C.22. La montagna

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Il campanile del campus battè nove rintocchi e io incominciai a correre ancora più velocemente.

Quella mattina tutto stava andando storto e anche solo il fatto che io stessi correndo ne era la prova.

Quella notte non avevo praticamente chiuso occhio e per questo motivo non avevo sentito la sveglia. Avevo dovuto fare tutto di corsa e alla fine, dopo aver aspettato quasi venti minuti un autobus che non sarebbe passato, avevo fatto di corsa tutta la strada che c'era fra la casa di Cameron e il campus.

Perché ovviamente l'idea di chiedere a lui un passaggio non era neanche lontanamente plausibile.

Avevo già perso la prima lezione di quella mattina, ma fortunatamente mi sarei potuta far passare gli appunti da Peter.

Benedetto quel ragazzo e la sua tendenza innata verso la teologia!

Purtroppo ora avevo lezione col professor Miller e qualcosa mi diceva che se non mi fossi presentata avrebbe iniziato a farmi domande scomode.

E questo era proprio quello che volevo evitare.

Senza quasi accorgermene arrivai davanti all'aula e, senza pensarci due volte, spalancai la porta con un po' troppa violenza.

Subito gli sguardi di tutti, compreso quello del professore, si puntarono su di me.

Alcuni mi guardarono straniti, ma pensai che fosse normale dato che probabilmente ora il mio viso doveva essere rosso e imperlato di sudore. Per non parlare dei capelli che non avevo avuto tempo di pettinare, della la tuta che avevo tirato fuori a caso dall'armadio o le occhiaie profonde sotto ai miei occhi.

Ok, diciamo che non ero al massimo dello splendore.

Senza fare una piega salii gli scalini che portavano all'ultima fila in alto, l'unica con dei posti ancora vuoti. Raggiunsi il mio banco pestando ogni tanto i piedi a qualcuno e facendo sbattere il mio zaino in faccia a una ragazza dalla tonalità di capelli troppo chiara per essere naturale.

Mi sedetti tirando fuori il quaderno dallo zaino e iniziai a leggere velocemente gli appunti della lezione prima e, solo in quel momento, mi resi conto che nessuno parlava.

Alzai lo sguardo e notai che gli occhi di tutti erano ancora puntati su di me e io li guardai alzando un sopracciglio.

Beh? Cos'avevano da guardare?

Il professor Miller si schiarì la gola con un colpo di tosse e tutti riportarono finalmente la loro attenzione su di lui.

Tutti tranne il ragazzo accanto a me che continuò a fissarmi con gli occhi spalancati.

-Che vuoi?- sbottai acida.

Lui subito distolse lo sguardo e io mi voltai nuovamente verso la lavagna.

-Allora ragazzi, oggi voglio parlarvi di qualcosa di diverso rispetto al solito.

Tutti lo ascoltarono attenti e lui sorrise di rimando.

Quel giorno aveva un aspetto più radioso del solito. Il suo sorriso sempre gentile e affascinante era più luminoso, i suoi capelli più curati, la cravatta più ordinata e, nonostante fossi a diversi metri di distanza da lui, notai che si era tagliato la barba di solito un po' ispida.

-"Si perdevano solo per ritrovarsi. Si lasciavano per riabbracciarsi. Si odiavano per amarsi. Erano strani quei due. Tanto da farmi credere che il vero amore esistesse".- recitò con voce calma.

Silenzio.
Nessuno disse niente.

Il professore iniziò a passare lo sguardo fra gli studenti come se si aspettasse una qualche reazione, ma nessuno sembrava dare segni di vita.

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