C.55. Dormi con me

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Una macchina si fermò di colpo davanti a me. Non mi mossi, non riconoscendola. Rimasi appartata nella protezione offerta dall'ombra in cui mi ero rifugiata, sperando che chiunque fosse non mi notasse e se andasse.

Poi il finestrino si abbassò, lentamente, facendomi trattenere il respiro. Quando però vidi chi c'era alla guida, sentii le mie spalle rilassarsi leggermente.

-P-professor Miller... cosa ci fa qui?- chiesi cercando di regolare il tono della voce.

Prima che l'uomo potesse rispondere, però, la portiera dalla parte del passeggero si spalancò di colpo, facendomi fare un passo indietro dallo spavento. Un ragazzo scese dall'auto e, come i miei occhi incontrarono i suoi cristallini, le gambe iniziarono a tremarmi di nuovo.

-Nash...- sussurrai.

Il ragazzo mi venne incontro e io mi lanciai praticamente fra le sue braccia, scoppiando in un pianto che avevo trattenuto fino a quel momento. Il ragazzo non disse niente, si limitò a stringermi forte e a cullarmi dolcemente. Il suo sguardo era triste e, da come mi guardava, ebbi come la sensazione che il professor Miller gli avesse raccontato tutto.

-Ti portiamo a casa da Cameron.- disse ad un tratto.

Io non mi opposi. Avevo bisogno di lui, lo sapevo io e lo sapeva anche Nash.

Aprii la portiera posteriore della macchina e mi lasciai scivolare sul sedile in pelle, mentre Nash si sedette nuovamente accanto al suo ragazzo. Mi schiacciai contro il finestrino, osservando i primi raggi del sole farsi largo nel buio della notte.

-Cassie, puoi raccontarci cos'è successo?- domandò Nash dolcemente.

Io non risposi, tenni lo sguardo puntato sul finestrino.

Il professor Miller mi lanciò un'occhiata preoccupata dallo specchietto retrovisore.

-È stato ancora quel ragazzo?- chiese cauto.

Io soffocai un singhiozzo.

-No.- mormorai.

I due si scambiarono un'occhiata preoccupata e, dopo aver preso un respiro profondo, Nash si voltò verso di me.

-Cassie Smith, non ti lascerò andare senza avere delle spiegazioni. Ti prego, non posso vederti in questo stato.

Osservai il suo viso contratto in un'espressione preoccupata. Indossava un pigiama sotto al giaccone, così come il professor Miller. Probabilmente la mia chiamata li aveva svegliati e, nonostante fossero le cinque del mattino, loro erano venuti da me. Infondo glielo dovevo.

Così iniziai a ripetere loro tutto ciò che avevo appreso quella sera da Peter, senza tralasciare nemmeno un dettaglio. Alla fine parlarne con qualcuno mi aveva tolto un peso dallo stomaco, seppur minimo.

Quando ebbi finito, nessuno dei due mi guardava in faccia. Nash teneva lo sguardo puntato verso i suoi piedi, mentre il mio professore osservava la strada di fronte a se.

-Devi parlarne con Cameron.- disse ad un tratto quest'ultimo.

-E con la polizia.- sottolineò il mio migliore amico.

Io sbuffai e mi voltai nuovamente verso il finestrino.

Lo sapevo già, okay? Ero consapevole di doverne parlare con Cameron, ma non era certo una cosa semplice da dire.

Ehi ciao, tutto bene? Hai presente quel tizio che ti ha rovinato la vita? Beh... sorpresa! Ha provato a stuprarmi due volte! Cosa c'è per cena?

No, direi proprio di no.

Quando l'auto si fermò davanti a casa di Cameron, io non mi mossi. Rimasi li, su quel sedile, ad osservare il vialetto ciottolato davanti a me.

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