La perfezione è altamente sopravvalutata, ne ero sempre stato convinto.
Come puoi dire che una cosa è perfetta solo perchè rispecchia tutte caratteristiche ideali nell'accezione comune? Chi dice che una ragazza perfetta debba avere gli occhi verdi, i capelli biondi, un seno prosperoso, i fianchi stretti e un sedere scolpito? Chi dice che debba sorridere in maniera delicata, camminare elegantemente, o conversare con gli altri con totale naturalezza?
La mia perfezione non era niente di tutto questo. La mia perfezione rideva arricciando il naso, ballava in maniera scoordinata, aveva i capelli arruffati e indossava un abito di un orribile sfumatura di rosa, nonostante lei odiasse quel colore, solo perchè voleva far felice la sua amica. La mia perfezione camminava nel prato davanti al gazebo senza le scarpe, perchè non sopportava i tacchi. Si sedeva sull'erba umida senza fare la schizzinosa, rubava di nascosto tartine dal bancone, convinta che nessuno la vedesse, e cercava di fingersi interessata alle conversazione di un vecchio signore anziano, quando in realtà teneva il tempo con la musica battendo ritmicamente il piede a terra.
La mia perfezione, dopo ben cinque anni da quando l'avevo trovata, portava ancora lo stesso nome: Cassie Marie Elizabeth Smith.
Lei che era riuscita a farmi innamorare senza neanche farlo apposta. Lei che era in grado di essere tanto matura quanto infantile. Lei che era un disastro per tutti, perfino per se stessa, ma che per me non era altro che la mia piccola, principessa perfetta.
Dopo cinque anni da quando ero finalmente riuscita a riprendermela, lei era ancora mia. Non le avevo permesso di scappare, di allontanarsi da me, nonostante nel corso del tempo avessi visto a volte la tentazione balenare nei suoi occhi. Ma lei mi era rimasta accanto, per tutto quel tempo, permettendomi di vederla crescere, e di crescere con lei.
L'avevo vista studiare, impegnarsi, fino al raggiungimento di una laurea con lode. L'avevo vista iniziare il suo master, affannarsi per tutta la città a distribuire il suo curriculum a tutte le case editrici, arrivando a far avverare finalmente il suo sogno: fare la giornalista.
L'avevo vista maturare, trovare la consapevolezza di sé stessa e della donna che era. Esplorare il suo corpo assieme a me, trovare i suoi punti deboli e, a sua volta, aiutarmi a trovare i miei.
Mi ero reso conto di quanto ormai lei fosse diventata parte di me. Ero arrivato al punto di essere felice se lei rideva, triste se la vedevo piangere, arrabbiato se lo era lei.
Quindi si, tutto questo per me significava solo che io ero completamente, follemente, perdutamente innamorato di lei, ancora come per la prima volta. E questo non sarebbe mai cambiato, per nulla al mondo, mai, nemmeno dopo quarant'anni.
Quindi, dopo cinque anni di maturazione personale, il desiderio che lei fosse mia era rimasto forte come prima, ma allo stesso tempo era maturato anch'esso a sua volta.
Come dicevo, ormai avevo le idee ben chiare. Sapevo esattamente cosa volevo e ora, una volta per tutte, era arrivato il momento di alzare il culo e andarmelo a prendere.
E, sebbene stessi tremando dalla testa ai piedi, quello era davvero il momento giusto.
«Cameron, alza il culo e muoviti, è il momento!»
Ecco, appunto.
Cassie venne verso di me a passi spediti, tenendo con una mano le scarpe e con l'altra un lembo del vestito troppo lungo. I capelli erano leggermente attaccati alla fronte a causa del sudore, il risultato di un'ora di danza sfrenata al centro della pista. In qualche modo era riuscita a convincere il deejay a far partire tutta la discografia possibile e immaginabile degli anni ottanta, e lei e Riley avevano trascinato la povera Clover in balli disagiati, facendola barcollare nel suo ormai scombinato abito da sposa.
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Ti ricordi di noi?
Teen FictionSequel di "Quello che non ti ho detto di noi." Dopo alcuni mesi dalla fine dell'estate Cassie sta cercando in tutti i modi di lasciarsi Cameron alle spalle. Sta cercando di godersi l'arrivo al college nel miglior modo possibile. E, in un modo o nell...