51.

5.2K 167 5
                                    

10 febbraio 2010

Cammino freneticamente per le strade di Abergele. Sono totalmente arrabbiata e forse sto sbagliando, ma al momento mi sembra la cosa più giusta da fare.
Arrivo al grande parco e ci entro. Osservo il laghetto deserto e taglio dritto, fino ad un albero dai rami imponenti. Non sento nemmeno freddo e credo sia dovuto soprattutto all'adrenalina. Alzo lo sguardo sul ramo più basso e vedo il moro che mi guarda con circospezione.
"Ciao Micheal", lo saluto e mi arrampico fino a raggiungerlo. Mi siedo proprio di fianco a lui e per qualche istante stiamo in silenzio a guardare gli altri alberi spogli di fronte a noi.
"Si congela qui", mi dice.
Faccio spallucce e non lo guardo in faccia. Momentaneamente non riesco nemmeno a sentirmi in colpa per aver chiamato lui e non Giody. È semplicemente andata così e non posso rinnegare le mie scelte.
"Se la temperatura arriva a 1°C è già tanto"
"Non so per quale motivo tu non abbia addosso una giacca, ma sarei più contento se prendessi la mia", usa un tono di supplica.
"Così dopo sarai tu quello ammalato?"
"Cloe, ho addosso una maglia termica, una a maniche corte, un maglioncino e persino il pile. La giacca non mi fa più di tanta differenza"
Apre la cerniera e la lascia scivolare lungo le braccia per poi passarmela con un gesto sicuro. Fortunatamente il ramo è abbastanza ampio da riuscire a stare in equilibrio mentre la indosso. Quando vengo avvolta da quel calore familiare, mi rendo conto che effettivamente si gela.
"Va meglio?", mi chiede.
"Sì, grazie mille"
"Non c'è di che...", lascia in sospeso la frase come ad incitarmi a parlare.
Prendo uno, due, tre... dieci respiri ed alla fine svuoto il sacco.
"Se ne va via"
Mi guarda confuso, ma aspetta che sia io a dire qualcos'altro.
"Steph... ho trovato la lettera di ammissione per la UCLA. L'hanno preso lì"
"Aspetta. La UCLA? Intendi quella in California?"
"Proprio cosi"
Sbarra gli occhi e sembra scioccato quasi la metà di quanto lo sia io.
"Sei certa di questa cosa? Ne avete parlato?"
"In realtà no... ad entrambe le domande. Lo so che non si dovrebbe fare, ma prima ho frugato nel cassetto della sua scrivania ed ho trovato le varie risposte alle lettere d'ammisione", sospiro, "è stato accettato in altri college, più vicini, per esempio a Londra"
"Adesso calmati. Non fasciarti la testa prima di aver sentito la sua decisione"
"Hai ragione, lo so", ho un nodo in gola grande quanto un'arancia. Io lo amo, è la mia vita e non posso pensare di vivere così distanti. Non posso proprio pensarci.
"Ti consiglio di andare da lui ed affrontare questo discorso insieme..."
"Mi dispiace così tanto, Mike", sento il bisogno di cambiare discorso e dirgli ciò che penso da mesi.
"Non devi dispiacerti di niente. L'ultima volta che ci siamo visti mi sono comportato da perfetto idiota e non potrò mai perdonarmelo", il suo tono è sommesso.
"Sono una stronza egoista anche in questo istante", mai parole furono più vere, "ti ho chiamato dopo che ti ho abbandonato perché non volevo accettare che tu provassi dei sentimenti per me"
"Non devi incolparti di niente Cloe. Voglio solo che tu sia felice"
"Sei un vero amico"
"Dai vai a casa dal tuo ragazzo. Sarà in pensiero per te!"
Salto giù e lui fa lo stesso. Gli sorrido riconoscente.
"Hai ragione"
"Non serve dirgli che mi hai chiamato. Non credo la prenderebbe bene"
"Non preoccuparti. Sei mio amico ed io posso ancora decidere da sola chi frequentare"
Di slancio mi abbraccia e per qualche secondo rimango imbambolata per il suo improvviso gesto d'affetto. Finalmente mi decido a ricambiare e lo sento scosso da singhiozzi. Gli passo una mano sulla schiena e cerco di consolarlo come meglio posso anche se sono consapevole di essere io stessa la causa del suo malessere. Passano i minuti e finalmente lui si calma, rimettendo su la sua maschera da ragazzo imperturbabile. 
"Grazie di tutto, Mike", dico sincera.
"Grazie di aver riposto la fiducia in me ed avermi cercato Cloe"
Ci salutiamo e ci spariamo. Ognuno per una strada diversa del parco ed anche con una meta differente. Mi sento più leggera e più in grado di affrontare una conversazione con Steph, ma sono ancora indecisa se aspettare che sia lui a tirare fuori il discorso o se debba farlo io.
Quando raggiungo il centro del paese, sento una voce adulta chiamarmi e mi volto.
"Oh, salve signor Jenkins", Paul il padre del mio ragazzo sta di fronte a me, stretto in un vestito elegante, mentre mi osserva.
"Tutto bene cara?", si azzarda a chiedermi.
"Adesso sì"
Entrambi non sembriamo voler affrontare il discorso sul perché il mio stato d'animo sia così, perciò aspetto che dica qualcos'altro.
"Stavo cercando la giusta occasione per parlarti"
"A me?", chiedo incredula.
"Esatto... bè ecco... é ormai molto tempo che tu e Stephan state insieme e so che lui non ha nessuna intenzione di lasciarti andare per nulla al mondo..."
"Ma...?"
"Ma così rischia di buttare via il suo futuro"
Sbarro gli occhi a causa dell'accusa pesante che mi sta facendo l'uomo di fronte a me.
"Con questo cosa vuole dire signore?", chiedo arrabbiata.
"Non ti arrabbiare, cara. Per me può anche rimanere qui al college, ma Kath non lo accetterà mai"
"La UCLA...", sussurro.
"Esatto! Sua madre è cresciuta a Los Angeles e non aspetta altro che nostro figlio si decida ad andare lì per seguirlo"
"Non capsico..."
"Se Steph dovesse iscriversi lí ci trasferiremmo anche noi, a vivere, per sempre"
"Ciò significa che non avrebbe nessun motivo per tornare qua se io mi facessi da parte e lo lasciassi vivere i suoi sogni", ragiono.
"Mi dispiace", sembra pensarlo davvero.
"Dispiace a me informare lei e sua moglie che io non lascerò Steph, qualunque scelta decida di prendere. Credo che suo figlio sia abbastanza maturo e intelligente per decidere da sé ciò che é meglio per lui. Detto questo dica pure a Katharina che è meglio che se ne faccia una ragione"
Detto ciò gli do le spalle e torno verso casa.

NON HO PIÙ PAURA.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora