| Bella |
| Quattro Giorni Dopo |
Sapevo perfettamente che Simone mi detestava, sui Social Network era scomparso, era tornato improvvisamente amico di tutti quanti, come se fra noi non ci fosse mai stato nulla. La cosa peggiore era il fatto che non potevo lamentarmi, era quello che volevo, lo avevo fatto per ridargli una vita. Per me aveva abbandonato tutto, ed aveva sbagliato, perché prima di tutto doveva tenere conto di sé stesso. Volevo vederlo tornare quello di prima, quello che era prima di conoscere me, quello pieno di amici, un po' mattacchione con le ragazze, competitivo in un contesto come questo ma allo stesso tempo molto tranquillo, quel ragazzo arrogante e presuntuoso, ignaro di cosa fossero le emozioni vere e forti.
Entrambi cercavamo di pensare ad altro, passavamo il tempo in compagnia di altri, sperando di apparire agli occhi dell'altro felici e decisamente completi, volevo dimostrare che così era molto meglio; non lo era affatto, però.
Ed ecco che mi ritrovavo nella stanza che condividevo con Lauren e Nicole, per volere della produzione che ogni tanto cambiava per soddisfare un po' i voleri di tutti quanti. Mi stavo per fare la doccia e poi sarei scesa a cenare, ultimamente preferivo fare lunghe docce la notte, anche dopo aver cenato, per avere del tempo in più, da utilizzare per pensare e riflettere su come stavano andando le cose in generale. La porta della stanza era aperta, pensavo che le ragazze fossero lì e che Nicole fosse dietro di me, dato che ero di spalle, ma mi sbagliavo.
«Nicole, mi allacci il reggiseno?» urlai, visto che fino a qualche secondo prima aveva le cuffie. Sentii il rumore della porta che si apriva, ma ignorai il suono e sentii dei passi verso di me. Delle mani fredde che mi ricordavano tremendamente Simone toccarono la pelle della mia schiena, poi un respiro sul collo che avrei riconosciuto su mille.
Mi voltai, incrontrando quegli occhi cupi e scuri, quattro fottuti giorni che non li incrociavo, nemmeno per sbaglio, quattro giorni che li evitavo, che tentavo di ignorarli, e un solo attimo per capire che era tutto così inutile.
«Credevo che qui ci fossero Nicole e Lauren, scusa» sussurrò, come se non avesse fatto niente, ma quella voce, quel tono di voce, sapevo cosa andava a significare. Non ci stavo capendo più niente, ero confusa, stressata al cento per cento, non ero capace di pensare lucidamente in quel momento.
Sentivo le stesse emozioni di quando, a neanche quindici anni, nascondevo le bottiglie di Vodka sotto al letto, aspettando che andassero tutti a dormire. Nella mia vita non avevo mai vissuto come gli altri, mi ero sempre distinta, senza però volerlo, non avere né una figura materna né una figura paterna mi aveva portata ad essere una ragazza facilmente manipolabile, che raramente azzeccava il distinguimento fra persone buone e persone cattive.
A quindici anni io invece di uscire con le amiche, uscivo di senno. Non sapevo chi ero e non sapevo chi sarei diventata, per quante volte ho pensato che la soluzione giusta fosse finirla lì. Mi mettevo a cercare su vari siti delle buone motivazioni per non farlo, dato che le persone non erano capaci di darmele, nonostante non ne avessi mai chieste: chi sta male non lo dice.
Una frase in particolare mi aveva colpita. Il suicidio è una soluzione definitiva ad un problema temporaneo, così mi ero messa ad aspettare che le cose cominciassero ad andarmi meglio, ho colto la felicità in quello che pensavo mi piacesse, come, ad esempio, la relazione con Gionata.
Lui e mio fratello Travis erano molto amici, lo vedevo spesso gironzolare per quella specie di casa dove abitavo, a sedici anni ero giusto un po' più carina, e lui aveva iniziato a notarmi. Mi era giunta voce che facesse musica, poi scoprii che era diventato famoso e cominciai a nutrire un interesse più grande nei suoi confronti. Mi conquistò in meno di una notte e da quel momento iniziò una storia fatta di tira e molla, droga, regali costosi, bugie, tradimenti e, cosa non meno importante, nessuna traccia d'amore.
Un giorno lo lasciai, non fu il primo giorno in cui scoprii un suo tradimento, successe con il tempo, a lui non gliene fregava niente, glielo dissi mentre eravamo ubriachi. Col passare dei giorni mi bombardò di messaggi, inizialmente gli chiesi di smetterla, ma quando capii che era obbiettivamente inutile, aspettai che la noia facesse il suo corso. Arrivò la mia occasione, a causa sua avevo trascurato quella che era la mia passione, lui venne a sapere di quello che stavo facendo e smise di scrivermi, lo apprezzai, pensavo che fosse perché aveva capito che era arrivato il momento di concentrarmi su me stessa, e poi, un pomeriggio, mi riscrisse che se non avessi lasciato perdere quel biondino del cazzo avrebbe denunciato mio fratello perché spacciava regolarmente droga, sia a lui che ad altre persone.
Eliminai il messaggio, forse sarebbe stato meglio non rileggerlo una volta tornata su quella chat, poi trovai una via di fuga migliore. Ingogliai delle cazzo di pasticche letali che fecero velocemente effetto. Tutto questo per colpa sua.
Improvvisamente delle lacrime mi rigarono gli zigomi, con la mano le asciugai, rividi i lividi che avevo per un mio problema; quando stavo male mi mordevo spesso fino a vedere uscire il sangue, avevo sofferto di autolesionismo per anni e quando non c'era modo di usare quel metodo, facevo così. Avevo dei segni ovunque che mi condannavano ad una realtà che non volevo accettare.
[...]
Il mio umore non era dei migliori per scendere e mangiare come se niente fosse, eppure sentivo il bisogno di dimostrare a Simone che quelle cose che non mi toccavano minimamente, che andava tutto bene, e sarei riuscita a farlo scendendo con un sorriso stampato sul volto. Qualcosa, però, mi bloccava dal farlo, come se, una volta scesa di sotto, non avrei fatto altro che sentirmi peggio.
Mi misi adosso una felpa verde scuro e dei leggins, legai i capelli in uno chignon disordinato e presi i miei occhiali retrò, non avendo messo le lenti. Ai piedi calzai le ciabatte pelose di colore nero e infine raggiunsi gli altri.
«Scusate se sono facilmente scambiabile con il cesso del bagno ma non avevo neanche intenzione di venire a cena. Non ho molta fame» ironizzai, o almeno ci provai per far sembrare che andasse tutto bene.
«Sei bellissima lo stesso» mi disse Bryan con il suo accento colombiano, sorridendomi, io mi limitai a ricambiare il sorriso. Tutti erano in piedi per andare a mangiare, tutti tranne Simone che stava digitando sul suo cellulare molto velocemente per raggiungerci in tempo.
«Oh, Simò basta con 'sta Alessia, chiunque lei sia» gridò Filippo infastidito, guadagnandosi l'attenzione di molti fra noi. Alcuni mi guardarono, avevano capito da qualche giorno a questa parte che non stavamo più insieme, nonostante neanche per un solo secondo mi fossi tolta quel fottutissimo anello.
Quella sera me ne andai prima di tutti gli altri ed entrai nella stanza di Simone che ovviamente, come tutte le altre, non era chiusa a chiave, e lasciai l'anello sopra al suo letto. Per quanto fosse difficile da accettare, era finita.
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La Nuova Stella Di Broadway.
FanfictionSimone Baldasseroni, in arte Biondo, classe '98, è il classico rubacuori, difatti si è avvicinato alla musica grazie alla sua ex ragazza. È sensibile, genoroso, protettivo con chi ama e con chi vede debole, cerca sempre di prendere ogni cosa in modo...