C.17. Hot blood

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Il cervello è forse la parte più complessa del nostro corpo. Essendo la psicologia una delle mie materie di studio preferite io ne ero ben consapevole e, forse per questo motivo, lo trovavo particolarmente interessante.

Spesso nei libri leggevo scene in cui il cervello del protagonista di turno smetteva di funzionare normalmemte e tutto iniziava a sembrare ovattato. Le voci si affievolivano, la vista si faceva sfocata e il rumore del cuore che batteva era tutto ciò che si riusciva ad udire chiaramente.

Avevo sempre creduto che si trattasse di un semplice espediente narrativo, un elemento che l'autore inserisce nella prosa per renderla più accattivante.

Lo avevo sempre creduto, fino a quel momento.

Guardai impassibile i volti dei tre uomini seduti di fronte a me. Le mie labbra erano aperte ma da esse non usciva nessun suono, nemmeno un accenno del caos che si era formato nella mia testa.

Vedevo le loro bocche muoversi e i loro sguardi puntati su di me, ma non capivo niente.

I suoni erano lontani.

Loro, erano lontani.

Così la mia mente iniziò a vagare indisturbata come se io non fossi più li.

Osservai divertita la barba scura e ispida di Jordan muoversi a tempo con la sua mascella.

Il mio professore, al contrario, mi guardava con aria colpevole.

Avevano ragione le mie compagne di corso, era davvero un bell'uomo. Gli occhi intriganti e dolci al tempo stesso, la fossetta sul mento leggermente irregolare a causa dell'accenno di barba che stava crescendo e le labbra quasi a cuore che ogni donna della facoltà avrebbe voluto baciare. Perfino io, in quel momento, mi domandai come sarebbe stato poggiarci le mie sopra.

Infine guardai Cameron.
Guardai quel ragazzo che, un tempo, era stato tutto per me. Al contrario degli altri due individui nella stanza i suoi occhi erano direttamente puntati nei miei, senza alcuna distrazione. Non si muoveva, era esattamente immobile mentre tutto attorno a lui avanzava a rallentatore. I capelli erano scompigliati e sapevo che non sarebbe mai stato in grado di pettinarli. Sul braccio notai muovamente una punta di quel tatuaggio che avevo visto il primo giorno, ma ancora non capivo cosa fosse. Le spalle erano poggiate alla parete dietro di lui e le braccia incrociate al petto nella vana speranza di assumere l'aspetto del duro.

Ma io sapevo che quella non era altro che una posizione di difesa, una posizione di chiusura nei miei confronti.

Era ferito, era ferito da me.

Perché? Come poteva essere stato ferito da una persona che, a sua detta, non valeva più niente per lui?

Da quando avevo incontrato Cameron Cooper la mia vita era stato un continuo susseguirsi di insicurezze, menzogne, segreti e dolore. Avevo sofferto come un cane a causa sua, ma non avevo mai preso in considerazione la possibilità che, in qualche modo, anche lui stesse soffrendo.

Era tutto assurdo, troppo assurdo per il mio povero cervello. Sentivo il bisogno di chiudere gli occhi, di lasciarmi andare al buio e al tepore dell'oscurità. Così lo feci, lasciai che le mie palpebre cadessero lente fino a quando le ciglia non mi solleticarono gli zigomi e, solo in quel momento, provai una strana sensazione di calore allo stomaco.

Fu una cosa veloce ma, al tempo stesso, dannatamente lenta.

Il ventre iniziò a scalpitare come se al suo interno ci fosse una tempesta.

Il calore proveniente dallo stomaco iniziò a salire lungo il petto. Lo sentivo scorrermi nelle vene fino a quando, in un ultimo gesto disperato, si riversò direttamente nel mio cuore.

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