C.52. Un'ultima scelta

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Non so per quanto tempo rimasi sotto a quel tavolo, e forse la cosa non è importante.

Non so per quanti secondi, minuti, ore, il mio cervello stette in stand-by, aspettando nuove direttive che, sfortunatamente per lui, non sarebbero arrivate.

Non so per quanto tempo trovai riparo nella semi-oscurità di quel corridoio, ne per quanto tempo la dolce e delicata melodia di Cameron fu l'unico suono che udii.

Non so per quanto tempo le mie dita tremarono, le lacrime scesero dai miei occhi stanchi o la pelle delle labbra venne torturata dai denti.

Non so niente di tutto questo, ma so cosa provai in quegli attimi.

So che per la prima volta dopo tanto tempo mi sentii sollevata da un peso, come se fossi stata liberata.

So che il cuore umano non dovrebbe battere tanto in fretta quanto lo fece il mio quella sera.

So che Cameron mi amava. Cameron Cooper mi amava immensamente e dannatamente tanto. Forse più di quanto io stessa mi fossi amata nell'ultimo periodo.

So che i segni rossi che qualche sera prima avevo lasciato sulle mia braccia stavano scomparendo, e le parole agrodolci di Cameron non avevano fatto che aiutare il processo di rigenerazione.

Forse non avevo un piano. Non ancora, per lo meno. Ma sapevo che Cameron stava soffrendo, io stavo soffrendo, e da quando lo avevo incontrato ci eravamo comportati entrambi come due idioti. Che senso aveva perdersi talmente tante volte, se l'obbiettivo di entrambi era quello di ritrovarsi?

Perché stare male, quando avremmo potuto essere felici insieme?

James, Sasha, Peter... ne valevano veramente la pena?

So che dopo quelle ore infinite passate sotto a un tavolo, la musica cessò. Cameron aveva smesso di suonare e io ero consapevole del fatto che, da lì a poco, avrei dovuto affrontarlo.

Uscii da sotto al tavolo. Le gambe non tremavano più, le lacrime si erano fermate. Solo il cuore non accennava a smettere.

Rimasi immobile nel centro del corridoio, aspettando che fosse lui a venire da me. Quando lo viti spuntare da dietro l'angolo con la chitarra sulle spalle e lo sguardo basso, sentii il cuore fermarsi di colpo, pietrificato.

Questo è tutto quello che so.

Poi, il nulla.

Il ragazzo alzò lo sguardo distrattamente e, come i suoi occhi nocciola incontrarono i miei, vidi ogni minimo muscolo del suo corpo immobilizzarsi. La sua mascella di abbassò di colpo, accentuando la sua espressione sorpresa.

-Cassie... Cassie cosa... cosa ci fai qui? Voglio dire, come... come hai...

Io accennai un sorriso e gli feci un cenno con il capo verso la porta dell'ingresso.

-Andiamo a cena fuori?- chiesi come se niente fosse.

Lui boccheggiò per alcuni secondi, ma alla fine annuì.

Mi seguì fuori dall'edificio, fino alla sua moto, rimanendo però ad una distanza di sicurezza. Lanciò un'occhiata al sellino del mezzo e poi si sfiorò nervosamente le spalline della custodia per la chitarra.

-Io... ecco...

Sorrisi leggermente e feci un passo verso di lui. Allungai le mani verso le sue spalle e lo vidi irrigidirsi di colpo, sorpreso. Lasciai scivolare le spalline giù dalle sue braccia e poi le infilai sulle mie, caricandomi la custodia sulla schiena. Afferrai uno dei caschi dal retro della moto e me lo poggiai sulla testa, per poi salire lontano dal manubrio. Alzai lo sguardo su di lui, aspettando che si sedesse di fronte a me.

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