18. Una tortura ingiusta

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Roma, Due settimane dopo.

Magnus era furioso.

Quei giorni erano stati terrificanti.

Non solo l'arrivo a Roma gli era costato due giorni sprecati al senato, ma era anche stato costretto ad organizzare un incontro con il popolo, che nonostante tutto, era risultato molto proficuo sia per il faraone che per i senatori.

Tuttavia il lavoro di Imperatore non era di certo semplice come quello di Faraone, e Magnus lo aveva imparato a sue spese proprio in quei giorni, oltre alle numerose riunioni con i senatori per imparare gli usi Romani, Le leggi Romane, La mente Romana; era stato costretto a varie apparizioni pubbliche, che si trattasse di un corteo per le strade della città o di un banchetto in una delle Domus* degli abitanti più prestigiosi, la sua presenza era di vitale importanza e, a detta di Acilio, strategicamente utile.

E a causa di tutti quegl'impegni il povero Imperatore si era ritrovato ad avere solo poche ore di sonno a notte, ma quando il Moro chiudeva gli occhi, due gemme preziose color del cielo gli comparivano davanti, e con essi tutto il peccaminoso corpo del loro proprietario, che fosse in un lussuoso letto o su un sudicio tavolo, quella figura lo raggiungeva ogni notte per tentarlo, per stregarlo con i suoi occhi, con le sue labbra così rosse e morbide, con il suo corpo così forte e muscoloso.

Poi, qualcosa, bloccava il lussurioso ambiente che i suoi sogni avevano ricreato per il Faraone, sempre lo stesso contesto, le stesse parole, lo stesso pugnale.

E lì si svegliava, in preda al panico, percosso da forti brividi e nitido di sudore.

A quel punto la rabbia prendeva il possesso del suo corpo e come quella notte, i suoi sentimenti rancorosi avevano sempre lo stesso punto di sfogo.

...Nessuna risposta.

Solo il dolore di un ultimo colpo. Una lama piantata nel cuore. E poi più niente...

L'imperatore si svegliò in preda ad un urlo agghiacciante, il suo corpo era pervaso da spasmi, grondante di sudore.

Al Faraone bastò poco per riprendersi dall'iniziale stato di impotenza che lo aveva avvolto, e in altrettanto poco tempo la mente del Moro venne sovrastata dalla rabbia.

Si alzò dal letto guardandosi intorno alla ricerca di qualsiasi cosa fosse adatta ad adempiere il suo scopo, ghignò soddisfatto quando trovò quello che cercava, lo prese e cose fuori dalla stanza.

Arrivato nell'ala degli schiavi, superò un ulteriore tratto di giardino che lo separava dal casale in cui erano situate le celle di correzione,
una volta arrivato, un sorriso perfido si presentò sul suo viso ad incorniciarne la bellezza, aprì la piccola porta che lo separava dal suo cagnolino preferito, una volta afferrato quest'ultimo dal collo, iniziò a frustarlo senza pietà. Le urla del Corvino rimbombavano come dolci melodie nella mente del Moro che con vigore continuava quell'ingiusta tortura.

*La Domus era il nome con cui si definivano le case ricche, grandi, e appartenenti a gente importante.

Scusate il ritardo, da oggi sarò più puntuale negli aggiornamenti dato che mi sono preparata alcuni capitoli.

Scusate sia l'orario che eventuali errori, spero che sia il capitolo, che la storia, vi stiano piacendo.

Votate e commentate ^-^

Cupido

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