C.25. No

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Vi è mai capitato di avere paura?

Credo di si, infondo tutti abbiamo paura di qualcosa, no?

Per me la paura è qualcosa di oscuro e affascinante al tempo stesso.

Oscuro, perché ci rende deboli.

Affascinante, perché ci rende umani.

Quando hai paura il cuore ti batte all'impazzata, anche se tu non sei in grado di rendertene conto. Il fiato si fa pesante fino a mozzartisi in gola e ogni minimo centimetro del tuo corpo si paralizza.

Quando sei terrorizzato, invece, ti viene addirittura da piangere.

Perché vi dico tutto questo?

Perché, non appena i miei occhi incontrarono quelle pozze scure, provai tutto questo.

Il cuore, il fiato, le lacrime.

Mi sentii dannatamente vulnerabile, proprio come quella sera.

-Solo un thè?- domandò il ragazzo poggiandosi con i gomiti sul bancone accanto a me.

Quella voce...

Immagini di quella sera iniziarono a tornarmi in mente.

La musica a palla.

I tacchi.

La puzza di vodka.

La saliva sul mio collo.

Le sue dita sulla mia pelle.

-Ti senti bene?

Cameron che mi stringe a se.

I segni sui miei polsi.

La spiaggia.

-Ehi, devo chiamare qualcuno?

In quel momento, però, nemmeno i ricordi di ciò che era successo dopo con Cameron riuscirono a sovrastare il terrore che sentivo espandersi nel mio corpo.

Volevo piangere, ma non potevo.

Volevo urlare, ma non potevo.

Volevo chiamare Cameron, ma non potevo.

Ero completamente impotente, una stupida ragazzina debole e inutile.

Ad un tratto una voce familiare attirò la mia attenzione.

-Cassie! Ehi Cassie!

In qualche modo riuscii a voltarmi abbastanza per vedere Riley seduta ad un tavolo in fondo al bar.

Mi fece un cenno con la mano e io non provai nemmeno a ricambiare, sapevo che non ci sarei riuscita.

La musica.

La vodka.

La saliva.

I lividi.

-Bambolina devi andare dalla tua amica, è maleducazione ignorare le persone, sai?

Bambolina.

Anche quella sera mia aveva chiamato così.

Perché si comportava come se nulla fosse? Magari non mi aveva riconosciuta, o magari era talmente ubriaco da essersi dimenticato tutto.

Non alzai il volto, tenni lo sguardo basso verso il pavimento.

Annuii semplicemente, incapace di dire altro, ma non riuscii comunque a muovermi.

Il ragazzo sorrise, si sporse verso di me da sopra al bancone e mi afferrò per il braccio. A quel contatto sobbalzai e istintivamente provai a strattonarlo via, ma lui aumentò la stretta.

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