Capitolo 42

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| Simone |

La situazione stava degenerando da qualche giorno, avevo capito perfettamente cosa Bella aveva fatto e perché lo aveva fatto, volevo sistemare le cose il prima possibile, ma insomma, riparlarle dopo aver tentato di procurarle più male possibile, non era così semplice. Volevo cogliere l'attimo giusto e prima le acque sarebbero dovute calmarsi, sennò non sarei riuscito a risolvere un bel niente.

Fra pochi attimi sarebbe arrivata in Sala Relax, forse parlarle mentre non eravamo soli sarebbe stato meno doloroso nel caso avesse deciso di lasciarmi perdere. Stavo parlando tranquillamente con i ragazzi, ovviamente non di questo, certe cose preferivo tenermele per me: le più profonde.

Fece irruzione in una maniera decisamente titubante, raggiunse in fretta e furia il suo armadietto e prese la sua roba, la infilò nello zaino nero che si era portato. Non sapevo cosa accidenti stesse combinando o per combinare, ma non prometteva bene ed avevo paura. Sì, ero impaurito come mai non lo ero stato nella mia vita.

«Ciao ragazzi, io me na vado. Buon percorso a tutti e buona fortuna per tutto quello che vi riserva il futuro, è stato bello condividere questa esperienza con voi. Anche con chi ho litigato, vi voglio bene» disse.

Quelle parole mi spezzarono, non solo il cuore, mi bloccarono il fiato, improvvisamente mi mancava la salivazione, sentivo un dolore palpitante per tutto il corpo, gli occhi piano piano diventavano sempre più lucidi. Nessuno osò fiatare.

«Vi ringrazio» disse infine, rimanendo quasi dispiaciuta dal fatto che nessuno le avesse detto qualcosa per fermarla. I ragazzi tutto d'un tratto si svegliarono e cominciarono ad urlarmi di andarla a prendere perché stava commettendo uno degli errori più grandi della sua vita, tutti, pure quelli che fino al giorno prima ne avevano parlato male.

È meglio se ci prendiamo una pausa. Mi dispiace, Simone.

Queste parole mi rimbombarono nella testa, risuonavano nella parte più spensierata della mia mente, non avevo il coraggio, ero un fottuto codardo non pronto a sacrificare e lasciarsi tutto alle spalle per vivere l'amore che tutti sognavano.

L'hai persa, pensai.

In quel momento mi arrabbiai con il lato oscuro di me stesso, quello che mi rinfacciava ogni fallimento con allegria e spudoratezza. La sto perdendo, cazzo, non l'ho ancora persa del tutto. «Oh, allora, che aspetti?» urlò Filippo spronandomi verso il cercare di non farla andare via.

Corsi verso la direzione in cui se n'era andata, non la vidi nel corridoio e lì capii di essere stato un coglione. Non mi feci abbattere e continuai a cercarla, aprii la porta d'uscita e finalmente la vidi. Urlai il suo nome mentre la inseguivo, si voltò e, piangendo, mi abbracciò. Sentii quella sensazione di volerla proteggere da tutto, doveva sentirsi al sicuro con me, non doveva essere mai fragile o suscettibile. Entrambi dovevamo essere pronti a tutto, ad ogni ostacolo che ci sarebbe stato, ad ogni problema che ci avrebbe riempito gli occhi di lacrime, dovevamo essere pronti ad ogni cosa che avrebbe cercato di dividerci.

«Non commettere questo errore, qualunque sia il problema che ti affligge, lo risolveremo. Oggi volevo parlarti e sistemare tutto, ma sei entrata così.. non so come descriverti, mi hai colto di sorpresa, sono rimasto sconvolto e non ci ho capito più niente» le parlai.

«Mi dispiace ma non posso far finta che vada tutto bene, non riesco a vivermela come vorrei e preferisco trovarmi un lavoro, fare qualcosa che possa davvero essere il mio futuro. Non posso più fare cose che sono dei forse, non ho più tempo per giocare» mi raccontò.

«Stai veramente abbandonando il tuo sogno?» le chiesi sconcertato.

I suoi occhi dicevano tutto, avevo capito con certezza che non voleva realmente andarsene. Non si sentiva pronta ad affrontare un percorso del genere, lo capivo perfettamente, bensì non riuscivo ad accettarlo o a farmelo andare semplicemente bene.

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