualcosa, ma di non sapere esattamente cosa.

I mostri più famosi e potenti si stavano risvegliando. Di nuovo. Era già successo in passato e la prima volta i Titani per poco non distruggevano l'Olimpo, mentre la seconda quella psicopatica di Gea stava per inghiottire il mondo mortale. Per non parlare di Caos, pochi mesi prima.

Era impossibile che tutto il fermento creato da Caos non avesse smosso qualcosa di antico e malvagio, soprattutto dato che quel potere ribolliva nelle viscere del Tartaro già all'epoca della guerra contro i Titani. Ricordò una cosa che aveva detto loro Suri, prima della battaglia: Caos non può essere sconfitto, solo ricacciato indietro. Il suo potere si nascondeva persino nei più reconditi anfratti dell'animo umano‒ ma anche in quello divino.

- Si tratta di Caos?- chiese infine, tenendo gli occhi ben chiusi.

- Oh, non essere sciocco- sbuffò Medusa- ti credevo intelligente, ti ho sopravvalutato? Caos se ne resterà a leccarsi le ferite per parecchio tempo. No, non si tratta di quell'inutile Caos-

Malgrado tutto, quella notizia non lo rassicurò affatto. Se non era Caos, un nemico che comunque già conoscevano, allora di cosa si trattava? Aveva paura di scoprirlo. Poi gli tornò alla mente quello che Riley e Amanita avevano detto loro, l'avvertimento di Urano: la sconfitta di Caos non segnava affatto la fine della loro battaglia, perché qualcosa di antico e potente era stato risvegliato prima del tempo.

- D'accordo, allora perché non mi uccidi e la fai finita? Mi tieni qui da giorni-

Medusa sorrise. Anche se non poteva vederla, Donovan fu certo che stesse sorridendo malignamente. Udì i serpenti sibilare molto vicini alla propria faccia, poi uno spostamento d'aria quando il mostro si alzò nuovamente in piedi, allontanandosi.

- Perché tu sei l'esca- spiegò, divertita- attirerai molti altri eroi, qui. Solo quando avrò il numero giusto per la mia nuova collezione di statue vi trasformerò in pietra. Tutti quanti-

Il sibilo diminuì, assieme al rumore di passi. Medusa se n'era andata. Donovan lasciò uscire un lungo sospiro e si azzardò ad aprire gli occhi. Non si stava trasformando in pietra, infatti il mostro era uscito davvero. La luce nel sotterraneo era fioca, ma poteva distinguere bene tutto quello che c'era, perlopiù rifiuti. Non aveva modo di mandare alcun messaggio Iride, quindi doveva cercare di uscire di lì da solo, perché era sicuro che altri compagni del Campo Mezzosangue fossero sulle sue tracce e questo voleva dire finire nelle grinfie di Medusa. I condotti erano bloccati dai serpenti velenosi di Medusa, che impedivano a chiunque di entrare o a lui di uscire.

Posso aiutarti. Ma devi fidarti di me. Quello prima di te non l'ha fatto e puoi vedere che fine ha fatto. Voltati alla tua destra

Donovan si voltò di scatto. Spostò con la mano cartacce e involucri unti di cibo e trovò delle ossa umane. Ritirò subito le dita, deglutendo. Le ossa erano praticamente bianche e lucide, era lì da un po' quello scheletro.

- Non mi fido delle voci- disse, a bassa voce- dimmi perché dovrei fidarmi di te-

Perché sei un figlio di Febo Apollo. Non sei il primo che finisce qui, molto prima che Medusa si riformasse e lo usasse come covo, altri mostri vi si annidavano... molto tempo fa, un semidio come te è arrivato qui, ma ha ignorato la mia voce.

C'erano degli scoloriti brandelli viola accanto alle cartacce e Donovan capì che quello che era morto lì, un tempo era stato un semidio al Campo Giove.

Tentò di studiare quella voce, ma anche se i suoi sensi erano allerta, gli sembrava innocua, come quella di una bambina. Che fosse Suri? No, il timbro era differente e, soprattutto, Suri non c'era più. Eppure, quella voce aveva qualcosa di familiare. Dopo qualche secondo, il semidio capì.

- Eleni!- esclamò.

Gli sembrò di udire una lieve risata nel silenzio.

Bene, giovane figlio di Apollo, adesso ascoltami. Ti serve il fuoco, per uscire da qui. E tu lo hai.

Donovan corrugò la fronte. Se avesse avuto del fuoco, sarebbe già scappato da un pezzo. Si frugò nelle tasche, ma il suo accendino era finito chissà dove, forse lo aveva perso. Si guardò attorno e recuperò il proprio zaino, sgualcito e mezzo vuoto, Medusa gli aveva rubato tutte le armi. Aprì anche la tasca interna, stranamente ancora chiusa e trovò una specie di punta di freccia, chiusa in un barattolo di vetro piuttosto spesso.

- Fuoco greco- realizzò- l'ultima punta di freccia esplosiva che mi era rimasta!-

La tirò fuori, maneggiandola con cura con l'unica mano sana. Si guardò attorno, individuando una delle uscite più vicine, che sibilava a causa dei suoi guardiani serpenteschi. Prese bene la mira e lanciò il fuoco greco in quella direzione.

Riley Jackson e gli Dei dell'Olimpo 2 [CONCLUSA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora