C.57. La vie en rose

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Cameron era seduto accanto a me, con un'espressione da cucciolo inferocito sul volto, un occhio nero, e una borsa del ghiaccio premuta sulla testa.

Il fatto che a conciare così un ragazzo grande, grosso e palestrato, fosse stata una donnina alta come uno gnomo e con le guance paffute da elfo di Babbo Natale... beh, si, era dannatamente esilarante.

O almeno, lo sarebbe stato se nel frattempo non avessi dovuto raccontare ad uno sconosciuto dall'aria burbera tutto ciò che ultimamente c'era stato di più incasinato della mia vita, girando attorno ad un unico argomento: James.

Fui fortunata a non scoppiare a piangere davanti al capo della polizia, e l'unico motivo era che Cameron era accanto a me a stringermi la mano.

Sarebbe stato più incoraggiante se nel frattempo non avesse avuto una faccia da "dopo facciamo i conti", ma ci si accontenta.

E poi non credo avrebbe osato aprire bocca fino a quando non saremmo stati lontani dalla caserma, per non rischiare di attirare nuovamente l'attenzione della poliziotta cazzutissima di prima.

Ci avevo messo quasi venti minuti a convincerla che Cameron non era il ragazzo che aveva provato a stuprarmi e, ripeto, se il contesto non fosse stato tragico avrei trovato l'intera situazione altamente comica.

-Allora signorina Smith, il fatto è questo. Da quello che mi ha raccontato siamo di fronte ad un caso di violenza e minaccia mediante abuso di autorità. Per questo tipo di crimine è prevista una condanna che può variare dai cinque ai quattordici anni di reclusione. Il che viene anche aggravato dal momento che lei non è stata l'unica vittima del sopruso. Purtroppo, però, ci troviamo davanti ad un vicolo cieco. Sebbene io le creda, signorina Smith, questo non basta. Abbiamo bisogno di altre prove o, come minimo, altre testimonianze. Io ora chiamerò l'Unità Vittime Speciali, cercando di capire se è di loro competenza o meno. Fino a quel momento posso richiede un'ordinanza restrittiva.

Io annuii, tenendo lo sguardo basso.

Una parte di me, quella da fangirl, stava sclerando internamente alle parole Unità Vittime Speciali. I miei anni di maratone della domenica sera a guardare Law & Order: SVU si stavano facendo sentire.

L'altra parte, però, era un po' delusa.

Okay, non era proprio quello che mi aspettavo, ma era sempre meglio di niente. Forse ci sarebbe voluto più tempo di quanto pensassi, ma alla fine sarei riuscita a liberarmi da tutto quel peso.

Salutai il commissario con una stretta di mano e lasciai l'ufficio con la sua promessa di chiamarmi non appena avrebbe avuto delle novità.

Cameron mi seguì senza dire una parola, camminando attraverso il commissariato sotto allo sguardo truce della poliziotta-ninja.

Non appena fummo fuori, però, mi fece un cenno con il capo di seguirlo.

Oh-oh, qualcuno è nei guai...

Non sei di aiuto.

Camminai dietro di lui tenendo lo sguardo puntato sul marciapiede, fino a quando non raggiungemmo la sua moto nera parcheggiata poco distante.

Poggiò le mani sul sellino in pelle, prendendo un respiro profondo, mentre io rimasi alle sue spalle, cercando di vivere in pace con me stessa quegli ultimi istanti di vita che mi rimanevano.

-Perché?- chiese ad un tratto.

Io iniziai a dondolare da un piede a un altro.

-Perché, cosa?

Lui si voltò di colpo verso di me e, come vidi quell'espressione triste dipinta sul suo volto, mi si strinse il cuore.

-Perché non me lo hai detto? Di James, di Sasha, di Peter... perché non mi hai detto niente?

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