Chi può dire di aver amato sul serio?
Come puoi affermare con piena sicurezza che il tuo cuore batte solo e unicamente per una persona?
Come puoi dire che, su sette miliardi di individui sulla terra, tu appartieni ad una sola anima, e lei appartiene a te?
Con quanta fermezza sei disposto a dire che faresti di tutto, per lui?
E come puoi pretendere che gli altri ti credano? In che modo, dopo milioni di volte in cui hai negato di amare, puoi convincere uno sconosciuto che, in realtà, hai sempre mentito?
Ma soprattutto, come puoi convincere te stesso?
La verità è che se sei innamorato, non ti importa. L'unico che vuoi che sappia davvero quello che provi è l'amato stesso, e hai bisogno che lui ti creda.
E se neanche lui ti crede, non ti resta che correre.
Quella notte corsi tanto, fino a farmi mancare il fiato. Corsi con i piedi doloranti, il viso sudato, gli occhi dei passanti su di me e il cuore a mille. Ma corsi, e non mi fermai mai.
Raggiunsi in poco tempo il centro della città e arrivai fino alla casa di Cameron. La sua jeep era ancora parcheggiata nel vialetto e, in quel momento, ringraziai il cielo che non avesse perso quella sua brutta abitudine di lasciare le chiavi sul cruscotto.
Misi in marcia, cercando di ricordare le lezioni di guida di mio padre, e, dopo aver colpito un cassonetto, uscii dal parcheggio.
Fortunatamente, a quell'ora di sera, le strade erano deserte. Diciamo solo che investire qualche povero pedone indifeso non era certo nei miei piani.
E a me non ci pensi?
Che vuoi dire?
No dico, a meno che tu non voglia infrangere la barriera del suono e dello spazio-tempo, potresti cortesemente rallentare? Ci tengo alla pelle, io.
Ignorai la mia coscienza e continuai a premere il tasto dell'acceleratore. Mancava poco all'inizio del concerto, e io non potevo fare tardi.
Dopo pochi minuti iniziai a intravedere la cima dello stadio, sempre più vicino. Le luci dei fari colorati erano proiettate nel cielo mentre, nel parcheggio ormai isolato, si estendeva un'infinita fila di auto. Mancava poco, forse meno di trecento metri, potevo farcela.
In quel momento però, come se il cielo mi avesse sentita, una goccia di pioggia cadde sul parabrezza. In meno di tre secondi dei nuvoloni grigi coprirono completamente le stelle e, assieme a tuoni e fulmini, iniziò a scendere il diluvio universale. L'asfalto si inzuppò come pane e, prima che potessi rendermene conto, le ruote iniziarono a slittare sulla strada, completamente fuori controllo.
Quando riaprii gli occhi, l'auto era ferma. Il cofano, davanti a me, era completamente accartocciato contro il tronco solido di un albero.
L'unica cosa che riuscivo a pensare era che Cameron mi avrebbe ammazzata, per poi ballare sul mio cadavere smembrato.
Okay, mi sembra il momento di fermarsi un attimo e chiamare un soccorso stradale.
Ma, per la seconda volta, ignorai la mia coscienza.
Seconda? Direi più quattrocentocinquantaduemigliardesima...
Con un salto scesi dalla macchina. Senza neanche preoccuparmi di chiudere la portiera iniziai a correre, sempre più veloce, ignorando l'acqua che mi colpiva insistentemente la testa, il collo e le braccia.
Raggiunsi lo stadio, ormai fradicia, e non mi fermai. Salii le gradinate, raggiunsi l'ingresso, spalancai le porte, mi voltai e... andai a sbattere contro qualcuno.
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Ti ricordi di noi?
Ficção AdolescenteSequel di "Quello che non ti ho detto di noi." Dopo alcuni mesi dalla fine dell'estate Cassie sta cercando in tutti i modi di lasciarsi Cameron alle spalle. Sta cercando di godersi l'arrivo al college nel miglior modo possibile. E, in un modo o nell...